Visualizzazione post con etichetta matematica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta matematica. Mostra tutti i post
domenica 18 gennaio 2015
la matematica e il perdersi e il non ritrovarsi
... nella matematica preferisco perdermi, come in qualsiasi altra lingua - a che scopo ritrovarsi? ("non è tanto il perdersi", dice il principe di Foix nella Recherche a un presuntuoso avvocato ebreo (aveva fatto una stupida battuta dopo aver sentito dire che la sua carrozza s'era persa tre volte quella sera), "quanto il fatto che alla fine non ci si ritrova" - "qu'on ne se retrouve pas"). A che scopo perdersi se solo per ritrovarsi nell'illusione di aver conosciuto se stessi?... Preferisco il continuo movimento, una barca a vela quando c'è vento: l'immagine dell'Ulisse dantesco che coi suoi compagni si perde definitivamente oltre le colonne di Ercole. Una "canoscenza" non più del sé ma di ciò che va oltre il sé ...
mercoledì 14 gennaio 2015
Francia adorata e senza errori
![]() |
Voltaire anziano |
Difficile pensare a un mondo senza la Francia: sarebbe un mondo meno questo, meno quello, meno tutto: sarebbe orfano dell'esprit, dell'intelligenza, della matematica, della geometria della lingua, delle singole frasi. Insomma la France è sempre la Fraaance! detto senza ironia, perché avrei letto in fondo più in francese che in italiano o in inglese.
I francesi (un po' come succede tra i cugini arabi e israeliani) vengono capiti poco in Italia. Un mediocre giornalista italiano, che non si sa come
sabato 10 gennaio 2015
il plurale del plurale. gli arabi e la matematica
La ragione per cui (e lo spiego a me stesso, trattandosi dopotutto sempre un diario personale che rendo pubblico, e dove mi può capitare di inserire di tanto in tanto qualche cosetta di carattere più filogico) la ragione per cui ho abbordato nella mia vita così tante lingue - credo di averle passate al setaccio quasi tutte (da un capo all'altro del globo e da un punto all'altro della storia), alcune più studiate e approfondite di altre (ebraico, arabo, sanscrito - le lingue sacre) altre studiate fino a un certo punto (russo, danese, polacco, svedese, olandese, giapponese, ungherese, finlandese, cinese, tibetano eccetera) altre ancora comunemente usate quando leggo o chiacchiero con qualcuno (francese, tedesco, spagnolo, greco moderno), altre studiate per interessi di linguistica (accadico assiro eccetera, le lingue irochesi del Nord America, parlate un tempo dal Popolo della Grande Palude, i Guyohkohnyo, e dal Popolo delle Colline, gli Onondagega, e dagli Oneida eccetera), la ragione principale credo fosse il bisogno, la necessità (o desiderio) di uscire dal lager della mia lingua madre, e quindi il desiderio di mettermi direttamente, senza nessuna mediazione, in contatto con altri modi di osservare le cose, mettermi
martedì 23 dicembre 2014
la resa dei conti: quella parola che non conosco.
L'altra sera tornando a casa mi è successo un fatto strano. Sulla porta a vetri della guardiola del portiere c'era affisso un foglio - che non hanno ancora tolto. "In qualità", si dice su questo foglio, " di proprietario dell'appartamento interno eccetera piano eccetera, comunico che inzieranno i lavori eccetera". Sono stato davanti a quel foglio a bocca aperta almeno un minuto, a cercare di capire una certa parola, una parola mai sentita. Proprietario. Mi sono detto, che vorrà dire 'sta parola? l'italiano un po' lo conosco e non mi dice niente. E' presa da un'altra lingua? Eppure ho bazzicato si può dire quasi tutte le lingue del mondo e del passato, magari alcune approfondite, altre meno, dal persiano, al cinese, al sanscrito, all'arabo, all'ebraico, allo swaili, per non parlare dell'insieme del ceppo indoeuropeo e del blocco ugrofinnico, con qualche nozione di varie lingue del Burkina Faso: dalla lingua more (che andrebbe pronunciato mòoré - un po' come dire amore a Roma - alla lingua dioula, parlata a Bobo-Dioulasso. la linga bobo, samo, peul, bambara: insieme, ovviamente, alla matematica, le lingue sono state, si può dire, la mia unica vera grande passione, fin da piccolo, sia perché pensavo che potessero mettermi in contatto col passato (latino, greco, accadico assiro, ebraico, sanscrito ecc.) sia che mi mettessero in contatto col futuro (matematica). Possibile che proprietario appartenga a una di quelle lingue che ho studiato meno, il cinese, per esempio, o il giapponese, e che questa parola la conosca proprio uno che abita dove abito io, dove non ci sono né cinesi né giapponesi? possibile che ancora ignori una nozione magari meravigliosa?
Sono risalito a casa e non ci ho dormito tutta la notte. La mattina mi sono svegliato e niente: la parola proprietario non la conosco. Non mi dice niente. Sono stato tentato di scendere, strappare quel foglio (se non fosse che il nostro portiere è sempre così attento, preciso). Strappare il mezzo che contiene un'offesa palese alla mia esperienza. Alla fine mi sono detto, che per quanti sforzi, per quanti studi uno faccia, quante persone, quanti paesi veda, resta sempre fuori qualcosa. Non c'è niente da fare. Morale della favola, continuo a ignorare il senso di proprietario. Con un po' di giochi associativi riesco al massimo a pensare che da proprietario possa coniarsi un'espressione come proprietà privata. Ma verrebbe rigettata sicuramente dalla comunità dei parlanti. E il senso evidentemente, anche qui, mi resterebbe totalmente oscuro.
Sono risalito a casa e non ci ho dormito tutta la notte. La mattina mi sono svegliato e niente: la parola proprietario non la conosco. Non mi dice niente. Sono stato tentato di scendere, strappare quel foglio (se non fosse che il nostro portiere è sempre così attento, preciso). Strappare il mezzo che contiene un'offesa palese alla mia esperienza. Alla fine mi sono detto, che per quanti sforzi, per quanti studi uno faccia, quante persone, quanti paesi veda, resta sempre fuori qualcosa. Non c'è niente da fare. Morale della favola, continuo a ignorare il senso di proprietario. Con un po' di giochi associativi riesco al massimo a pensare che da proprietario possa coniarsi un'espressione come proprietà privata. Ma verrebbe rigettata sicuramente dalla comunità dei parlanti. E il senso evidentemente, anche qui, mi resterebbe totalmente oscuro.
Etichette:
accadico-assiro,
arabo,
Burkina Faso,
ebraico,
futuro,
greco antico,
greco moderno,
indoeuropeo,
indogermanico,
latino,
lingua,
linguaggio,
linguistica,
matematica,
passato,
proprietario,
sanscrito,
swaili,
ugrofinnico
giovedì 18 dicembre 2014
il principio di Hamilton, il calcolo delle variazioni e la fisica col calderone
E' difficile immaginare al di fuori del mondo ascetico un'umanita che segua la strada del massimo sforzo. Non c'è niente in natura che non segua un principio economico. E questo dovrebbe indicare che l'umanità porta memoria della sua originaria conformazione, del fatto di essere nient'altro che un ammasso di atomi. E' paradossalmente una delle nozioni più stuzzicanti per lo studente di fisica, di fisica teorica (e lo era anche per me, quella sulla quale confesso di aver battuto la testa per quasi un mese per l'esame di meccanica razionale: se riuscivo a capirlo sul piano matematico, delle integrazioni anche piuttosto banali della lagrangiana, della differenza tra energia cinetica e potenziale, non riuscivo a darmene una ragione ultima: perché dovesse essere proprio così in natura e non l'opposto, perché la natura debba essere così pigra quando invece sulla pigrizia da sempre pesano gli anatemi di morali e civiltà "progressiste", che come la nostra hanno il culto della natura (in questi casi la matematica non mi ha mai aiutato): voglio dire il principio detto di minima azione, il principio di Hamilton, che in fondo non è altro, attraverso una formulazione variazionale delle equazioni lagrangiane, che una generalizzazione delle leggi della dinamica newtoniana, un grosso regalo alla successiva meccanica relativistica e quantistica.
Per comprenderlo oggi lo studente robot può anche fare il consueto salto di astrazione, eliminare qualsiasi necessità di interpretarlo macroscopicamente, di renderselo visibile, di intenderlo indipendentemente dalle nozioni di ricerca di minimo e massimo dei funzionali, di quelle funzioni cioè il cui dominio è un insieme di altre funzioni: tenendosi insomma ben lontano dalla concretezza dell'esperienza (la fisica si faceva un tempo col calderone e ogni formula sembrava essere qualcosa di direttamente visibile, fatto ancora evidente, se vogliamo, quando questi primi problemi variazionali venivano posti, quando Newton si domandava, nei Philosophiae naturalis principia mathematica, che forma dovesse avere il solido di rivoluzione di minor resistenza, un proiettile di fucile eccetera).
E tuttavia, se non ci si volesse limitare alla matematica, del principio di Hamilton (come di altri principi della natura), secondo il quale di ogni sistema meccanico esiste un integrale S, chiamato azione, che risulta minimo per il moto effettivo e la cui variazione δS non può che essere di conseguenza nulla, non si può andare oltre una sua descrizione qualitativa, non si può andare oltre il fatto che in un sistema meccanico conservativo, tra tutte le traiettorie che un corpo in assenza di vincoli ha a disposizione per spostarsi da un punto a un altro, la traiettoria effettivamente seguita sarà quella più economicamente, in termini di trasformazione energetica, appetibile, efficiente. In natura l'azione (un numero che ha la dimensione di un'energia per un tempo) è minimizzata sempre. Perché poi sia effettivamente così lo sa soltanto Dio. Se si lancia un bichiere per aria, questo non si metterà a seguire una serie di traiettorie sul modello montagne russe prima di ricadere per terra, andrà direttamente al sodo. Lo sa soltanto Dio perché la forza di gravità agisce in questo modo. E questo è tutto quello che si può dire.
Per comprenderlo oggi lo studente robot può anche fare il consueto salto di astrazione, eliminare qualsiasi necessità di interpretarlo macroscopicamente, di renderselo visibile, di intenderlo indipendentemente dalle nozioni di ricerca di minimo e massimo dei funzionali, di quelle funzioni cioè il cui dominio è un insieme di altre funzioni: tenendosi insomma ben lontano dalla concretezza dell'esperienza (la fisica si faceva un tempo col calderone e ogni formula sembrava essere qualcosa di direttamente visibile, fatto ancora evidente, se vogliamo, quando questi primi problemi variazionali venivano posti, quando Newton si domandava, nei Philosophiae naturalis principia mathematica, che forma dovesse avere il solido di rivoluzione di minor resistenza, un proiettile di fucile eccetera).
E tuttavia, se non ci si volesse limitare alla matematica, del principio di Hamilton (come di altri principi della natura), secondo il quale di ogni sistema meccanico esiste un integrale S, chiamato azione, che risulta minimo per il moto effettivo e la cui variazione δS non può che essere di conseguenza nulla, non si può andare oltre una sua descrizione qualitativa, non si può andare oltre il fatto che in un sistema meccanico conservativo, tra tutte le traiettorie che un corpo in assenza di vincoli ha a disposizione per spostarsi da un punto a un altro, la traiettoria effettivamente seguita sarà quella più economicamente, in termini di trasformazione energetica, appetibile, efficiente. In natura l'azione (un numero che ha la dimensione di un'energia per un tempo) è minimizzata sempre. Perché poi sia effettivamente così lo sa soltanto Dio. Se si lancia un bichiere per aria, questo non si metterà a seguire una serie di traiettorie sul modello montagne russe prima di ricadere per terra, andrà direttamente al sodo. Lo sa soltanto Dio perché la forza di gravità agisce in questo modo. E questo è tutto quello che si può dire.
Iscriviti a:
Post (Atom)