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mercoledì 10 dicembre 2014
Il pendaglio da forca. Giuda salvato
All'interno delle primitive comunità cristiane la morte di Giuda Iscariota è un tipico esempio di ricerca di un sicuro capro espiatorio. Il tradimento è narrativamente - in funzione di exemplum - più appetibile della semplice sobillazione. In realtà il vero mandante del massacro e dell'omicidio di Gesù fu il sommo sacerdote Caifa, l'ipocrita ammantato di ricche vesti, il pupazzo che ossequiava i Romani e che pagò senza ritegno i trenta denari. Il vero pendaglio da forca, quindi, a rigore, non avrebbe dovuto essere Giuda ma Caifa, o meglio: Yosef Bar Kayafa: Giuseppe figlio di Caifa, altrimenti noto come Caifa. L'aver presentato come pendaglio da forca Giuda ha portato molta acqua al mulino della propaganda. Senza contare che se non ci fosse stato il suo sacrificio (cose dette e ridette dalle più serie riflessioni teologiche) non sarebbe stato possibile nemmeno il sacrificio di Cristo. Insomma la particolare fine di Giuda è un dato irrilevante della missione di Gesù e Giuda sarebbe stato anzi il primo a dover ricevere il perdono. La sua morte violenta (soprattutto in presenza di un pentimento) contraddice totalmente il piano salvifico e getta una luce aberrante, carica di retorica di bassa lega (manipolatrice), sul cristianasimo delle origini. E' una delle prime deviazioni dall'originario messaggio di Cristo.
mercoledì 24 settembre 2014
il giuramento di Ippocrate e i cinque e più traditori
Il bollettino medico con cui si annunciava la morte di una delle più sanguinarie fecce della storia recitava testualmente:
"Comunichiamo la dolorosa morte dell'ex presidente della repubblica ed ex comandante in capo dell'esercito eccetera" (sedicente presidente della repubblica e automaticamente decaduto dalla carica di comandante in capo dell'esercito nel momento stesso in cui insieme agli altri tre supremi vigliacchi traditori del suo paese tradì il giuramento di fedeltà fatto nelle mani dell'ultimo legittimo presidente che quel paese abbia avuto prima delle nuove, chiamiamole così, democratiche elezioni).
E sarà stata una morte anche più che dolorosa per questo medico che, prestato in gioventù un altro universale giuramento, quello di Ippocrate - "vivrò per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio..." - non poté non redigere il triste bollettino annacquandolo delle private lacrime del suo libero arbitrio - molto meno penosa per i parenti delle migliaia di desaparecidos e vittime di un regime che godeva (come sempre ogni regime capitalistico e fascista) del beneplacito della Chiesa Cattolica (se si escludono le eroiche frange della Teologia della Liberazione ampiamente avversate dall'allora papa e dalla sua curia o cricca, soprattutto da un certo segretario di stato traditore della lettera evangelica e a cui Dante avrebbe riservato il posto che riservava tutti i traditori di qualsiasi risma).
E non solo i parenti, ma una grossa porzione del paese avrà festeggiato in quel triste nero luttuoso giorno per i carnefici. Così come alla morte di Filippo gli ateniesi (anche coloro che con Filippo in vita non gli erano avversi e contro la viltà dei quali si scaglia Pluatrco) festeggiarono con a capo l'unico vero nemico e avversario di Filippo, Demostene, che si presentò alle celebrazioni per ringraziare gli dei tutto in ghingheri e con una bella veste sgargiante e inghirlandato (ἔχων λαμπρὸν ἱμάτιον ἐστεφανωμένος).
Quello che invece non si capisce è come abbia fatto, alla morte di quella sanguinaria canaglia, l'allora presidente socialista, che assieme ai suoi familiari venne sottoposto per ordine di quegli infami traditori alle più abbiette torture, a cedere a pressioni esterne e a far presenziare ai funerali di questo assassino e genocida il ministro della difesa del suo governo. Il quale venne poi giustamente fischiato da bande di migliaia di fascisti arricchitisi negli anni della dittaura e radunati a dare l'estremo saluto alla canaglia delle canaglie.
"Comunichiamo la dolorosa morte dell'ex presidente della repubblica ed ex comandante in capo dell'esercito eccetera" (sedicente presidente della repubblica e automaticamente decaduto dalla carica di comandante in capo dell'esercito nel momento stesso in cui insieme agli altri tre supremi vigliacchi traditori del suo paese tradì il giuramento di fedeltà fatto nelle mani dell'ultimo legittimo presidente che quel paese abbia avuto prima delle nuove, chiamiamole così, democratiche elezioni).
E sarà stata una morte anche più che dolorosa per questo medico che, prestato in gioventù un altro universale giuramento, quello di Ippocrate - "vivrò per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio..." - non poté non redigere il triste bollettino annacquandolo delle private lacrime del suo libero arbitrio - molto meno penosa per i parenti delle migliaia di desaparecidos e vittime di un regime che godeva (come sempre ogni regime capitalistico e fascista) del beneplacito della Chiesa Cattolica (se si escludono le eroiche frange della Teologia della Liberazione ampiamente avversate dall'allora papa e dalla sua curia o cricca, soprattutto da un certo segretario di stato traditore della lettera evangelica e a cui Dante avrebbe riservato il posto che riservava tutti i traditori di qualsiasi risma).
E non solo i parenti, ma una grossa porzione del paese avrà festeggiato in quel triste nero luttuoso giorno per i carnefici. Così come alla morte di Filippo gli ateniesi (anche coloro che con Filippo in vita non gli erano avversi e contro la viltà dei quali si scaglia Pluatrco) festeggiarono con a capo l'unico vero nemico e avversario di Filippo, Demostene, che si presentò alle celebrazioni per ringraziare gli dei tutto in ghingheri e con una bella veste sgargiante e inghirlandato (ἔχων λαμπρὸν ἱμάτιον ἐστεφανωμένος).
Quello che invece non si capisce è come abbia fatto, alla morte di quella sanguinaria canaglia, l'allora presidente socialista, che assieme ai suoi familiari venne sottoposto per ordine di quegli infami traditori alle più abbiette torture, a cedere a pressioni esterne e a far presenziare ai funerali di questo assassino e genocida il ministro della difesa del suo governo. Il quale venne poi giustamente fischiato da bande di migliaia di fascisti arricchitisi negli anni della dittaura e radunati a dare l'estremo saluto alla canaglia delle canaglie.
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martedì 23 aprile 2013
Traditore: colui che consegna l’amico (o chi gli ha creduto) al peggior nemico possibile
È sempre difficile riconoscere un traditore prima che il tradimento si sia manifestato. La miglior cura, a differenza che nella medicina, è la prevenzione: e nei rapporti intersoggettivi la prevenzione è la precisa conoscenza di chi ti sta vicino. Non mi viene in mente miglior esempio, nell’antichità, di quanto riporta Arriano nell’Anabasi. Un giorno che Alessandro appariva gravemente malato e tutti i medici erano ormai convinti che fosse spacciato, soltanto uno di loro, Filippo di Acarnania, uomo al suo seguito, medico stimatissimo in tutto l’esercito, disse che sarebbe bastato un semplice purgante. Alessandro disse che l'avrebbe preso. E mentre Filippo, insieme a lui nella stessa tenda, glielo preparava giunse ad Alessandro una lettera di uno dei generali, che lo metteva in guardia proprio da quel Filippo medico, che secondo alcuni stava per avvelenarlo avendo preso soldi da Dario. Alessandro finì di leggere la lettera e quindi la passò a Filippo, mentre Filippo gli passava a sua volta il purgante. E prima che Filippo terminasse di leggere, Alessandro aveva già bevuto.
Alessandro in sella a Bucefalo
Ovviamente si rimise in sesto. Qui sorge una prima e una seconda questione, che sono collegate. Quanti altri leader, nei panni di Alessandro, che aveva allora una ventina d’anni e era al culmine della sua gloria, avrebbero fatto la stessa cosa? E perché l’umanità
ha conosciuto soltanto un Alessandro che venga detto semplicemente il Grande?
Ciro Ferri -Alessandro legge Omero
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