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venerdì 29 maggio 2015

A very telling Oscar

It would be too easy to show that the most prestigious awards in the entertainment industry are political and based on self-promotion, not actual merit. The most flagrant example at the time was when an ordinary film Crash won an Oscar for best film over Brokeback Mountain.

venerdì 24 ottobre 2014

Leopardi senza Leopardi e la bravura di Martone

È assolutamente patetico (nel senso di commovente) vedere un attore che prima interpreta una figura, un "personaggio" storico e poi va in televisione a dire che almeno quella è la "sua" interpretazione. C’è una tale pochezza di obbiettivi e una tale incapacità di autoanalisi nella odierna globalizzata società multitutto, e la televisione e il cinema hanno fatto un tale calderone e una tale accozzaglia di ogni cosa tra passato presente e futuro, che l’attore arriva a sentirsi nient’altro che onnipotente ("questa almeno è la mia interpretazione!", è il massimo che riescono a dire quando si rendono conto che qualcosa non quadra). Ci si provi a immaginare la propria vita, insignificante quanto possa apparire, e si provi poi a pensare che tra cento anni qualcuno la porterà sulla scena sulla base di qualche nostra lettera o email o di qualche nostro pensierino sulla vita e si misurerà tutta la differenza che ci può essere tra Leopardi e l'interpretazione di Elio Germano, che crede di poterlo finalmente rappresentare a partire dai suoi (di Germano) gesti sempre uguali, che lo fanno riconoscere subito per quello che è, per Elio Germano: la sua mimica facciale, i suoi occhi spaesati e non certo cilestri eccetera, e che si ritrovano in tutti i film nei quali ha “lavorato”. Come se il Leopardi poetico e filosofico, anche a non considerare il colore degli occhi, avesse il volto di Elio Germano.

Ci sarebbe forse voluto Alec Guinness, l’uomo dai mille volti, sempre irriconoscibile: “il più bravo, il più grande”, come scrisse di lui Arbasino alla sua morte. Anzi forse Leopardi avrebbe potuto somigliare per certi versi proprio al professor Marcus/Guinness di Ladykillers: gli ingredienti c’erano tutti: la vecchia signora (Louisa Wilberforce) che andava ammazzata era il padre di Leopardi (Monaldo), il pappagallo era la madre (Adelaide Antici), i componenti del gruppo cameristico, cioè i falsi suonatori, erano i vari mediocri (tra cui il Tommaseo) che l’hanno ostacolato in vita. Inoltre Danny Green, nella parte del tonto al seguito, avrebbe potuto essere l'amico Ranieri, gay velato ante litteram, altro che donnaiolo secondo il film di Martone. E il colpo al furgone portavalori era il tentativo dei suonatori di passare alla storia, serviti poi dal patatrac finale: non a caso il professor Marcus è l’ultimo a morire.  E in alcune scene Marcus appare pure piuttosto seedy, squallido (vedi la scena della cucina, quando cerca di convincere la vecchia a non denunciarli): un pastrano pieno di cimici che lo fa apparire un grandioso down and out.

E così era Leopardi, che amava pochissimo l’acqua, tanto che lo zio fu costretto a essere un tantino brusco in una lettera, invitarlo a lavarsi un po’, a usare ogni tanto il sapone: sporcizia che doveva formare un meraviglioso ossimoro con la bellezza dei suoi occhi, che mostravano nello stesso tempo due precise qualità, non certo lo spaesamentto di Germano: estrema bontà d’animo (gli sporadici attacchi d'irascibilità ne sono un ingrediente) e l'intelligenza divina (così almeno non può non vederlo chiunque abbia avuto la fortuna di leggersi anche poche pagine dello Zibaldone). Non bastano due urli o due incazzature o una scoliosi posticcia per fare Giacomo Leopardi: certe espedienti servono solo, in maniera surrettizia, a farti grande con ciò che non ti appartiene.

giovedì 23 ottobre 2014

mancata autopsia. Un motivo in Menandro

[       ]ιν λέγεις, Δε, το τ' μο τρόπου (Asp., 368)

Così Cherestrato, nello Scudo di Menandro; la lacuna del papiro da integrare anche a mio avviso molto semplicemente come altri hanno proposto:

<εὖ γ᾿ ἐστ>ν λέγεις, Δε, το τ' μο τρόπου:

 dici bene, o Davo, e mi va benissimo

Si tratta della messa in scena architettata dallo schiavo Davo della morte di Cherestrato, che potrà così farsi gioco dell’avido fratello Smicrine; un tema, quello della simulazione della propria morte, utilizzato per le stesse ragioni (avidità di un familiare o di un creditore) almeno fino ai tempi di Edoardo e Totò, sicuramente meno praticabile oggi (il morto è morto e basta!) a causa di una sovraesposizione del pubblico a una estetica della pseudoscienza dei laboratori della polizia scientifica, e dei medici legali – vedi per esempio tutto il problema di un’autopsia condotta superficialmente sul corpo dell’uomo ritrovato nella laguna veneziana nei primi capitoli del mio Un valzer per Alfredo.  

martedì 22 luglio 2014

il grande teatro e il non teatro. Cinema televisione e radio

Il teatro greco è agli antipodi delle rappresentazioni nel XXI secolo (televisione, cinema). Si domanda Nietzsche, in uno dei frammenti postumi, se non sia per un sentimento di sconvenienza che i greci non rappresentano l'azione. In effetti nel teatro greco sembra non avvenire quasi niente materialmente sulla scena. Edipo che entra accompagnato da sua figlia Antigone ma poi si siede nel recinto sacro e da quel momento s'intrecciano monologhi e dialoghi a non finire; oppure Filottete che riesce a trascinarsi appena sulla scena, la gamba piagata, che incontra Neottolemo e Ulisse e per centinaia di versi non c'è movimento fisico o quasi. E' il coro a muoversi  soprattutto nel teatro greco, che sfila come in processione: la sua prima entrata in scena, la parodo, poteva, dovendosi a volte recitare alcune centinaia di versi, durare anche una ventina di minuti.

Il teatro greco è in realtà un teatro di pura parola. Ma è una parola, quella dei grandi autori, che ha il senso dello spazio, e in questo spazio la nuda parola sa come farti vedere gli oggetti, gli atti, i movimenti di chi è assente (funzione narrativa), sa far muovere soprattutto cio che non è presente, come è sempre stato tipico del grande teatro, pure in tempi più recenti - al contrario di tanto non teatro dentro il "teatro" (Alfieri, Manzoni, Baudelaire ecc., la ragione del loro fallimento). E' così che può giustamente dire Edipo a Antigone:

figlia del vecchio  c i e c o,  Antigone, in quale
terre  s i a m o  g i u n t i  o  nella città di quali uomini?
chi riceverà  l' e r r a b o n d o  Edipo in questo giorno
con quali misere offerte? ...
.......
Piuttosto, o figlia, se  v e d i  u n  p o s t o
che sia un luogo profano o un   v e r d e   r e c i n t o  s a c r o,
f a  c h e  i o allora  m i  f e rm i  e  m i   s i e d a ...

Cioè lo "spettatore" ascolta quello che farà Edipo: lo vedrà sedersi prima ancora di vederglielo effettivamente fare.

E Antigone potrà perciò essere figura centrale, giustificata:

Padre misero, Edipo,  t o r r i
p r o t e g g o n o  l a  c i t t à,  a  q u a n t o   i o   v e d o

ed è con gli occhi di Antigone che lo "spettatore" vede non solo la città ma un luogo che

sembra sacro, lussureggiante
di  a l l o r o,  u l i v i  e  v i t i, e fittissimi
dentro vi  c a n t a n o  usignoli

naturalmente Edipo è solo cieco, non è sordo, gli usignoli può sentirli benissimo: chi non può sentirli, o meglio, chi può sentirli soltanto attraverso la parola è lo "spettatore". Che bisogno avrebbe, d'altronde, un teatro del genere, di scenografia, di azione in termini moderni?

Mi raccontava mio padre che c'erano dei radiocronisti che sapevano farti vedere la partita (i recenti Mondiali invece, pur vedendoli in televisione, ogni tanto dovevo togliere l'audio, talmente sentivo soltanto il monotono accento del telecronista). E questo è vero in generale delle buone trasmissioni alla radio: la capacità, di chi conduce un programma, di farti visualizzare un evento, un'azione, dei personaggi dentro un aneddoto (a parte i programmi più idioti, prolissi, parolieri, incolti, che riconosci immediatamente dall'uso di espressioni tipo: "per quanto riguarda" -"e adesso sentiremo, per quanto riguarda i Rolling Stones ..." - programmi  che vengono seguiti unicamente da chi nell'idiozia paroliera si rispecchia).

domenica 6 luglio 2014

Gomorra contro Gomorra. Ancora sulla spiegazione



Semplicemente una rima: Gomorra/Camorra. Ma la scelta è arbitraria. Se l’autore, come ci si aspetta, ha tenuto presente la Bibbia e i suoi vari riferimenti a Gomorra, a quale Gomorra allude? Alla prospera Gomorra (ormai un pallido ricordo) un po' prima della sua distruzione? Oppure a Gomorra nell'attimo stesso in cui viene distrutta e annientata da un apocalittico fuoco divino che si abbatte sulla perversione e corruzione di tutti i suoi abitanti? (è noto il "giochetto" che Abramo propone a Dio sul numero effettivo dei perversi e corrotti esistenti a Sodoma, città gemellata con Gomorra). Oppure allude alla città già ormai distrutta e materialmente inesistente, come è appunto il caso di quasi tutti i

venerdì 4 luglio 2014

Il rosso e il blu. Lingua e galera





Burning Blue, titolo di un recente film americano: la storia d’amore tra due piloti dell'aviazione navale negli anni precedenti il periodo clintoniano, l’amministrazione Clinton, che cercò di cancellare le norme antiomosessuali in vigore in ambiente militare e si finì invece per adottare la politica dello struzzo: don’t ask don’t tell ( se sei omosessuale, uomo o donna, tientelo per te e noi, vertici militari, non ti rompiamo i c. – "promessa", tra l'altro, da marinaio).

Sempre sull'espressione burning blue.  E' un tipico ossimoro, nel caso del titolo del film perfino inevitabile dati i legami altamente esplosivi di cui il film racconta (Les liaisons dangereuses è giustamente uno dei libri più disseminati di ossimori, compreso il titolo). Un ossimoro per chi ce lo sa vedere, per chi ha visto o immagina una storia d’amore tra due uomini, due ragazzoni sposati, freddi, algidi (o che dovrebbero esserlo), e che dovrebbero solcare i cieli a velocità supersoniche e far bruciare il freddo blu dei cieli con la loro passione.

Ancora su burning blue. D'altra parte il cielo è sempre più blu e freddo. Nessuno riuscirebbe

giovedì 24 aprile 2014

Il comfort e il desiderio



La velocità è nemica del desiderio. Mirando a accorciare o annullare le distanze, una sempre maggiore velocità funzionale dei mezzi tecnologici comporta una sempre più costante eliminazione degli sforzi, delle fatiche di cui il desiderio necessariamente si nutre. Oppure finisce con l'imporre un oggetto del "desiderio" caratterizzato da un tasso di obsolescenza sempre più elevato, adeguato ai nuovi parametri. E questo sempre meno faticoso "desiderare", questa realizzazione sempre più immediata di uno scopo, è esemplificata oggi dalla facile soddisfazione del "desiderio" dell’ultimo

domenica 22 settembre 2013

solo la donna è sempre donna. cinema e sguardo abusivo


Esiste una genia di registi uomini che sfrutta ancora il concetto della donna pupazzo dei divertimenti e degli arrapamenti del maschio frustrato. È un’immagine vecchia come il mondo e potrebbe tranquillamente essere considerata un capitolo di quello studio che Germaine Greer ha intitolato L’eunuco femmina, la donna cioè feticcio. Si veda per esempio il terzo film della serie Alien, nel quale un modulo di salvataggio della nave spaziale USS Sulaco, costretto a un atterraggio d’emergenza, finisce su un piccolo pianeta occupato esclusivamente da un carcere di massima sicurezza. Chi sono i detenuti tutti uomini di questo carcere? Serial killer e stupratori. Chi è l’’umico membro dell’equipaggio a salvarsi? una donna, che tirata fuori dai soccorritori è rimasta guarda caso pure in slippini, con l’ombelico (il buco) bene in vista, che non sarebbe altro che l’occhietto che pure un regista del calibro di David Fincher si permette di fare al generico spettatore: da una parte al maschio, convinto che tutti i maschi di questo mondo condividano la sua visione priapica dell’esistenza, dall’altra alle donne, eccitato alla semplice idea che la generica donna possa gustare il suo momentaneo arrapamento nella visione di questo che è probabilmente il peggiore dei suoi film. Le donne non portano minori responsabilità: lo sguardo della donna spettatrice, in questo genere di film, resta in effetti ambiguo: come mamma indulgente chiude un occhio nel migliore dei casi e nel peggiore finirà per arraparsi anche lei (checché ne dica il femminismo più radicale): si arrapa a sentire il suo maschio arrapato; anche se in quanto donna lo sarebbe forse meno se si rendesse conto che il suo uomo è semplicemente arrapato perché un altro maschio, il regista, è anche lui arrapato e gli sta offrendo in una sorta di intesa - ben conosciuta nelle conversazioni tra maschi - questi suoi segni e sogni erotici da quattro soldi. Ma se un maschio si eccita ai sogni erotici di un altro maschio, il dado non è molto tratto, non si lascia nessuno spazio al caso: si tratta né più né meno di qualcosa che va oltre le aspettative, il contrario cioè di quello che questo spettatore si immagina quando entra al cinema, poco importa che la concezione priapica che il regista ha del mondo sia ampiamente condivisa dall'umanità maschile: resta il fatto che in quel particolare momento il maschio si eccita coi sogni erotici proposti da un altro. Punto. È quindi ingiusta l’accusa mossa a Holliwood di una sua certa supposta omofobia: questo tipo di pellicole, tanto più se arrivano da un ottimo regista, lo stesso che ebbe il coraggio di proporre l’omoeroticissimo Fight Club, dimostrerebbero esattamente il contrario (d'altronde è ben noto come perfino in un concreto triangolo sessuale di due uomini e una donna, quest'ultima, nel duplice tritacarne maschile, rappresenta il cosiddetto alibi, o il terzo incomodo; a differenza di un triangolo di due donne e un uomo, dove il fatto che si tratti di un rapporto lesbico a tre può essere quasi dimostrato matematicamente: aumentando il numero di donne e portandolo col metodo dell’analisi matematica all’infinito, sogno di ogni uomo: l’integrale che ne risulta non può essere che donna: l’uomo che realizza così il suo sogno di essere alla fine anche lui quello che è sempre stato: una povera donna mancata).

Le pretese del mercato non son ovviamente discutibili. Ma almeno in questo caso tutto è facilitato

martedì 4 giugno 2013

L'uovo e la gallina

                                      Wilamowitz e Sauppe

Voglio accennare a uno dei più gravi problemi che angustiano la vita di chi studia Plutarco. Sono stati  versati su riviste specialistiche fiumi di parole. La sostanza della questione è la seguente: quale delle due biografie Plutarco scrisse per prima, quella di Cesare o quella di Bruto?