autobus a Roma è auto - plurale auti:
"Con quest'auti non ci si capisce mai niente!" (signora esasperata da una lunga attesa alla fermata dell'autobus).
Uno dei pochi casi in cui il romano più che raddoppiare preferisce dimezzare.I ragazzi anzi dicono "auto" "auti" anche più dei vecchi, lo dicono in maniera globale, dai Parioli alla Borghesiana.
Ma in effetti le cose non sono cambiate molto da quando andavo a scuola io, e da come mi esprimevo io, che mi alzavo tardi e me la prendevo coi mezzi pubblici:
"Guarda te 'sto ca...o de auto stammattina!"
un ragazzo oggi direbbe la stessa cosa.
A Roma si raddoppia un po' tutto, non solo i tempi di attesa degli autobus di una città pachidermica, cioè gigantesca e lenta, ma anche le varie consonanti - penso che i romani, se potessero, raddoppierebbeo pure le vocali, cosa che d'altronde già fanno ("ma che ca...o stai a dì?" diventa "ma che caaa...o stai dìii?"
Così cannottiera invece di canottiera (è ammessa, al massimo, una doppia doppia per parola: non si potrebbe dire cannottierra), marciappiede invece di marciapiede (la "c" viene percepita doppia), cammera, stammattina eccetera.
Da non confondersi, tutto questo, col raddoppiamento fonosintattico o geminazione sintagmatica - raddoppio di una cosonante iniziale di parola se preceduta da vocale, tipica anche del toscano e di tutto il meridione. Non si potrebbe mai dire a Roma a' bona!, con una "b" appena sussurrata, quasi spirante, non fa sangue, non fa sesso: per ottenere il senso del sesso devi dire a' bbona! - che imita una comvinta forza esplosiva, d'urto, necessaria nel conflitto dei sessi, nel confitto da penetrazione (o complesso di penetrazione).
Ma bbona a Roma si direbbe comunque, anche se non ci fosse nessuna vocale davanti alla "b", e se uno è stato in astinenza forzata, prolungata, direbbe 'bbona pure a una cozza (racchia) - lo direbbe pure a una nota giornalista che ha fondato, scimmiottando gli altri, il suo inutile giornale.
A Roma si raddoppia così tanto tutto che è una vita che si parla del raddoppio del Raccordo anulare.
Visualizzazione post con etichetta registro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta registro. Mostra tutti i post
mercoledì 23 luglio 2014
venerdì 18 luglio 2014
Calunnia e diffamazione. Nota su Kafka e Busi querelato
Sarebbe strano scegliere di tradurre con “diffamazione” piuttosto che con “calunnia”
l’inizio comicissimo del Processo di Kafka, quando Joseph si è appena svegliato e prende atto di una nuova situazione:
Jemand mußte Josef K. v e r l e u m d e t haben, denn ohne daß er etwas Böses getan
hätte, wurde er eines Morgens verhaftet.
Qualcuno doveva aver “diffamato” Joseph
K., poiché senza che avesse fatto niente di male venne una mattina arrestato.
Verleumden, cioè
diffamare, di cui Diffamierung, da un punto di vista giuridico, è un
semplice sinonimo, è un reato ancora oggi previsto dal codice penale tedesco (articolo
187) – Kafka, che era laureato in Legge e era di
Praga (e morì a Vienna), visse in effetti per qualche tempo, saltuariamente, pure a Berlino, con la sua Felice, e proprio negli anni in cui
scrive il Processo. Ma a Kafka, almeno per la precisione terminologica, il diritto austro-ungarico o tedesco in questo passo interessava paradossalmente poco.
E’ indubbiamente, scegliere di tradurre l'inizio del Processo con “calunniato” invece che con "diffamato", una questione di registro (oltre che di causa e effetto - non ci sarebbe a rigore diffamazione senza che qualcuno ti calunni): diffamare
(articolo 595 del codice penale) suona immediatamente tecnico, calunniare, che pure è
tecnico (articolo 368) è nello stesso tempo più “terra terra” (e lasciamo perdere che nessuno sa cosa significhi giuridicamente, e che lo si usi come sinonimo di diffamazione): ha, nella mente dell'uomo e della donna della strada (o del cellulare) un qualcosa di generico, più facile da usare. Di più adatto insomma a un risveglio, come nel romanzo di Kafka, a un parlare a se stessi, quando non si pensa ancora all'ampia diffusione che avrà la "calunnia" (la calunnia è inizialmente un venticello): al più si penserà a una voce giunta all'autorità (la diffamazione, in termini giuridici e quindi sociali, verrà per forza in seguito). Epppure nessuno oggi per la strada, neanche a volersi riferire alle varie fasi di un'azione penale, direbbe l'ha calunniato (art, 368), nessuno si esprime così, se non nei vecchi romanzi, e non direbbe nemmeno l’ha diffamato (art. 595): in effetti si tende
a usare il sostantivo, il più delle volte senza specificare (si sa già di cosa si parla): s'è beccato una querela, una denuncia per diffamazione (il
termine “denuncia” è appunto usato costantemente a cazzo di cane, e la denuncia, a differenza della querela, non contiene nessuna manifestazione di volontà a voler perseguire il colpevole: è un
lavarsene le mani, può presentarla, la denuncia "chiunque", senza che poi compaia il suo nome. E' un po’ come dire:
io ve l’ho detto a voi poliziotti e carabinieri, poi fate "vobis"). E' un fare la spia, insomma.
Per poter querelare qualcuno per diffamazione (a parte quei pochi casi che raggiungono le aule di tribunale, e in genere per una parolaccia che un inquilino ha lanciato a un altro) bisogna comunque essere
famosi: cioè girare per la strada o entrare nei club più conosciuti con l'idea di essere un personaggio pubblico, con le
piume cioè che ti escono dal sedere: bisogna che in qualche modo si pensi che chi ha offeso la tua onorabilità ti abbia con ciò trasformato da persona famosa in diffamosa. E sarà forse per questo (perché vedo costantemente queste piume che escono dal sedere) che ogni volta che sento
dire che qualcuno ha querelato per una sciocchezza un altro per diffamazione, faccio tra me e me una pernacchia - tolti quindi i casi veramente più importanti e temibili, quando si è ingiustamente accusati di un reato - mi esce immancabilmente qualche volgarità. Il massimo è quando
si sente dire, improvvisamente, in televisione: “lei è querelato!”, come ha fatto con Aldo Busi
un ex ministro, mi pare, o deputata al (figuriamoci l'importanza) Parlamento italiano, deputata quindi
dal popolo tutto a rappresentarla, il quale deve essersi sentito anche lui diffamato insieme a questa sua eletta, che però non si era scelta affatto, visto che gli elettori non
potevano, in quella tornata eletterale, come nell'ultima, scegliere i loro candidati. E ha detto, questa ministra o deputata a Busi, scappando via dallo studio, forse per la vergogna (parlavano di mutandine): "lei è querelato!". Quasi a dire "sei querelato già prima che
io presenti la querela, sei nella condizione di querelato".
Ma in realtà, quest'ultimo esempio, non è incoerenza, mancanza di chiarezza o illogicità: è un ellissi vertiginosa, che rivela semplicemente una grande cultura letteraria, linguistica: sarebbe come dire: sappia, lei Busi, che domani a quest’ora, quando il mio avvocato presenterà querela, le è già querelato percché lo è da questo momento.
Ma in realtà, quest'ultimo esempio, non è incoerenza, mancanza di chiarezza o illogicità: è un ellissi vertiginosa, che rivela semplicemente una grande cultura letteraria, linguistica: sarebbe come dire: sappia, lei Busi, che domani a quest’ora, quando il mio avvocato presenterà querela, le è già querelato percché lo è da questo momento.
Etichette:
Berlino,
Busi,
calunnia,
codice penale,
comicità,
denuncia,
diffamazione,
ellissi,
Impero austro-ungarico,
Kafka,
letteratura,
lingua,
linguaggio,
Praga,
querela,
registro
Iscriviti a:
Post (Atom)