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martedì 23 dicembre 2014

Frank Gehry, il decostruttivismo e il burka terapeutico

File:La Casa Danzante de Praga 1.JPG
Frank Gehry - Praga: Tančící dům (La casa danzante) - foto Kosovi, Wikipedia
 

Il decostruttivismo - cioè la teorizzazione di questo particolare agire in archiettura - è pura menzogna: è l'equivalente - se terorizzato - di qualsiasi forma di bassa retorica. Infatti non si capisce come si possa decostruire e costruire nello stesso tempo. O forse lo sanno gli epigoni di Derrida. E come poi faccia, teoricamente, un edificio decostruito a reggersi, è ancora, sempre nell'ottica della teorizzazione, un altro mistero.

Detto questo, gli edifici di alcuni di questi architetti sono veramente splendidi: fanno sognare, ti viene voglia di viverci dentro o di passare il resto della tua vita nelle loro vicinanze - ma devo dire mi attraggono in particolare molte delle cose che fa Frank Gehry. Alla maggior parte degli altri decostruttivisti in realtà non ho mai dato un soldo di cacio, compresa Zaha Hadid. E questo e tutto quello che saprei dire di certa architettura : mi piace, come sempre quando una cosa mi piace.

(Riguardo alla foto che ritrae Frank Gehry mentre alza il dito medio a un giornalista "stupido" c'è poco da dire. Nonostante la sua intelligenza visionaria, Frank Gehry, che ha ovviamente un culto sprezzante dell'intelligenza - anzi un culto al quadrato visto che è di origina polacca e i polacchi si sono sempre sentiti un po' più intelligenti degli altri, e visto che è di origine ebrea, e gli ebrei, soprattutto quelli che hanno sfondato il muro dell'anonimato, si portano dietro il mito della non assoluta criticabilità di ciò che fanno - conosce di se stesso molto poco se ancora non ha previsto che presto sarà terra difficilmente fertile per i ceci; anche se poi, aspettarsi un minimo di modestia pubblica da un qualsiasi artista non sarebbe certezza di niente, non renderebbe i suoi lavori più splendidi o meno splendidi. Il dito medio che a 85 anni suonati Frank Gehry alza contro un giornalista che gli chiede se la sua architettura non sia puro spettacolo è l'equivalente della passione che da sempre mostrano alcuni individui quando appassiscono: quella di farsi vedere in compagnia dei giovani - ma può darsi abbia seguito qui il suggerimento di Le Corbusier: l'importante non è rimanere giovani ma diventarlo. D'altra parte che ci vai a fare a queste conferenze piene di mestieranti della carta stampata se vuoi sentirti dire soltanto quello che vuoi sentirti dire? Per te, per curare il tuo inguaribile amor proprio, dovrebbe servire quello che proponeva una mia amica: il burka terapeutico per sei mesi e per tutti, uomini e donne - azni per immodesti non giustificati (vista l'età è un caso senza speranza) per il tenpo che resta. Non sarebbe forse bello presentarsi a una conferenza stampa in burka, preferibilmente bianco? il giornalista potrà chiedere quello che vuole: chi garantisce che effettivamente sotto il burka ci sei tu e non un inviato del Signore? occhio non vede cuore non duole. L'occhio del giornalista e il cuore dell'interpellato.

martedì 16 aprile 2013

Elezioni on-line e il Cimitero dei grillini


                                         Cimitero degli Inglesi a Roma - foto di LuciusCommons


Dice Grillo che “Roma è il cimitero della democrazia”. Mi pare che abbia detto proprio così, superando in inventiva e brio perfino la famosa guida turistica del Time Out, che se in passato arrivò a maltrattare brutalmente Roma, a chiamarla senza mezzi termini città di vecchi e di giovani nati già vecchi, non si era però ancora spinta a tanto ... Non che la guida del Time Out pisciasse fuori del vaso, ma poi, vuoi perché Roma è sempre Roma, vuoi perché adesso, oltre all'Auditoriun di Renzo Piano, c'è pure il MAXII di Zaha Hadid, l'architetto anglo iracheno, e la Teca d Richard Meier, Time Out alla fine ha dovuto per forza far marcia indietro, e nella seconda recente edizione ha finito per parlare di Roma con molta meno acrimonia e perfidia.

A Roma in realtà ci sarebbero tre distinti cimiteri: il Verano, che è quello storico, monumentale, tipica città nella città; c'è Prima Porta, che è la vera città dei morti, e che un mio amico, guardandola una sera dal suo attico a Settebagni, osservando a distanza le palazzine coi loculi mentre eravamo a cena qualche anno prima che morisse, definì "un vero obbrobrio" - e almeno sono contento che non ci sia finito anche lui, che sia stato portato in un cimitero di paese, in un’antica tomba di famiglia - dovettero tra l’altro allungare il loculo per farci entrare la bara. Un po’ come ai tempi di Keats, che aveva una delle sue case a Londra, in Keats Drove, a Highgate, non mi ricordo se la sua casa natale. E entrando a visitare la camera da letto, mi ricordo ci trovai due simpatiche turiste leccesi, due professoresse, che sembravano impressionate dalle dimesnioni del letto, "sembra il letto di uno dei sette nani". Lo chiamarono pure "tisico", il povero Keats. E fecero, alla fine, anche commenti sulle sue "dubbie capacità amatorie". Siccome questa non l'avevo capita, mi informai e una delle due mi disse: "ah , italiano?" e tutti e tre scoppiammo a ridere.

C’è poi a Roma il piccolo grazioso “Cimitero degli inglesi”, dove appunto è sepolto Keats e dove ci sono anche le ceneri di Gramsci ... 

Riconosco di non aver capito il senso della metafora di Grillo. Sono duro di comprendonio. Non capisco in che modo la intenda. Se voglia dire che Roma è un cimitero nel senso di luogo, dove ci sono tutti i morti prodotti dalla democrazia; oppure se la intenda in senso soggettivo: dove si trovano cioè le spoglie della democrazia (in questo caso quindi anche le sue e dei suoi); oppure se voleva dire che a Roma è impossibile che la democrazia possa funzionare. Ma sì, forse vuoleva dire questo. Quello che è certo è che Roma, come mi diceva un amico neozelandese in un pub di Londra, è la città del compromesso, della politica per eccellenza. E dell’accettazione di tutto e tutti. Anzi è una città di tutti. Quindi non mi meraviglierei se un giorno, facendone i grillini richiesta, il consiglio comunale dovesse votare all'unanimità (come è tipico di questa generosa città) la concessione di un qualche lotto o appezzamento di terra, che loro stessi, i grillini, a quel punto immagino vorranno chiamare Albergo a cinque stelle: cimitero dei grilli e delle cavallette. In fondo se Roma ha dato un cimitero agli inglesi non vedo perché non debba darne uno anche a chi si definisce, nel proprio statuto, italiano. E in effetti il cri cri dei grilli c'era anche in una famosa canzone romana. E visto poi che il comune di Roma in questi giorni sta implementando il servizio Wi-Fi sugli autobus, sui tram e sui treni della metro, prima o poi finirà per autorizzarlo pure nei cimiteri. Perché sembra impossibile immaginare un cimitero dei grillini dove le tombe siano sprovviste di notebook per gli amici e familiari che vanno a far visita agli estinti, che si vedano negati il diritto di far eleggere on line i loro rappresentanti dell’oltretomba.