E' difficile immaginare al di fuori del mondo ascetico un'umanita che segua la strada del massimo sforzo. Non c'è niente in natura che non segua un principio economico. E questo dovrebbe indicare che l'umanità porta memoria della sua originaria conformazione, del fatto di essere nient'altro che un ammasso di atomi. E' paradossalmente una delle nozioni più stuzzicanti per lo studente di fisica, di fisica teorica (e lo era anche per me, quella sulla quale confesso di aver battuto la testa per quasi un mese per l'esame di meccanica razionale: se riuscivo a capirlo sul piano matematico, delle integrazioni anche piuttosto banali della lagrangiana, della differenza tra energia cinetica e potenziale, non riuscivo a darmene una ragione ultima: perché dovesse essere proprio così in natura e non l'opposto, perché la natura debba essere così pigra quando invece sulla pigrizia da sempre pesano gli anatemi di morali e civiltà "progressiste", che come la nostra hanno il culto della natura (in questi casi la matematica non mi ha mai aiutato): voglio dire il principio detto di minima azione, il principio di Hamilton, che in fondo non è altro, attraverso una formulazione variazionale delle equazioni lagrangiane, che una generalizzazione delle leggi della dinamica newtoniana, un grosso regalo alla successiva meccanica relativistica e quantistica.
Per comprenderlo oggi lo studente robot può anche fare il consueto salto di astrazione, eliminare qualsiasi necessità di interpretarlo macroscopicamente, di renderselo visibile, di intenderlo indipendentemente dalle nozioni di ricerca di minimo e massimo dei funzionali, di quelle funzioni cioè il cui dominio è un insieme di altre funzioni: tenendosi insomma ben lontano dalla concretezza dell'esperienza (la fisica si faceva un tempo col calderone e ogni formula sembrava essere qualcosa di direttamente visibile, fatto ancora evidente, se vogliamo, quando questi primi problemi variazionali venivano posti, quando Newton si domandava, nei Philosophiae naturalis principia mathematica, che forma dovesse avere il solido di rivoluzione di minor resistenza, un proiettile di fucile eccetera).
E tuttavia, se non ci si volesse limitare alla matematica, del principio di Hamilton (come di altri principi della natura), secondo il quale di ogni sistema meccanico esiste un integrale S, chiamato azione, che risulta minimo per il moto effettivo e la cui variazione δS non può che essere di conseguenza nulla, non si può andare oltre una sua descrizione qualitativa, non si può andare oltre il fatto che in un sistema meccanico conservativo, tra tutte le traiettorie che un corpo in assenza di vincoli ha a disposizione per spostarsi da un punto a un altro, la traiettoria effettivamente seguita sarà quella più economicamente, in termini di trasformazione energetica, appetibile, efficiente. In natura l'azione (un numero che ha la dimensione di un'energia per un tempo) è minimizzata sempre. Perché poi sia effettivamente così lo sa soltanto Dio. Se si lancia un bichiere per aria, questo non si metterà a seguire una serie di traiettorie sul modello montagne russe prima di ricadere per terra, andrà direttamente al sodo. Lo sa soltanto Dio perché la forza di gravità agisce in questo modo. E questo è tutto quello che si può dire.
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giovedì 18 dicembre 2014
lunedì 27 ottobre 2014
L'uomo perfetto e l'obsolescenza di Dio.
L'uomo perfetto, secondo Aristotele, non esiste. E non so nemmeno a chi interesserebbe quest'uomo perfetto se anche esistesse. Vedi pure la nozione di onestà e il dramma di Pirandello, che sposta il discorso al campo dell'etica. Esistono oggetti in ogni tempo considerati perfetti, che dovrebbero essere un riflesso della tendenza dell'uomo a interagire all'interno di un processo limitatizzante, per senso di compiutezza (perficio), o, che è lo stesso, della sua impossibilità a interagire all'esterno di tale processo. D'altro canto la perfezione di un oggetto, a cui la tecnica in ogni tempo mira, è in contraddizione con l'esistenza stessa della tecnica. Oggi un oggetto è considerato perfetto e nello stesso tempo deve avere un grado di obsolescenza elevatissimo, pena la morte della tecnologia, la chiusura delle fabbriche eccetera. La perfezione è quindi tanto più un mito, un inganno ideologico, quanto più si cerca di spacciarla per possibile, anzi realizzata. Questo ragionamento può applicarsi a qualsiasi settore dell'azione umana, e non soltanto all'azione ma anche alla contemplazione, dove la durata della visione di Dio si riduce a un tempo non infinitesimo ma minimo se il concetto di visione e quindi di narrazione (o auto-narrazione) indica durata. Il che toglie ogni valore che non sia propagandistico all'esperienza mistica, a meno che non la si voglia chiamare esperienza della massima obsolescenza di Dio. Vedi anche quanto detto nell'Inganno dell'ascesi e in Tempo divino e tempo umano.
lunedì 20 ottobre 2014
L'inganno dell'ascesi
ἀνιπτόποδες,
χαμαιεῦναι
che non si lavano i piedi, dormono per terra
Così Achille (Il., 16,35) parlando dei Selli, sacerdoti di Dodona, considerati i più antichi in Grecia. E vedi anche il frammento del'Eretteo di Euripide, conosciuto grazie unicamente a Clemente Alesandrino che lo cita nei suoi Stromata e che considera i versi un'imitazione di Omero:
... ἐν ἀστρώτῳ πέδῳ
εὕδουσι, πηγαῖς δ' οὐχ ὑγραίνουσιν πόδας. (Er., fr. 367 Nauck)
... sulla terra nuda
dormono e non si bagnano i piedi alle fonti.
È sicuramente un dato di fatto che l'ascesi - nel senso di un lungo percorso costellato di ostacoli (di esercizi) che parte dall'umano e arriva fino al divino - non sia invenzione né del Giudaismo né del Cristianesimo e che nessuna religione in particolare possa dire di averla scoperta; ma è vero che è nelle religioni della colpa che esiste una stessa idea di un Dio che non può essere degnamente servito se non sperimentando una condizione di privazione e di estremo affaticamento di tutto il corpo: con l'esperienza fisica della durezza (e dovrei forse ricordare qui i foglianti del cardinal Bona, di cui a suo tempo traducevo il trattatello sulla Messa, l'uso della pietra cone cuscino). Tuttavia, anche questo concetto di privazione, di affaticamento, difficilmente potrebbe fondarsi su un'originaria idea di possesso: sarebbe vero l'opposto: è il possesso che va sempre definito a partire da un'idea di non accumulo (la questione non è se essere poveri sia un male, come da sempre cercano di dimostrare tutte le storiografie al servizio del capitale, dal quale dipendono: i termini povertà, indigenza, necessità sono ammantati di ideologia ancor prima di divenire operanti: non sono nemmeno una sorta di grado zero. Il grado originario è quello dell'uomo che nasce nudo (e non sa di esserlo) e sul quale in seguito si accumulano o stratificano tutte le possibili definizioni a venire.
Ogni forma di ascesi non può essere quindi un esercizio (è il senso d'altronde del greco askesis) di ritorno alle origini, quelle stratificazioni glielo impediscono; si tratta invece di un'elevazione proposta sulla base e come rifiuto di ciò che si possiede, che non può essere abolito e che non e assolutamente un dato originario: è in più un movimento verso l'alto invece che verso il basso - è conosciuta delle sacerdotesse di Dodona (non solo il più antico ma, almeno secondo Erodoto, in origine anche l'unico oracolo della Grecia) un'invocazione ricordata da Pausania:
Γᾶ καρποὺς ἀνίει, διὸ κλῄζετε Ματέρα γαῖαν. (Paus., X, 12, 10)
La terra produce frutti, invocate perciò la Madre Terra.
Inoltre, qualsiasi ascesi che si ponga come scopo la conquista del cielo attraverso un ritorno a uno stato precedente di vita sulla terra non potrebbe darsi che come una certa maniera di oblio del presente e nello stesso tempo una reminiscenza del passato: è di conseguenza un'esperienza paradossale, una sorta di ossimoro, una contraddizione in termini: non si può, cioè, senza dimenticare completamente il presente riattualizzare nessun passato, il quale, a sua volta, se anche diventasse il nuovo presente, resterebbe per definizione all'origine di ciò di cui già era stato all'origine - è tra l'altro la ragione del fallimento di tutte le riforme dei vari ordini religiosi avviate dall'interno della Chiesa (nonostante la sopravvivenza delle singole riforme (cistercensi dai benedettini, foglianti e trappisti dai cistercensi, stretta osservanza e cappuccini dai francescani predicatori eccetera). Il chiodo più vecchio è sostituito da un chiodo apparentemente nuovo, ma che è invece più arrugginito del vecchio: è alla base di ciò che si credeva così superato.
Perciò, l'idea di un ritorno a uno stato precedente da cui ripartire è sempre funzione di una convinzione, di un'ideologia: è la presunzione di credere non solo che il presente si possa abolire, si possa cancellare, ma anche che il presente da abolire non sopravviva nel passato che si tenta di riattualizzare (che si tratti come nel Cristianesimo di un ritorno alla semplicità della propaganda evangelica o di un ritorno alla natura in religioni naturistiche). L'originaria Ragione non è assolutamente riattuabile se non attraverso un inganno ideologico. Di qui anche il fallimento di Hegel e di ogni hegelismo
Γᾶ καρποὺς ἀνίει, διὸ κλῄζετε Ματέρα γαῖαν. (Paus., X, 12, 10)
La terra produce frutti, invocate perciò la Madre Terra.
Inoltre, qualsiasi ascesi che si ponga come scopo la conquista del cielo attraverso un ritorno a uno stato precedente di vita sulla terra non potrebbe darsi che come una certa maniera di oblio del presente e nello stesso tempo una reminiscenza del passato: è di conseguenza un'esperienza paradossale, una sorta di ossimoro, una contraddizione in termini: non si può, cioè, senza dimenticare completamente il presente riattualizzare nessun passato, il quale, a sua volta, se anche diventasse il nuovo presente, resterebbe per definizione all'origine di ciò di cui già era stato all'origine - è tra l'altro la ragione del fallimento di tutte le riforme dei vari ordini religiosi avviate dall'interno della Chiesa (nonostante la sopravvivenza delle singole riforme (cistercensi dai benedettini, foglianti e trappisti dai cistercensi, stretta osservanza e cappuccini dai francescani predicatori eccetera). Il chiodo più vecchio è sostituito da un chiodo apparentemente nuovo, ma che è invece più arrugginito del vecchio: è alla base di ciò che si credeva così superato.
Perciò, l'idea di un ritorno a uno stato precedente da cui ripartire è sempre funzione di una convinzione, di un'ideologia: è la presunzione di credere non solo che il presente si possa abolire, si possa cancellare, ma anche che il presente da abolire non sopravviva nel passato che si tenta di riattualizzare (che si tratti come nel Cristianesimo di un ritorno alla semplicità della propaganda evangelica o di un ritorno alla natura in religioni naturistiche). L'originaria Ragione non è assolutamente riattuabile se non attraverso un inganno ideologico. Di qui anche il fallimento di Hegel e di ogni hegelismo
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