venerdì 31 gennaio 2014

il talento e il fallimento




                                           Vivaldi - terzo movimento Estate

Il talento è questo. Soltanto questo. Meglio quindi abbandonare ogni speranza se si intende passare alla Storia in qualche altro modo. Alla Storia, se sei un musicista o un artista o uno scrittore, ci passi unicamente così: producendo cose divine come il terzo movimento dell’Estate di Vivaldi, offrendo ai tuoi simili un capolavoro come Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. E anche quando si appartiene ai grandi non si è mai completamente sicuri. Gadda, a cui da vecchio chiesero se credeva che di lui sarebbe rimasto qualcosa si limitò a glissare, da buon modesto milanese: "beh, si, forse qualcosa, vero". Figuariamoci quindi quando si è dei semplici scribacchini direttori di giornali al servizio del Capitale, quando cioè non si conosce nemmeno intuitivamente la vecchia differenza metafisica tra l'αἰσθητόν, il sensibile, il manufatto artistico, e il νοητόν, il non-sensibile, ciò con cui l'arte, la scrittura dovrebbero metterti in contatto. Il talento è una cosa che hai perché una scintilla lanciata a caso da Dio ha colpito te e soltanto te (e per essere colpito non devi comunque essere direttore di giornale o aver stretto alleanze col potere). Questo anche se non si volesse prendere per buono il fatto che comunque Dio oggi scintille non ne lancia più. E' annoiatao e nauseato dal nulla, contro il quale anche Lui, a suo modo, aveva provato a fare qualcosa: aveva quantomeno pronunciato il famoso fiat lux!

Su quest'altro fronte però, quello della totale assenza di talento, Lucia Annunziata e Giuliano Ferrara si danno quantomeno del tu. Si potrebbe obbiettare che è normale visto che sono colleghi – nel giornalismo se scrivi per un giornale di destra o per uno della pseudo sinistra o liberal, come piace a questa gente chiamarsi, sei sempre collega. Io la vedo differentemente, perché coi fascisti il tu non me lo do, e non me lo do nemmeno con un comunista se subodoro stupidità. Questi due saranno colleghi ma resta il fatto che si danno del tu. Si potrebbe anche argomentare che il tu è dovuto geneticamente, visto che sono ex sessantottini (un periodo che grazie al cielo non ho vissuto, anche se poi ci sono stati sessantottini che hanno fatto una vita normale, decente, hanno servito veramente il prossimo, e non hanno sgomitato e non sono passati sul cadavere di nessuno per ottenere quel potere contro il quale nel '68 si urlava dai megafoni). Pubblicò un buon articolo nel 1997, sul Corriere della Sera, Merlo Francesco (si firmava così, prima il cognome): un articolo con un sottotitolo che peccava magari un tantino di presunzione: Vite parallele - quasi a ricordo del grande Plutarco – e chissà se l’aveva letto in greco per permettersi un simile prestito; ma l’articolo era interessante, ben scritto, intelligente: metteva a confronto Annunziata con Gad Lerner: ciò che erano nel 1968 e quello che diventarono in seguito (nel 1997 erano suppergiù quello che sono oggi). E lì, in quell'articolo, si riesce a capire benissimo chi era questa Annunciata quando vestiva ancora con l'eskimo innocente, e che oggi intervista i presidenti di Confindustria e va a braccetto con Arianna Huffington (quella stessa che rompe i timpani tutto l’anno col suo insignificante blog e che poi a Natale dice che bisogna invece staccare un po’ la spina, per via delle festività, prendere le distanze da Internet e dalla tecnologia. Proprio da che pulpito viene la predica!

Comunque, per non tirarla troppo per le lunghe, caro diario, siccome hai iniziato parlando del talento di Vivaldi e poi in forma di ossimoro ci hai infilato tutto l’opposto, aggiungerei che il fatto che due persone cosiddette pubbliche, piazzate su opposte "barricate", si diano del tu davanti a tutti è una cosa che mi disgusta: è come se entrando in un gabinetto ci trovo seduto sulla tazza qualcuno a fare i suoi bisogni. E a parte la puzza, anche lo squallore. Il che succede soltanto in galera. Ecco, forse facendo i loro bisogni in pubblico vogliono farci credere di essere solidali coi carcerati. E ne scrivono sui loro giornali. E quanto scrivvono! articoli pieni di "altruismo" e di "umanità, di amore per l'essere umano. Uno di questi direttori ha addirittura dichiarato di essere stato al soldo della CIA. Soltanto che la galera non l'hanno mai provata. Non sanno nemmeno lontanamente che cos'è. A parte il gabinetto sotto l'occhio della telecamera, ovviamente.

giovedì 30 gennaio 2014

il pavone che vorrebbe pensare



Se volessi dire qualcosa su quei giornalisti italiani che vanno per la maggiore e volessi scriverlo nel greco usato mettiamo ai tempi di Cesare allora forse mi inventerei qualcosa come:


παραλογίζονται πολλὰ οἱ διασημηνάμενοι ἀπειράτως περὶ τοῦ τῶν σπουδαίων ἀνθρώπων βίου


In altre parole:

toppano alla grande quando si mettono a descrivere, senza averne esperienza di prima mano, l’esistenza quotidiana di uomini e donne che a differenza di loro lavorano seriamente.

Che è poi il grosso dell’umanità. Per questa stessa ragione - e invertendo il punto di vista - non riesco a capire perché i tanti italiani che sputano letteralmente sangue per arrivare alla fine del mese si mettano poi a leggere pseudo-analisi o raccontini mitologici di chi non sa niente non solo della vita altrui ma anche della propria; o per quale ragione - anche senza leggere e limitandosi a un ascolto per così dire passivo - si piazzino davanti alla televisione e si divertano ad apprendere un mare di sciocchezze su ciò che li riguarda, sulla propria esistenza (che a questo punto verrebbe da pensare la conoscono meno di chi ne parla in forma tanto sciatta e dove tutto è presente meno che il talento e il pensiero - e sarebbe un capitoletto dell'estetica: ciò che oggi viene percepito come bello o giusto).

C’è da dire che non c’è grossa differenza, nel giornalismo, tra donne e uomini: le donne esercitano la professione con l'idea di esercitare quel potere che in passato era loro negato, gli uomini per vanità e narcisismo. I peggiori sono ovviamente gli uomini: ricordano, senza averne la grazia, i pavoni che aprono la ruota in un deserto (e sarebbe già un'immagine meravigliosa, quanto meno poetica). Ma in entrambi i casi, uomini o donne, sono motivati dalla carenza di qualcosa. Un po’ come quando si dice: è carente di vitamina B o C.

domenica 26 gennaio 2014

Leopardi i cani e gli uccelli


cagnetto randagio (foto Lucignolobrescia - Wikipedia)

 L'antico cave canem sui cancelli delle ville (attenti al cane) è stato sostituito dal più allegro area videorvegliata. Il che rappresenta un progresso, almeno si lasciano in pace i cani.

E' curioso come si usi quasi sempre il singolare, raramente il plurale: attenti al cane, anche quando ce ne sono parecchi. La ragione, a mio avviso, è che è difficile per chi si arrischia nella proprietà privata duplicare o triplicare l'attenzione: l'attenzione è sempre biologicamente una, rivolta a qualcosa di specifico. Guardati da un cane per volta, secondo la tua natura. E' una forma di bontà del padrone. Ti viene incontro. Lo stesso per area videosorvegliata al posto di aree videosorvegliate.

Scrive Leopardi nello Zibaldone:
  
Il solo stato di quiete e d'inazione sì frequente e lungo nel selvaggio (insopportabile al civile) è certamente un piacere, non vivo, ma atto e sufficiente a riempiere una grande e forse massima parte della vita del selvaggio. Vedesi ciò anche negli altri animali. Vedesi (tra i domestici, e più a portata della nostra osservazione) nei cani, che se non sono turbati o forzati a muoversi, passano volentierissimo le ore intiere, sdraiati con gran placidezza e serenità di atti e di viso, sulle loro zampe. (Zib. 4180-81, 1826)

E scrive ancora nello Zibaldone:

Anche gli uomini sono, la più parte, come le bestie, che a non far nulla non si annoiano; come i cani, i quali ho ammirati e invidiati più volte, vedendoli passar le ore sdraiati, con un occhio sereno e tranquillo, che annunzia l'assenza della noia non meno che dei desiderii. (Zib. 4306, 1828)

Esclusa la possibilità per l'uomo di imitare gli uccelli in volo e nel canto (sogno di Amelio filosofo nell'operetta morale di Leopardi) non resta che osservarli quando si muovono su un prato, quando saltellano, oscillano lenti, curiosi del mondo che li circonda. Li si può imitare soltando camminando placidamente, con le braccia dietro la schiena.

venerdì 17 gennaio 2014

L’infinito di Leopardi e il “caro” egoismo degli antichi




                                                                                                                                   Al mio amico F.D.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle. Se Leopardi avesse scritto L’infinito in forma di canto amebeo, secondo la tecnica dei poeti bucolici, di botta e risposta tra due pastori, avrebbe forse aggiunto - se si considera la giocosa ironia che pervade tutta la sua opera – uno spiritoso chiarimento,

giovedì 9 gennaio 2014

topogigio, il politico italiano e Sofocle






C’è un topogigio della politica italiana che in questi giorni ha rinverdito un detto coerentemente attribuito a Don Abbondio: “Carneade, chi era costui?”. Faceva bene Don Abbondio a chiederselo, di Carneade forse non sarebbe rimasto niente oggi al grosso pubblico. Topo Gigio è simpatico, questo topogigio della politica italiana, anzi della cosiddetta sinistra italiana, non lo è. Di lui si vede soltanto, quando appare in televisione,