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lunedì 20 ottobre 2014

L'inganno dell'ascesi

νιπτόποδες, χαμαιεναι

che non si lavano i piedi, dormono per terra

Così Achille (Il., 16,35) parlando dei Selli, sacerdoti di Dodona, considerati i più antichi in Grecia. E vedi anche il frammento del'Eretteo di Euripide, conosciuto grazie unicamente a Clemente Alesandrino che lo cita nei suoi Stromata e che considera i versi un'imitazione di Omero:

... ἐν στρώτ πέδ
εδουσι, πηγας δ' οχ γραίνουσιν πόδας. (Er., fr. 367 Nauck)

... sulla terra nuda
dormono e non si bagnano i piedi alle fonti.

È sicuramente un dato di fatto che l'ascesi - nel senso di un lungo percorso costellato di ostacoli (di esercizi) che parte dall'umano e arriva fino al divino - non sia invenzione né del Giudaismo né del Cristianesimo e che nessuna religione in particolare possa dire di averla scoperta; ma è vero che è nelle religioni della colpa che esiste una stessa idea di un Dio che non può essere degnamente servito se non sperimentando una condizione di privazione e di estremo affaticamento di tutto il corpo: con l'esperienza fisica della durezza (e dovrei forse ricordare qui i foglianti del cardinal Bona, di cui a suo tempo traducevo il trattatello sulla Messa, l'uso della pietra cone cuscino). Tuttavia, anche questo concetto di privazione, di affaticamento, difficilmente potrebbe fondarsi su un'originaria idea di possesso: sarebbe vero l'opposto: è il possesso che va sempre definito a partire da un'idea di non accumulo (la questione non è se essere poveri sia un male, come da sempre cercano di dimostrare tutte le storiografie al servizio del capitale, dal quale dipendono: i termini povertà, indigenza, necessità sono ammantati di ideologia ancor prima di divenire operanti: non sono nemmeno una sorta di grado zero. Il grado originario è quello dell'uomo che nasce nudo (e non sa di esserlo) e sul quale in seguito si accumulano o stratificano tutte le possibili definizioni a venire.

Ogni forma di ascesi non può essere quindi un esercizio (è il senso d'altronde del greco askesis) di ritorno alle origini, quelle stratificazioni glielo impediscono; si tratta invece di un'elevazione proposta sulla base e come rifiuto di ciò che si possiede, che non può essere abolito e che non e assolutamente un dato originario: è in più un movimento verso l'alto invece che verso il basso - è conosciuta delle sacerdotesse di Dodona (non solo il più antico ma, almeno secondo Erodoto, in origine anche l'unico oracolo della Grecia) un'invocazione ricordata da Pausania:

Γ καρπος νίει, δι κλζετε Ματέρα γααν. (Paus., X, 12, 10)

La terra produce frutti, invocate perciò la Madre Terra.

Inoltre, qualsiasi ascesi che si ponga come scopo la conquista del cielo attraverso un ritorno a uno stato precedente di vita sulla terra non potrebbe darsi che come una certa maniera di oblio del presente e nello stesso tempo una reminiscenza del passato: è di conseguenza un'esperienza paradossale, una sorta di ossimoro, una contraddizione in termini: non si può, cioè, senza dimenticare completamente il presente riattualizzare nessun passato, il quale, a sua volta, se anche diventasse il nuovo presente, resterebbe per definizione all'origine di ciò di cui già era stato all'origine - è tra l'altro  la ragione del fallimento di tutte le riforme dei vari ordini religiosi avviate dall'interno della Chiesa (nonostante la sopravvivenza delle singole riforme (cistercensi dai benedettini, foglianti e trappisti dai cistercensi, stretta osservanza e cappuccini dai francescani predicatori eccetera). Il chiodo più vecchio  è sostituito da un chiodo apparentemente nuovo, ma che è invece più arrugginito del vecchio: è alla base di ciò che si credeva così superato.

Perciò, l'idea di un ritorno a uno stato precedente da cui ripartire è sempre funzione di una convinzione, di un'ideologia: è la presunzione di credere non solo che il presente si possa abolire, si possa cancellare, ma anche che il presente da abolire non sopravviva nel passato che si tenta di riattualizzare (che si tratti come nel Cristianesimo di un ritorno alla semplicità della propaganda evangelica o di un ritorno alla natura in religioni naturistiche). L'originaria Ragione non è assolutamente riattuabile se non attraverso un inganno ideologico. Di qui anche il fallimento di Hegel e di ogni hegelismo










domenica 13 luglio 2014

la scienza terrorizzata



Si potrebbero chiamare assolutisti tutti quei sistemi filosofici (Cartesio compreso) la cui bestia nera è il relativismo. In tutte queste filosofie, fino a Kant, il relativo viene relegato al concetto aristotelico di modalità in cui si predica l’essere nelle cose, cioè alla categoria. Ci sarebbe cioè impossibilità per la sostanza  di accogliere contemporaneamente, in atto, le differenze (o gli opposti, che ne sono un  caso particolare): ciò che porterebbe, se avvenisse, alla contraddizione suprema: una certa cosa non può, in sé, essere contemporaneamente questo e quest’altro. Questo modo di pensare, che sembrerebbe respinto dai sistemi filosofici più recenti (quelli che eliminano Dio dal sistema stesso) è tuttavia ciò su cui continua a fondarsi il senso comune (lo stesso che giustifica l'esistenza dei manicomi), sorretto, in questo suo errare, dal modo di vedere le cose che gli offre l’assolutismo della scienza. La scienza non fa altro che assicurare che l’acqua è acqua e il vino è vino. Un vero terrore, quindi, il suo, tipico di tutti gli assolutismi: da un lato è costantemente afflitta dall'idea di un possibile crollo della sua impalcatura dogmatica (dovrà perciò continuamente dimostrare di essere nel giusto), dall'altro si illude di poter scuotersi di dosso questa afflizione facendo ricorso all'unico metodo che le è congeniale, quello del terrore "sistematico": terrorizzando, tentando di fare, in un certo senso, terra bruciata.

Il miracolo di Cana, nonostante sia stato recuperato all’interno di un sistema dogmatico (la fede), in fondo non resta altro che una metafora: la possibilità, se lo si vuole, di ribaltare ogni secondo proprio questa visione dogmatistica della scienza. Insomma sarebbe più dogmatica la scienza che la fede. Il vino può essere acqua e l’acqua può essere vino. Così come il vino può essere sangue. Basta infatti che un solo individuo consideri quel vino nient'altro che sangue, che il caposaldo principe del metodo scientifico, l’induzione, vada a farsi friggere: non posso più dire: poiché questo è vero per questo individuo, e per quest’altro e per quest’altro ancora, fino al termine "n", allora è vero per tutti, e ne ricavo il concetto di osservatore scientifico obbiettivo. A un certo momento troverò l’individuo per cui ciò non sarà più vero e quindi il metodo dovrà fondarsi per forza sulla statistica, che è l'unico strumento matematico con cui si possono descrivere i fenomeni della fisica atomica e nucleare, che fu anche il primo colpo ricevuto dal suo interno dalla fisica classica: colpo che come si è visto, era stato inferto, per l'ennesima volta, in Occidente, due millenni prima dal miracolo di Cana (tutte le filosofie che accettavano il relativismo come struttura dell'essere l'avevano già fatto: Anassagora col suo tutto mescolato col tutto, Democrito e il suo vuoto e pieno presenti in maniera indifferente in qualsiasi parte della realtà eccetera). Tanto che della scienza si potrebbe dire quello che dice Omero di Eurialo, il quale dopo essere stato colpito:

di qua e di là ciondolava il capo diversamente pensando (κάρη βάλλονθ' ἑτέρωσε· / κὰδ δ' ἀλλοφρονέοντα)

diversamente pensando, cioè dando i numeri - esempio citato da Aristotele nella Metafisica, nel libro IV, per confutare però non i preconcetti della scienza  e il dogmatismo scientifico ma il relativismo.

Paradossalmente (e il miracolo è, classicamente parlando, un paradosso, un ribaltamento del senso comune) sono proprio i vangeli, con il loro apparente dogmatismo, a esprimere, nel corso di  tutta l'era cristiana, il più spiritoso, leggero relativismo, a scuotere continuamente dalle fondamenta il battistero delle certezze (si rilegga da cima a fondo tutto il discorso della montagna).

La lotta al relativismo, condotta dalle sentinelle del capitale (i grossi sistemi metafisici, a partire da Platone e Aristotele), è d’altronde comprensibile: mina, come un tarlo che si insinui nel legno, tutto ciò che l’uomo costruisce di morale e religioso:  i due strumenti sui quali in ogni tempo si regge la nozione di accumulo, mutuata a sua volta dalla violenza della natura. Eppure, la natura, vista dalla Terra, contiene alcuni antidoti contro la sua stessa violenza. Uno di questi, come ho già scritto, è il principio femminile, l'altro è il relativismo. Nel momento in cui la natura decide di farsi molteplice, allora è come se accettasse che il relativismo la contraddica.

domenica 6 ottobre 2013

religione, morale e psicosi


Il fatto che in uno dei suoi pensieri Pascal faccia una certa confusione quando attribuisce a Montaigne una cosa che Montaigne non ha mai detto - che  la consuetudine vada