Il giornalismo di oggi come quello di ieri - diciamo i grossi giornali dietro i quali si nascondono i grossi gruppi finanziari - non ha come oggetto né la libertà né la verità, nemmeno in una concezione della libertà o della verità in senso classico, dal momento che un giornale si definisce in base al suo valore di oggetto effimero, ossia che ha la durata di un giorno.
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sabato 10 gennaio 2015
domenica 12 ottobre 2014
L'inferno della continuità
La
continuità (così come il dettaglio) nuoce alla narrazione. Risulterebbe noioso e, oltre alle sorprese, toglierebbe
al lettore (come una parete interminabile e senza porte) la possibilità di infilarci o
anticipare qualcosa di suo, salvo ovviamente dover poi fare i conti con ciò che effettivamente sarà. Ma è il narratore il dominus:
ἔνθα τοι οὐκέτ' ἔπειτα διηνεκέως ἀγορεύσω,
ὁπποτέρῃ δή τοι ὁδὸς ἔσσεται (M, 56-57)
così Circe a
Ulisse circa la strada che dovrà prendere una volta passato il luogo delle
sirene.
διηνεκέως – continuamente, senza soluzione di continuità: vedi l’italiano
dall’inizio alla fine
La
continuità (o persistenza) è d’altronde un mito e un’illusione della percezione, la ragione per
cui l’individuo, guardandosi allo specchio, continua a vedersi sempre uguale a
tutte le età. Ma senza la rottura di questo mito della continuità non sarebbe
possibile nessun romanzo: le psicologie dei personaggi resterebbero immobili
dall’inizio alla fine, poca cosa per una storia che si svolga nell’arco di
poche settimane ma insostenibile a lungo termine. Ancora, ovviamente, il panta rei di Eraclito.
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sabato 31 agosto 2013
Causa e tempo nella storia. Narrazione e investigazione
L’uso del principio di causa
nella narrazione storica (e del concetto di pretesto) sarebbe (se la storia in senso hegeliano esistesse) antistorico: lo faceva costantemente osservare Croce (era un po’
la sua bestia nera): è comunque un semplice scimmiottamento della metodologia delle
scienze sperimentali. Varrebbe la pena ripetere quanto Croce stesso affermava per
esempio nei marginalia alla Teoria e storia della storiografia: che cioè l’introduzione di questo principio
di causa interromperebbe qualsiasi
movimento (storico), "la storia si fermerebbe a un tratto". A Croce interessava ridurre tutto all’idea di storia contemporanea quale attività dello
spirito che riflette nel presente anche su eventi cosiddetti storici, cosa che però non cambierebbe lo
stato della questione; in effetti, un qualsivoglia evento non è altro che il risultato di
un infinito numero di cause, che è come dire che è il risultato di nessuna causa in
particolare. Introdurre di punto in bianco una causa particolare da cui si origini un
determinato evento equivale a bloccare
tutto il processo, tutta la processione, troncare in due con una zappa il corpo di un serpente. Lo stesso dicasi dell’uso del concetto di tempo. Tutto ciò
che si riesce a ottenere - pure in una narrazione non annalistica della "storia", una narrazione cioè che non enumeri i fatti uno
dietro l’altro in ordine cronologico, è una temporalizzazione parallela, il che equivale a contraddire tutta l'impostazione, a sottrarre ogni forma non
relativistica del tempo. E lo stesso vale per le enumerazioni annalistiche,
sicché ci saranno gli annali di un popolo e gli annali di un altro, ma non saranno altro che descrizioni cronologiche parallele, e che bisognerà in qualche modo
collegare orizzontalmente; si avranno quindi tanti tempi paralleli, e il tempo,
storicamente parlando, non potrà mai essere uno,
non potrà essere una infinita linea all’interno della quale mettere tutto in ordine; in altri termini ciò equivale ad affermare l’impossibilità – concetto ripetuto d’altronde anche da Croce - di una storia che
sia universale (mito mai veramente superato).
Il falso metodo deduttivo, usato nelle narrazioni dei romanzi gialli tradizionali, è
un'idealizzazione della metodologia dell’investigazione, la quale, se pure opera con parziali deduzioni, è nel suo insieme un risalire all’indietro, alla fonte, a un individuo che con le sue leggi logiche riesca a spiegare dei fatti di cui faccio esperienza, e che è tipico del metodo induttivo: conserva del vero metodo deduttivo (quello che definisce da subito la fonte originaria) solo l'apparenza dell'andare dal generale al particolare (dalla scena del crimine all'omicida); in realtà la sorgente non ce l'ha, deve trovarla. Ma la sorgente nella natura non ha causa in sé, e non ci
sarebbe sorgente se non ci fossero piogge eccetera. L’individuazione del
colpevole, quando lo si individua, è comunque sempre un brutale e non realistico tentativo di interrompere il
processo della vita all’interno del quale l’assassino si muove. Questa
impossibilità di fissare un punto preciso originario, una fonte primaria come causa ultima dell'omicidio, una causa nec plus ultra, le colonne d'Ercole al di là delle quale niente è più conoscibile, può essere osservato nelle faide, dove un omicidio dipende sempre
da un altro omicidio. Ed è talmente ovvio che una nozione di causa imbarazza da
sempre gli investigatori e la macchina della giustizia, che si è stati costretti
a introdurre fin dall'antichità il sinonimo di movente,
che è quanto di più aleatorio, non deterministico, possa darsi, e attorno al quale i castelli delle varie scuole psicologiche oggi più che mai si perdono e che
lascia sempre dubbi su dubbi anche nei profani, che continueranno a
dividersi tra innocentisti e colpevolisti. Diversamente dal concetto di
causa per come è definito nelle scienze sperimentali.
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