Libro primo della Argonautiche, la scena in riva al mare, quando gli eroi mangiano distesi sulla sabbia e bevono in amicizia prima della partenza:
... ὅτ᾽ ἄατος ὕβρις ἀπείη
l'aggettivo verbale viene comunemente, da sempre, inteso in senso attivo. In realtà, la natura stessa di Ate, che induce alla hybris, avrebbe dovuto da sempre "indurre" a interpretare correttamente in senso passivo. Non:
... quando la hybris (funesta???) accecante è assente
ma:
... quando la hybris, generata cieca (frutto dell'accecamento), è assente.
E se la hybris è cieca, non meno cieca è Ate. Basterebbe considerare gli esempi di ἀάω al medio in Omero, la forma medio passiva che non è indicativa di altro che di questa natura nello stesso tempo cieca (vedi per esempio Il., 19,94 - κατὰ δ᾽ οὖν ἕτερόν γε πέδησε) e accecante di Ate, la quale riconduce (senso medio) la cecità generata nell'uomo a se stessa (anche quando causa se ne fa Zeus, suo padre, che in quel momento incarnerà direttamente Ate - che Zeus non sia immune da questa forma di accecamento è provato da Il., 19, 95 ss, καὶ γὰρ δή νύ ποτε Ζεὺς ἄσατο κτλ).
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venerdì 8 gennaio 2016
lunedì 13 ottobre 2014
I delfini e la fuga degli dei. L'umano terribilmente umano
Se gli dei vissero effettivamente come viene descritto nell'epos (o nella sua tarda rielaborazione), allora dovettero avere ben poco tempo da dedicare a se stessi, e anzi la loro esistenza dovette essere un lungo martirio di inquietudini, una continua attenzione al mondo, un ininterrotto occuparsi dei drammi umani: guerre, amori, odi, incesti, omicidi ... E bisognava agire, intervenire, ottenere e fare tutto con preciso tempismo. L'umanità, nonostante tutto, non avrebbe aspettato.
γαίης δ'ἀπὸ διπλόα πείσματ᾽ἔλυσαν
οὐδ᾽ ἄρ᾽ Ἀθηναίην προτέρω λάθον ὁρμηθέντες:
αὐτίκα δ᾽ ἐσσυμένως νεφέλης ἐπιβᾶσα πόδεσσιν
κούφης, ἥ κε φέροι μιν ἄφαρ βριαρήν περ ἐοῦσαν,
σεύατ᾽ ἴμεν πόντονδε, φίλα φρονέουσ᾽ ἐρέτῃσιν.
...
ὧς ἄρα καρπαλίμως κούρη Διὸς ἀίξασα
θῆκεν ἐπ᾽ ἀξείνοιο πόδας Θυνηίδος ἀκτῆς. (Apollon., 2, 536-48)
sciolsero da terra le doppie gomene
e la cosa non sfuggì a quel punto a Atena
che "subito, in un attimo", posando i piedi su una nuvola
leggera che la portasse "immediatamente" nonostante il peso,
"si precipitò" giù verso il mare, amica ai rematori.
...
così "rapida lanciandosi" la figlia di Giove
mise i piedi sulla costa Tineide dell'Euxino.
Era un'umanità che dava insomma continui grattacapi agli dei, che arrivava a sfidare perfino il divino: consapevolemente (le tante creature trasformate per presunzione in animali, piante eccetera) o inconsapevolmente, in scene che come ho già detto altrove, hanno pure del comico (Dioniso alle prese con Penteo, il quale lo fa addirittura legare e gettare in carcere: un dio che si lascia legare, gettare in carcere e che intanto sorride sinistro). Con tutto questo via vai che c'era tra l'Olimpo e la terra non c'è da meravigliarsi che a un certo punto abbiano deciso, gli dei, di andarsene in pensione, o di scegliersi, come vuole la favoletta, una nuova dimora: il corpo della più felice e libera delle creature: il delfino, dalla quale continuare a godersi lo spettacolo ridicolo del mondo. In altre parole, se anche è vero che:
un tempo gli dei camminavano tra gli uomini
(Götter wandelten einst bei Menschen ... [Hölderlin, Götter wandelten einst ...])
non sarebbero del tutto spariti se indugiano, se nuotano ancora in acque umane: anzi in certi circhi acquatici continuano a far ridere grandi e piccoli, cosa che ricorda da vicino proprio le inquietanti scene di Penteo e Dioniso - si sa che i delfini sono animali giocosi ma non bisogna mai tirare troppo la corda. Si conoscono casi in cui il povero umano, credendo di farsi gioco, s'è ritrovato se non fatto a pezzi come Penteo quantomeno ferocemente sbatacchiato, e quando s'è salvato s'è salvato per il rotto della cuffia.
γαίης δ'ἀπὸ διπλόα πείσματ᾽ἔλυσαν
οὐδ᾽ ἄρ᾽ Ἀθηναίην προτέρω λάθον ὁρμηθέντες:
αὐτίκα δ᾽ ἐσσυμένως νεφέλης ἐπιβᾶσα πόδεσσιν
κούφης, ἥ κε φέροι μιν ἄφαρ βριαρήν περ ἐοῦσαν,
σεύατ᾽ ἴμεν πόντονδε, φίλα φρονέουσ᾽ ἐρέτῃσιν.
...
ὧς ἄρα καρπαλίμως κούρη Διὸς ἀίξασα
θῆκεν ἐπ᾽ ἀξείνοιο πόδας Θυνηίδος ἀκτῆς. (Apollon., 2, 536-48)
sciolsero da terra le doppie gomene
e la cosa non sfuggì a quel punto a Atena
che "subito, in un attimo", posando i piedi su una nuvola
leggera che la portasse "immediatamente" nonostante il peso,
"si precipitò" giù verso il mare, amica ai rematori.
...
così "rapida lanciandosi" la figlia di Giove
mise i piedi sulla costa Tineide dell'Euxino.
Era un'umanità che dava insomma continui grattacapi agli dei, che arrivava a sfidare perfino il divino: consapevolemente (le tante creature trasformate per presunzione in animali, piante eccetera) o inconsapevolmente, in scene che come ho già detto altrove, hanno pure del comico (Dioniso alle prese con Penteo, il quale lo fa addirittura legare e gettare in carcere: un dio che si lascia legare, gettare in carcere e che intanto sorride sinistro). Con tutto questo via vai che c'era tra l'Olimpo e la terra non c'è da meravigliarsi che a un certo punto abbiano deciso, gli dei, di andarsene in pensione, o di scegliersi, come vuole la favoletta, una nuova dimora: il corpo della più felice e libera delle creature: il delfino, dalla quale continuare a godersi lo spettacolo ridicolo del mondo. In altre parole, se anche è vero che:
un tempo gli dei camminavano tra gli uomini
(Götter wandelten einst bei Menschen ... [Hölderlin, Götter wandelten einst ...])
non sarebbero del tutto spariti se indugiano, se nuotano ancora in acque umane: anzi in certi circhi acquatici continuano a far ridere grandi e piccoli, cosa che ricorda da vicino proprio le inquietanti scene di Penteo e Dioniso - si sa che i delfini sono animali giocosi ma non bisogna mai tirare troppo la corda. Si conoscono casi in cui il povero umano, credendo di farsi gioco, s'è ritrovato se non fatto a pezzi come Penteo quantomeno ferocemente sbatacchiato, e quando s'è salvato s'è salvato per il rotto della cuffia.
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