lunedì 30 giugno 2014

La griglia di Kierkegaard e le ghiande di Wittgenstein




Alessio Sbarbaro, Barbecue - Wikipedia


Kierkegaard possedeva, dell’entomologia, una visione allargata: più estesa di quella che avevano immaginato i suoi fondatori (di sicuro Aritstotele se ne dilettava, e anzi sarà stato lui il primo a usare il termine entomon). Vi includeva, Kierkegaard, come oggetto di studio, gli ominidi: un'estensione che da allora non smette di essere suscettibile di ulteriori ampliamenti e correzioni, adattandosi a ricevere le nuove categorizzazioni, le nuove divisioni sociali e sociologiche - a patto che la funzione primaria di alcuni insetti

domenica 29 giugno 2014

Lo spettacolo della scempiaggine e gli assegni profumati della stampa



Due idiozie una più grossa dell’altra ancora in un titolo del giornale citato nel post precedente:

“NASTRI D’ARGENTO, TRIONFA PAOLO VIRZI’, MA TANTO SPAZIO AI GIOVANI TALENTI”.

Lasciando da parte chi sia questo Paolo Virzì, e se non lo so io vuol dire che conta come l’asso di picche, la prima idiozia consiste in questo, che si parla di talenti quando invece non se ne vede neppure mezzo all'orizzonte; la seconda, che si dia un’età al talento, seguendo in questo la moda adottata ormai da tutti i parolai di questo paese e non solo. Se così fosse, bisognerebbe chiamare Leonardo, al termine della sua vita, un vecchio talento. Con il che, con questo giornale della pseudo sinistra ho finito. D’altra parte, un giornale il cui livello culturale è talmente alto che chiama ironia delle freddurine, anzi delle fritturine per immagini (uno spirito di patata che me li fa scendere fino ai ginocchi), in uno spazio del sito nel quale mostra le foto del cannibale dei mondiali in veste di Dracula e titola appunto L’ironia di Twitter, vuol dire che ha il pubblico che va a cercarsi. Dominus vobiscum! et cum spiritu tuo! Amen.

Il caso Yara. Dove sei grande Sciascia?








Il delirio dei giornali italiani, lontani ormai da ogni più elementare logica, pure quella che regge il delirio. Si legge su Repubblica, sul caso Yara:

“Proprio nei cantieri frequentati da Bossetti, si viene a sapere, sono andati spesso i funzionari incaricati delle indagini. ‘Non possiamo dire niente, ci hanno detto di non parlare, comunque - dice un collega di Bossetti –‘ siamo stati interrogati sulle assenze di Massimo dal cantiere’... ". Chiede l'anonimato, è un lavoratore nella cantieristica,  d i c e  e  n o n  d i c e,  m a  q u e l l o c h e  d i c e  a p- p a r e  m o l t o  i m p o r t a n t e: "Qualche volta Bossetti ci diceva che aveva da fare e se ne andava, spariva dal cantiere e no, non sappiamo dove. Uno di noi l'aveva soprannominato  i l  c a c i a b a -  l e,  o  qualche cosa del genere".

Caciabale, o cacciabballe: a Roma si direbbe cazzarone. E gia non si capisce cosa c'entri questo essere cacciabballe con

venerdì 27 giugno 2014

L'inno di Mameli e i cori delle nazioni allo stadio



Non si capisce cosa volevano fare: se ci credevano veramente, magari dopo essersi osservati dall’esterno un po' prima prima di partire per il Brasile, o se invece prima di partire non abbiano semplicemente controllato un'ultima volta il conto in banca e stretto ulteriormente le chiappe, come farebbe chiunque controlli – Dante permettendo – il gruzzoletto costruito sul nulla. La ragione di tanta sconcertante sicumera è la stessa che è dietro le dinamiche di certi fantasiosi scalzacani, i quali non si accontentano di mettere insieme un’accozzaglia di frasi senza senso convinti di comporre una storia grandiosa, hanno pure la pretesa di voler passare per talenti o di oscurare i veri talenti, la pretesa di aver scritto finalmente "il più bel romanzo del mondo": e ce ne sono tanti quanti sono quelli che scrivono.

Balotelli – per dire quanto gliene fregava di piazzarsi al turno successivo – è tornato coi capelli biondi e può darsi che il suo ideale adesso sia la Svezia. Chiellini, per un semplice mozzico sulla spalla girava istericamente in campo come quel personaggio di cui parla lo studente di retorica del Satyricon, a mostrare al pubblico le ferite. Se l’Urugay è abituato a vincere barando (e nemmeno barando, perché il trucco uruguayano è ormai talmente evidente che è già istituzionalizzato - e basterebbe riandare alla partita col Ghana del 2010, al modo in cui i belli, entusiasti solari ghanesi vengono eliminati perché lo stesso cannibale uruguayano che adesso mozzica il braccio a Chiellini, all'ultimo minuto blocca con le mani un pallone che sta già entrando in porta) se l’Uruguay è abituato a vincere barando, i cosiddetti undici azzurri, che io chiamerei a questo punto verdi (e non tanto per il colore dei soldi ma per quello della strizza) hanno perso non onestamente, giocando o lottando e cedendo di fronte al più forte, ma, come è tipico degli italiani, scommettendo. E la scommessa, siccome hanno puntato su se stessi, cioè sul peggiore, è stata automaticamente persa.

Infine, per dirla tutta, non me ne importa un fico secco delle distinzioni nazionalistiche. E forse, bisognerebbe andarci anche cauti a dirsi patrioti, e andrebbe valutato attentamente il paradossale detto del Dottor Johnson, giudizio pronunciato nel 1775, che cioè il patriottismo non sarebbe altro che l'ultimo rifugio delle canaglie.

Il gioco del perché. Nota su Wittgenstein etico




La spiegazione scientifica è una tautologia. Non chiarisce assolutamente niente che non sia già osservabile nell'evento correttamente descritto; rende al massimo ragione, quantitativamente, di certi rapporti, permette attraverso una formula di misurarli. Ossessionata in effetti la scienza dall’eliminazione del garante esterno, di Dio, e dalla fuga della coscienza dalla trascendenza, e dovendo ripiegare su se stessa, servirsi soltanto degli elementi che costituiscono il fenomeno, che altro può fare se non spiegare il fenomeno attraverso il fenomeno stesso e incappare in un così elementare circolo vizioso che vedrebbe pure un bambino? la tanto ventilata oggettività va a farsi friggere, se è vero che per produrre oggettività, per definzione, c’è bisogno che gli elementi di un fenomeno siano osservati dall’esterno, ob-iectata, ripetutamente gettati davanti a sé, bisogna che non si auto-descrivano, che non siano autorefenziali, che non trovino riferimento necessario e sufficiente in se stessi. Dal che è anche ovvio, che chiunque si vanti di possedere una vera oggettività, non fa che introdurre, di necessità, un elemento trascendente all’oggetto osservato, cioè se stesso. In altri termini, quell’assoluto che vorrebbe negare

Inoltre, come dice Wittgenstein (che però mi pare non si accorge di cadere lui stesso nell’errore che critica) nelle sue Note sul Ramo d’oro di Frazer, è una qualsiasi spiegazione (non solo in ambito scientifico) a essere superflua e quindi inutile.

“Ich glaube dass das Unternehmen einer Erklaerung  schon darum verfehlt ist, weil man nur richtig susammenstellen muss, was man weiss, und nichts dazusetzen, und die Befriedigung, die durch die Erklaerung angestrebt wird, ergibt sich von selbst”.

"Credo che l’impresa di dare una spiegazione è già per questo motivo sbagliata, perché bisogna comporre soltanto ciò che si sa, e non aggiungere altro, di modo che la soddisfazione che si cerca tramite la spiegazione, si dia da sé".

Insomma Wittgestein, seguendo se stesso, avrebbe dovuto limitarsi al solo enunciato: ogni spiegazione è sbagliata, "non aggiungere altro", non dare nessuna spiegazione.

In più, la spiegazione, a differenza della composizione corretta degli elementi che di un fenomeno si conoscono e del semplice prenderne atto, non dà nessuna soddisfazione, e questo è tanto vero che fin dalla notte dei tempi il bambino non si ferma mai a un primo perché ma inizia a filare un'infinita interminabile catena. Il bambino domanda: perché, papà, questo fa questo? E il padre: perché è così e così. E il bambino: e perché è così e così?, e il padre: perché è collì e collì. E il bambino: e perché è collì e collì? E il padre: perché è collà e collà. E si andrebbe avanti veramente all’infinito se il padre a un certo punto non si mettesse a urlare.  Il meccanismo è ovvio: la spiegazione, ad ogni gradino ("every step of the way will find us with the cares of the world far behind us", dice la voce innamorata di Louis Armstrong), lascia il bambino insoddisfatto. Soltanto quando il bambino avrà un quadro più completo, una composizione degli elementi acquisiti, a quel punto (si spera) sarà adulto, non avrà più voglia di fare domande, gli basterà quello che vede, troverà fastidioso che gli si chieda il perché di qualcosa e ancora più fastidiose e inutili le risposte. Ma toccherà a lui, a quel punto, rispondere al figlio. Prendere nuovamente parte, a ruoli invertiti, al gioco perpetuo del perché.

mercoledì 25 giugno 2014

genio felicità e multinazionali










Il genio può facilmente riconoscere  il genio anche se, come tutti, non lo capisce. E questo appararire umano del genio, che riconosce l’altro genio senza comprenderlo, fa brillare ancora di più la sua natura extra umana: il "dio" che si fa uomo, che dà giudizi come un qualsiasi altro uomo. Che è poi quanto succede a Wittgenstein, che nei suoi diari, all’entrata del 24 novembre 1914, annota di aver ricevuto un libro di poesie di Trackl, il poeta espressionista austriaco, da poco, quasi trentenne, chiamato in cielo:

"Ficker sandte mir die Gedichte des armen Trakl, die ich für genial halte, ohne sie zu verstehen. Sie taten mir wohl.

(Ficker mi ha inviato le poesie del povero Trackl, che considero geniali, anche se non le capisco. Mi hanno fatto bene).

E anche altrove, nella lettera di ringraziamento a von Ficker di qualche giorno dopo (28.11.1914), Wittgenstein insiste su ciò che dovrebbe essere questo qualcosa in cui si riconosce il genio: la possibilità (almeno pare di capire) che la sua azione nel mondo risulti benefica senza che se ne comprenda il meccanismo (un po’ alla stregua di un’erba officinale più che di un farmaco di una multinazionale, i cui meccanismi di aggressione del corpo umano e del corpo delle povere cavie da laboratorio sono invece ben conosciuti e descritti quantitativamente, misurati dalla chimica e dalla biologia) :

“Ich verstehe sie nicht; aber ihr Ton beglückt mich. Es ist der Ton der wahrhaft genialen Menschen”:

(Non le capisco ma il loro tono mi rende felice. E’ il tono dei veri geni).