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mercoledì 14 gennaio 2015

Francia adorata e senza errori

Voltaire anziano

 Difficile pensare a un mondo senza la Francia: sarebbe un mondo meno questo, meno quello, meno tutto: sarebbe orfano dell'esprit, dell'intelligenza, della matematica, della geometria della lingua, delle singole frasi. Insomma la France è sempre la Fraaance! detto senza ironia, perché avrei letto in fondo più in francese che in italiano o in inglese.

I francesi (un po' come succede tra i cugini arabi e israeliani) vengono capiti poco in Italia. Un mediocre giornalista italiano, che non si sa come

giovedì 8 gennaio 2015

Matite in aria distintivo per terra

Tutti alzano le matite in segno di cordoglio, di lutto, per il folle massacro all'interno del settimanale satirico francese. Il problema è che sono stati uccisi anche due poliziotti, ma nessuno alza, che so, la riproduzione di un distintivo di polizia, e nessuno dice: "siamo tutti Ahmed" (il poliziotto freddato sul marciapiede). Ma è sempre così, la manovalenza resta manovalanza.

La stessa cosa quando uccisero Falcone e Borsellino. Sì, si è parlato degli uomini della scorta, ma l'eroe è sempre colui che "pensa". La manovalazna, si sa, è manovalanza, inoltre i poliziotti usano poco la matita.

In molti siti hanno mostrato alcune delle vignette sull'Islam pubblicate da Charlie Hebdo. Una in particolare, su Maometto, era di una provocazione (più che irriverenza) sconcertante: non oso nemmeno descriverla, ma si parla, a proposito del Corano, di escrementi (che si accetti o meno il gioco sul termine che i francesi usano anche in senso figurato, la stessa cosa che fanno gli inglesi e i tedeschi); e almeno in questo caso si è giocato però in maniera altrettanto folle, con un mondo, quello integralista, che non ha mai ragionato, che non ha mai voluto sentire ragioni, e che è accecato da un ideologia di morte più che dai comandamenti di Dio e del Corano. E non oso neanche immaginare la reazione dei cattolici (e non solo integralisti) se il crocifisso in una vignetta venisse paragonato a qualcosa di simile. Da noi non si sarebbero usate le armi, ma il matto lo trovi sempre. Così, quanto affermato da un columnist del Finacial Times (comportamento stupido) non credo sia tanto campato in aria. Salvo che lo chiamerei comportamento leggero suggerito da un'idea molto particolare della libertà di espressione: un sentimento di onnipotenza, cosa tipica di tutto il giornalismo.


mercoledì 9 luglio 2014

il fanatismo dei tedeschi e la nemesi

La partita Brasile-Germania dei mondiali del 2014 ha mostrato, dei tedeschi, uno degli aspetti più tipici del loro carattere nazionale, che è anche l'elemento peggiore: il fanatismo. Per quanto Stendhal nei suoi Ricordi d'egotismo ne parli come di una nazione essenzialmente buona se paragonata all'inglese e alla francese, e per quanto in effetti si tratti di un popolo di indole spontaneista, molto più prossimo agli italiani di quanto non si pensi, riescono poi a offrire, in certi momenti della loro incredibile storia, questi spettacoli di puro, rigido invasamento, che più che suscitare ammirazione inducono ogni volta a riflettere. Non si continua mai, contro un nemico ormai psicologicamente provato, annullato sotto gli occhi del suo generoso pubblico, a infierire senza nessuna ragione: neppure quando i giocatori in campo, come si dice, vedono soltanto la rete avversaria (un po' come il toro che dovunque si giri vede il rosso - che non sia così, che non si vede solo e sempre la porta avversaria, lo dimostra l'esistenza del concetto di un gioco tutto di difesa, il cosiddetto catenaccio). Già un quattro a zero è un risultato che una squadra veramente forte dovrebbe essere in grado di gestire senza nessun problema, divertendosi anche, mettendoci pure un pizzico di perfidia, come magari farebbe il gatto col topo; un 7 a 1 è invece il segno dell'opposto: di una squadra vincitrice mediocre, invisibile sul piano umano (il calcio è uno spettacolo viscerale, mobilita sentimenti di massa), una squadra che sta giocando contro un avversario che nemmeno esiste (e tanto più è inesistente l'avversario tanto più forti si appare agli occhi dei merli). Non ci vuole molto a capire che la prossima finale - che sia l'Olanda o l'Argentina - vedrà il mondo schierato contro il fanatismo storico (hegeliano) dei tedeschi, il quale non aspetta mai altro che la prima occasione per rivelarsi sempre e nuovamente uguale a se stesso.

Così la semifinale Italia Germania dei mondiali del 2006 (ma lo stesso potrebbe dirsi della semifinale Italia Germania dei mondiali del 1970 in Messico, nominata la "Partita del secolo", o della finale dell'82 a Madrid) per quanto giocata, la partita del 2006, per centoventi minuti ad altissimi livelli da entrambe le squadre, fu il segno, negli ultimi due minuti dei supplementari, non della superiorità degli italiani (che sono da sempre calcisticamente i veri avversari dei tedeschi), ma di una nemesi storica che andò a stanare e a punire i tedeschi proprio nella loro terra - una vendetta che prima o poi arriva e che ti ricorda che per poter dire di aver vinto devi prima di tutto avere davanti un avversario vero, non degli zombi.






venerdì 24 maggio 2013

Land diving, Pentecost Island e lo zapping


                                      Gabbiano al Vittoriano - foto di Lance 94

Quando un inglese della classe media vuole farti capire che è al limite della sopportazione fa un gesto che per lui è normale: alza velocemente gli occhi al cielo e in un attimo te li ripunta addosso. È un semplice movimento leggermente in diagonale rispetto al normale asse visivo, in cui però la testa resta immobile, ma se non sei inglese è inutile che provi a imitarlo. Una cosa simile la fanno anche gli italiani, che però invece di riportare subito gli occhi a terra, di tuffarsi di nuovo negli occhi dell’interlocutore, continuano a fissare in alto.



Land diving (tuffarsi verso terra) è non a caso un'espressione inglese. Indica non tanto uno sport estremo quanto un rituale religioso, propiziatorio: lo stesso che poi ha dato nascita al moderno bunjee jumping. Nell’isola di Pentecoste, nello Repubblica di Vanuatu (gruppo di isole chiamate ancora Nuove Ebridi quando ebbi la fortuna di vederle da piccolo), a quasi duemila chilometri dalla costa australiana nell'Oceano Pacifico, gli uomini ancora oggi si abbandonano a questo affascinante rito, che in lingua locale si chiama mi pare nagol, o forse ngol: dopo avere assicurato le caviglie a una liana e sotto lo sguardo di centinaia di turisti si lanciano in un certo periodo dell’anno da un'alta torre fatta di rami tutti intrecciati, le punte acuminate: una cosa impressionante per come la rivedo – o forse era solo lo sguardo di un bambino. Veniva un tempo in questo modo eletto il capo tribù: colui che riusciva a saltare dal punto più alto - e le torri raggiungevano anche i trenta metri. Ovviamente rischiavi di crepare, di rimanere infilzato.



Oggi il bunjee jumping è uno sport relativamente sicuro. Lo fanno un po’ dappertutto e forse non c'è nessuno che non l'abbia ancora visto. Vedendo il bunjee jumping versione moderna per la prima volta a Londra, un pomeriggio che camminavo verso Chelsea Bridge Road in direzione del ponte e dell'imponente struttura costruita per questo genere di tuffi legati a un cavo, mi rivenne da pensare all’isola di Pentecoste, e alle cose che da piccolo cercarono di farmi intendere di quel rito propiziatorio. E facendo un confronto, guardando questi uomini e donne completamente imbracati, pieni di ganci, moschettoni, cinture di sicurezza e confortati da premurosi istruttori, è difficile non rendersi conto di come l'umanità abbia fatto notevoli passi avanti, sperimentato uno sviluppo veramente galattico sul piano sociale e psico-evolutivo se si considera che si è passati dallo scegliere un capo tribù utilizzando arcaici criteri religioso-agonistici all'individuazione della semplice bravura in uno qualsiasi di questi sport estremi in cui si è circondati da tutto un corteggio di paramedici e ambulanze. Inoltre, se il capo tribù si trovava allora in un certo senso soffocato e rintronato per giorni dall'ammirazione collettiva della sua gente, il nostro campione la sera tornato casa si trova in compagnia delle rassicuranti pareti domestiche, dei suoi mobili più o meno di fabbrica, del pc e della televisone, oltre che del necessario cellulare: e se si tratta di una donna è immeditamante presa da tante altre cure e responsabilità (normalmente in cucina a preparare la cena), se invece è un uomo, la prima cosa che fa è spogliarsi e buttarsi sul divano, allungare le gambe sul tavolino in modo da poter subito iniziare a muovere le dita dei piedi e a scaricare la tensione accumulata nella competizione. Poi, col telecomando in mano (questa sorta di scettro), comincia a fare zapping, a passare da un canale all’altro fino a ritrovarsi magicamente a quello di partenza. Insomma il campione, pur dando l’impressione, a differenza della campionessa, di volersi fermare, non smette mai in realtà neppure lui di tenere occupati la mente e il corpo.


Tutto ovviamente dipende dai punti di vista, e quelli di una donna non coincideranno mai alla fine con quelli di un uomo, checché ne dicano i nemici della generalizzazione. Così una mia amica - che pure è una buona velista - mi dice che ogni volta che il marito torna a casa stanco da una partita di calcetto e si sdraia sul divano davanti alla televisione, lei immancabilmente, da un po' di anni a questa parte, non fa che ripetergli la stessa cosa: "te lo dico una volta per tutte: mi so' stufata di trovarmi tutte le sere questa salma davanti!"