giovedì 31 luglio 2014

Lo schizzetto dei cani e l'eterno

Ci ho messo una vita a capirlo, ma alla fine è arrivato. L’illuminazione l’ho avuta tornando dal supermercato. Non avevo mai capito per quale ragione chiunque si compra una casa (a parte una casa appena costruita – e pure qui qualche schizzetto parte) la prima cosa che fa è ristrutturarla. E’ lo stesso meccanismo istintuale che spinge i cani a marcare il territorio. E come per i cani, i diritti di proprietà durano il tempo del passaggio. E questa risposta, che alla fine stava da qualche parte, mi fa pensare ai versi di  Rimbaud:

 ... Elle est retrouvée.
Quoi ? - L'Eternité ...

... E' ritrovata.
Che cosa? - L'eternità ...

Wittgenstein a braccetto con Eraclito

Chi soprattutto siano gli “uomini che restano ignoranti”(ἀξύνετοι γίνονται ἄνθρωποι ) del frammento 1 di Eraclito, incapaci di comprendere il suo ragionamento (logos), non mi pare ci siano molti dubbi. Basterebbe un semplice accostamento con la lettera di Wittgenstein a von Ficker, di cui ho già detto. Così come Wittgenstein non capisce a cosa servano i professori di filosofia, i meno adatti a comprendere il suo Tractatus, anche Eraclito affonda il coltello nella piaga:
  
γινομένων γὰρ πάντων κατὰ τὸν λόγον τόνδε ἀπείροισιν ἐοίκασι, πειρώμενοι καὶ ἐπέων καὶ ἔργων τοιούτων, ὁκοίων ἐγὼ διηγεῦμαι κατὰ φύσιν διαιρέων ἕκαστον καὶ φράζων ὅκως ἔχει.

Infatti, per quanto tutte le cose avvengano secondo questo ragionamento, loro sono simili a gente totalmente inesperta quando hanno a che fare con quelle parole e atti che io espongo distinguendoli secondo la loro natura ed esponendoli come sono.

Un pensiero (il pensiero) che si articola in un modo assolutamente vertiginoso se si pensa che si svolge con tale complessità e chiarezza 2500 anni fa e se lo si confronta col mare di idiozie postate tutti i giorni su twitter e FB.

L'autodidatta - storia di una tradizione e reati accademici

Il povero autodidatta assetato di conoscenza ( ma sono rimasti solo i pensionati nelle biblioteche a ricopiare nei  loro notebook interi brani su qualche personaggio storico amato - e forse non bisognerebbe chiamare autodidatti nemmeno questi, visto che ormai possono contare su quella paternalistica università della terza età) l'autodidatta di questo tipo non gode oggi di buona fama: non verrebbe invitato in televisione a parlare di Cartesio e non verrebbe minimamente "cagato" dagli addetti ai lavori, gli accademici, che lo sgamano subito, in genere dalla pronuncia “sbagliata” di una parola, di un termine, ad esempio Walter Benjamin pronunciato all'inglese. Io stesso, che pure non potrei dirmi autodidatta, nel senso che ho seguito le lezioni anche di nomi che andavano e vanno per la maggiore, e non solo al biennio di Fisica ma poi soprattutto in seguito a Lettere, venni colto in flagranza di reato accademico un giorno in cui (ero ancora studente) dissi, chiacchierando sull’autobus col professore di letteratura greca cristiana, Cibéle invece di Cìbele. “Anche lei!... ”, mi disse amareggiato, “Anche lei dice Cibèle!”. Forse allora, a vent'anni, mi suonava meglio. A rigore, secondo la pronuncia latina dovrebbe essere Cìbele, ammettendo la penultima breve. Ma la mia convinzione era e rimane ancorata al "buon senso", e sicuramente un "non autodidatta" e vanesio e snob come Cicerone, le parole greche che usava in latino le pronunciava alla greca, e tutte le parole greche che così venivano introdotte da altri colti o acculturati del tempo erano pronunciate secondo la pronuncia greca (nomi più comuni come Sòcrate, Demòstene, Aristòfane invece di Socràtes, Demostènes, Aristofànes come pronunciavano i greci, non posssono essere altro che frutto e retaggio di un uso di questi nomi al vocativo, che in greco ritirava l'accento, e in altri casi di un aritificio accademico fondato su ipotesi elaborate dalla tradizione grammaticale), così come oggi d'altronde (unica eccezione i francesi, che invece di dire Freud alla tedesca, come fa il resto del mondo, dicono Fred) un italiano che usa una parola inglese la pronuncia all'inglese, al massimo con un forte accento locale, softe invece di soft - il che tra l'altro indica che l'italiano, nonostante tutto, resta intrappolato fonologicamente nelle maglie della baritonesi latina (fenomeno più accentuato a Roma, dove parole come bar, gas eccetera diventano bare, gasse eccetera), e anche ai tempi di Cesare sicuramente non dicevano tot ma totte: totte capita totte sentenzia, una bella zeta sorda e dura al post di un balbettato ti di sententia.

Altro grave reato accademico in cui incappai da studente fu in occasione della seconda tesi, che dovetti scrivere in latino trattandosi di un’edizione critica, quando usai disgraziatamente hortor alla forma attiva: hortavit invece di hortatus est; cosa che – mi pare di averlo già ricordato in queste registrazioni - mandò su tutte le furie il correlatore, che oltretutto quel giorno era malato e s'era fatto sostituire. A essere onesti, l’avevo inserito di proposito, un pizzico di malizia, col puro gusto della provocazione. Credo che avessi in mente un uso tardo – quella forma si trova in certa tradizione di Petronio.

Eraclito (che tutti gli autodidatti pronunciano Eràclito) era autodidatta per orgoglio di nascita. Non ammette "il sapere" di nessuno al di fuori del proprio: spara a zero non solo contro i contemporanei e chi l’aveva preceduto ma anche contro i posteri. Omero, Senofane, Pitagora, Archiloco – per Archiloco anzi, che come lui era un feroce antidemocratico, prevedeva la verga: che venisse cacciato a suon di vergate dagli agoni poetici insieme al suo degno compare, Omero. Considerava se stesso la verità incarnata – non a caso amava, un po’ come Gesù, la compagnia dei bambini, che propose con sommo disprezzo dei suoi concittadini alla guida suprema dello Stato.

In tempi più recenti, poderoso autodidatta, "atleta della cultura italiana", come lo chiamava Contini, fu Benedetto Croce, che dopo aver seguito qualche lezione all’università tolse il disturbo, lo tolse cioè a se stesso.

Altro grande autodidatta – a parte gli anni di apprendimento delle lingue classiche, ma sempre seguito da mediocri precettori domestici – fu Leopardi, e non solo per le difficoltà di viaggi e sposatmenti. Con una biblioteca come quella del padre poteva benissimo restarsene a casa, tutt’al più spostava di qualche metro il  tavolinetto su cui studiava da un angolo all’altro della biblioteca, seguendo la luce del sole. Ma effettivamente sarebbe difficile immaginarsi un Leopardi che segue  le lezioni di un accademico. Avrebbe usato anche lui la verga se fosse capitato in qualche università e avesse sentito un qualsiasi professore aprire semplicemente bocca: quella stessa verga che Ranieri gli vide in mano a Napoli, un giorno che si apprestava a uscire per andare a bastonare qualcuno, per sua stessa ammissionepuò darsi il Tommaseo, il mediocre (o per lo meno mi piacerebbe pensare che pensarlo).

Autodidatta fu anche Bouffon: i parrucconi del suo tempo giustamente a'inchinarono al suo genio e lo nominarono membro dell'Accademia delle Scienze a soli ventisei anni.

Una cattiva conclusione, trovata in uno dei tanti forum dedicati alla cultura: la risposta di un forumer a un ragazzo che chiedeva se si pdiventare filosofi da autodidatti:

"Chi inizia da autodidatta, ammesso che abbia imparato a leggere (essenziale) alcuni testi non certo semplici, rischia di diventare un erudito, che è il contrario di un filosofo e di ogni intellettuale che abbia compreso che cultura è elaborare, connettere, associare, discernere"

Il che concorderebbe con quanto Diogene Laerzio parlando di Eraclito:

πολυμαθίη νόον ἔχειν οὐ διδάσκει· Ἡσίοδον γὰρ ἂν ἐδίδαξε καὶ Πυθαγόρην αὖτίς τε Ξενοφάνεά τε καὶ Ἑκαταῖον (ix, 1) 

una vasta erudizione non insegna ad avere acutezza: se così fosse l'avrebbe insegnata a Esiodo a Pitagora a Senofane e a Ecateo.

Ma il sottinteso di quel forumer è che si comprende cos'è cultura - cioè elaborare, connettere eccetera - solo se si seguono le lezioni di qualcuno, anche se questo qualcuno è un mentecatto - e bastava forse dire a quel poveretto che se postava simili domande non sarebbe comunque diventato un filosofo.

 E' curioso poi che proprio coloro che nelle università, a Filosofia, girano e rigirano come un pedalino e analizzano in tutte le salse il "conosci te stesso" che si leggeva sul tempio di Delfi, proprio costoro poi storcono il naso quando sentono parlare un autodidatta, magari anche intuitivo e geniale. Vorrebbero che sul quel tempio, invece di gnothi sauton, conosci te stesso, ci fosse stato scritto "conosci me stesso".
eccetera

mercoledì 30 luglio 2014

ancora su Eraclito: traduzione e false friends

E' difficile che un traduttore dal greco antico vada fuori tiro, che toppi (soprattutto nell'attuale clima produttivo delle università, di ossessivo controllo filologico, ogni cosa eseguita ritualmente nell'orizzonte di attesa dei colleghi che ti devono leggere e che stanno col fucile puntato addosso se sbagli una semplice virgola e soprattutto se non citi le loro illegibili, incoerenti sciocchezze, che comunque non leggerebbe nessuno) ma succede. Come nel caso della traduzione ancora usata di Diogene Laerzio, curata parecchi anni fa da un grande della filologia e papirologia, Marcello Gigante (e qui non è una virgola), il quale traduce o fa tradurre, dando luogo così a dei curiosi false friends, astrologìa con astrologia (I, 23) e poi qualche riga sotto la intende invece giustamente come astronomia, o dedicarsi all'astronomia, non ricordo, ma il greco è ἀστρολογῆσαι, che vale appunto occuparsi di astronomia, detto in questo caso di Talete, attività che secondo Diogene Laerzio anche Eraclito confermerebbe (μαρτυρεῖ δ' αὐτῷ καὶ Ἡράκλειτος) cioè "gli rende buona o favorevole testimonianza".

In realtà, nel passo in questione, erroneamente tradotto, si parla semplicemente di un'opera che andava sotto il nome di Talete (la ricordava ancora Plutarco già prima di Laerzio, e tre secoli dopo Laerzio la ricorda ancora Simplicio nel commento alla Fisica di Aristotele) ma ritentuta composta da un Foco di Samo, l'Astronomia nautica (ναυτικὴ ἀστρολογία), non certo l'astrologia nautica, perché consigliare a dei marinai di affidarsi al destino (a quello che è già scritto negli astri) piuttosto che alla scienza astronomica, era considerato anche ai tempi di Talete (che secondo Callimaco aveva fatto non modeste scoperte se tuttora alziamo i nostri moderni nasi a osservarle), come il classico darsi una martellata sui piedi:


Callimaco lo conosce scopritore dell'Orsa minore, così come si legge nei suoi giambi:

"E del Carro si dice abbia misurato
le piccole stelle, con le quali navigano i Fenici"

(Καλλίμαχος δ' αὐτὸν οἶδεν εὑρέτην τῆς ἄρκτου τῆς μικρᾶς, λέγων ἐν τοῖς Ἰάμβοις οὕτως·

     καὶ τῆς Ἀμάξης ἐλέγετο σταθμήσασθαι
     τοὺς ἀστερίσκους, ᾗ πλέουσι Φοίνικες. [Diog. I, 23])