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giovedì 8 gennaio 2015

Il paradosso del paradosso. Gnosi contro gnosi. Ippolito Romano

Tutta la "grande" letteratura cristiana, greca o latina, potrebbe riassumersi nelle parole di Ippolito Romano, nel De epiphania (o teophania - omelia  ingiustamente considerata non sua), quando dopo aver descritto Gesù che riceve il battesimo da Giovanni aggiunge ed esclama :

ὦ παραδόξων πραγμάτων

oh fatto paradossale!

Tutta la letteratura cristiana di commento alla Sacra Scrittura, e al Nuovo Testamento in particolare, è un continuo noioso giocare sui paradossi del divino che si farà o si fa o si è fatto umano; migliaia e migliai di pagine, tonnellate di papriri, e in seguito centinaia di migliaia forse milioni di pecore sgozzate nei monasteri  - per fare un libro di dimensioni medie non so quante pecore servivano - per ripetere uno stesso concetto sotto immagini differenti: per spiegare l'inspiegabile.

E dice più avanti Ippolito, senza rendersi conto di avviarsi

domenica 12 ottobre 2014

L'inferno della continuità

La continuità (così come il dettaglio) nuoce alla narrazione. Risulterebbe noioso e, oltre alle sorprese, toglierebbe al lettore (come una parete interminabile e senza porte) la possibilità di infilarci o anticipare qualcosa di suo, salvo ovviamente dover poi fare i conti con ciò che effettivamente sarà. Ma è il narratore il dominus:

ἔνθα τοι οὐκέτ' ἔπειτα διηνεκέως ἀγορεύσω,
ὁπποτέρῃ δή τοι ὁδὸς ἔσσεται (M, 56-57)

così Circe a Ulisse circa la strada che dovrà prendere una volta passato il luogo delle sirene.

διηνεκέως continuamente,  senza soluzione di continuità: vedi l’italiano dall’inizio alla fine

La continuità (o persistenza) è d’altronde un mito e un’illusione della percezione, la ragione per cui l’individuo, guardandosi allo specchio, continua a vedersi sempre uguale a tutte le età. Ma senza la rottura di questo mito della continuità non sarebbe possibile nessun romanzo: le psicologie dei personaggi resterebbero immobili dall’inizio alla fine, poca cosa per una storia che si svolga nell’arco di poche settimane ma insostenibile a lungo termine. Ancora, ovviamente, il panta rei di Eraclito.

lunedì 4 agosto 2014

Lunghezza, continuità, precisione. Da Omero a Eraclito fino al cinema

Vedi la frase raccontami tutto dall'inizio alla fine: si chiede di essere precisi e completi. Il che può inoltre avvenire solo se c'è continuità, se non c'è interruzione (la mente è facilmente distratta, sia chi parla che chi ascolta) - non ti interrompere, vai avanti; o anche parlando di un film: l'ho visto dall'inizio alla fine (qui piuttosto l'idea del tutto, dell'insieme, non necessariamente ogni minimo aspetto, ogni particolare: posso anche distrarmi qualche secondo); oppure parlando di un libro: dall'inizio alla fine (con l'idea di continuità temporale: non mi sono annoiato, non l'ho abbandonato, non sono riuscito a metterlo giù, ma pure qui non necessariamente prestando attenzione a tutto: voglio solo arrivare alla fine, voglio vedere come va a finire) .

Ma anche con valore proprio, non solo figurato:

"fammelo sentire  t u t t o !" ( a letto), cioè nella sua interezza e solidità, da dove inizia fino a dove finisce,  e anzi il senso proprio è quello originario, come sempre. Così il greco διηνεκής, con lo stesso significato dell'italiano. Vedi i suoi differenti usi in Omero:

χρυσείῃς ῥάβδοισι διηνεκέσιν (Il., xii, 297)

lunghe (continue) bacchette d'oro (quelle che fissavano la pelle dello scudo);

E ancora parlando di radici, oppure di un solco scavato in un terreno, in un campo:

εἰ ὦλκα διηνεκέα προταμοίμην (Od., 18, 375)

(allora vedresti) se non sono in grado di tracciare un lungo solco (l'idea di lunghezza ma anche di precisione: diritto! - un solco, come le rughe, appare sempre distinto, preciso)

Le ultime sono le parole che Ulisse dice a Eurimaco, che non a caso l'aveva provocato su un qualcosa che richiede forza, capacità fisica

Vedi l'inglese straight - diritto ma anche etero


Con la semplice idea di contuinità temporale in Eraclito (Marco Aurelio, che lo cita):


ᾧ μάλιστα διηνεκῶς ὁμιλοῦσι, λόγῳ τῷ τὰ ὅλα διοικοῦντι, τούτῳ διαφέρονται

quel sistema che continuamente attuano nella loro vita - quel sistema che governa tutto - proprio con questo sistema costoro sono poi in disaccordo 

cioè lo attaccano, non lo capiscono, pur non facendo altro che seguirlo: "il bue che dice cornuto all'asino", ma in Eraclito è già legge universale e perenne.




giovedì 31 luglio 2014

Wittgenstein a braccetto con Eraclito

Chi soprattutto siano gli “uomini che restano ignoranti”(ἀξύνετοι γίνονται ἄνθρωποι ) del frammento 1 di Eraclito, incapaci di comprendere il suo ragionamento (logos), non mi pare ci siano molti dubbi. Basterebbe un semplice accostamento con la lettera di Wittgenstein a von Ficker, di cui ho già detto. Così come Wittgenstein non capisce a cosa servano i professori di filosofia, i meno adatti a comprendere il suo Tractatus, anche Eraclito affonda il coltello nella piaga:
  
γινομένων γὰρ πάντων κατὰ τὸν λόγον τόνδε ἀπείροισιν ἐοίκασι, πειρώμενοι καὶ ἐπέων καὶ ἔργων τοιούτων, ὁκοίων ἐγὼ διηγεῦμαι κατὰ φύσιν διαιρέων ἕκαστον καὶ φράζων ὅκως ἔχει.

Infatti, per quanto tutte le cose avvengano secondo questo ragionamento, loro sono simili a gente totalmente inesperta quando hanno a che fare con quelle parole e atti che io espongo distinguendoli secondo la loro natura ed esponendoli come sono.

Un pensiero (il pensiero) che si articola in un modo assolutamente vertiginoso se si pensa che si svolge con tale complessità e chiarezza 2500 anni fa e se lo si confronta col mare di idiozie postate tutti i giorni su twitter e FB.

L'autodidatta - storia di una tradizione e reati accademici

Il povero autodidatta assetato di conoscenza ( ma sono rimasti solo i pensionati nelle biblioteche a ricopiare nei  loro notebook interi brani su qualche personaggio storico amato - e forse non bisognerebbe chiamare autodidatti nemmeno questi, visto che ormai possono contare su quella paternalistica università della terza età) l'autodidatta di questo tipo non gode oggi di buona fama: non verrebbe invitato in televisione a parlare di Cartesio e non verrebbe minimamente "cagato" dagli addetti ai lavori, gli accademici, che lo sgamano subito, in genere dalla pronuncia “sbagliata” di una parola, di un termine, ad esempio Walter Benjamin pronunciato all'inglese. Io stesso, che pure non potrei dirmi autodidatta, nel senso che ho seguito le lezioni anche di nomi che andavano e vanno per la maggiore, e non solo al biennio di Fisica ma poi soprattutto in seguito a Lettere, venni colto in flagranza di reato accademico un giorno in cui (ero ancora studente) dissi, chiacchierando sull’autobus col professore di letteratura greca cristiana, Cibéle invece di Cìbele. “Anche lei!... ”, mi disse amareggiato, “Anche lei dice Cibèle!”. Forse allora, a vent'anni, mi suonava meglio. A rigore, secondo la pronuncia latina dovrebbe essere Cìbele, ammettendo la penultima breve. Ma la mia convinzione era e rimane ancorata al "buon senso", e sicuramente un "non autodidatta" e vanesio e snob come Cicerone, le parole greche che usava in latino le pronunciava alla greca, e tutte le parole greche che così venivano introdotte da altri colti o acculturati del tempo erano pronunciate secondo la pronuncia greca (nomi più comuni come Sòcrate, Demòstene, Aristòfane invece di Socràtes, Demostènes, Aristofànes come pronunciavano i greci, non posssono essere altro che frutto e retaggio di un uso di questi nomi al vocativo, che in greco ritirava l'accento, e in altri casi di un aritificio accademico fondato su ipotesi elaborate dalla tradizione grammaticale), così come oggi d'altronde (unica eccezione i francesi, che invece di dire Freud alla tedesca, come fa il resto del mondo, dicono Fred) un italiano che usa una parola inglese la pronuncia all'inglese, al massimo con un forte accento locale, softe invece di soft - il che tra l'altro indica che l'italiano, nonostante tutto, resta intrappolato fonologicamente nelle maglie della baritonesi latina (fenomeno più accentuato a Roma, dove parole come bar, gas eccetera diventano bare, gasse eccetera), e anche ai tempi di Cesare sicuramente non dicevano tot ma totte: totte capita totte sentenzia, una bella zeta sorda e dura al post di un balbettato ti di sententia.

Altro grave reato accademico in cui incappai da studente fu in occasione della seconda tesi, che dovetti scrivere in latino trattandosi di un’edizione critica, quando usai disgraziatamente hortor alla forma attiva: hortavit invece di hortatus est; cosa che – mi pare di averlo già ricordato in queste registrazioni - mandò su tutte le furie il correlatore, che oltretutto quel giorno era malato e s'era fatto sostituire. A essere onesti, l’avevo inserito di proposito, un pizzico di malizia, col puro gusto della provocazione. Credo che avessi in mente un uso tardo – quella forma si trova in certa tradizione di Petronio.

Eraclito (che tutti gli autodidatti pronunciano Eràclito) era autodidatta per orgoglio di nascita. Non ammette "il sapere" di nessuno al di fuori del proprio: spara a zero non solo contro i contemporanei e chi l’aveva preceduto ma anche contro i posteri. Omero, Senofane, Pitagora, Archiloco – per Archiloco anzi, che come lui era un feroce antidemocratico, prevedeva la verga: che venisse cacciato a suon di vergate dagli agoni poetici insieme al suo degno compare, Omero. Considerava se stesso la verità incarnata – non a caso amava, un po’ come Gesù, la compagnia dei bambini, che propose con sommo disprezzo dei suoi concittadini alla guida suprema dello Stato.

In tempi più recenti, poderoso autodidatta, "atleta della cultura italiana", come lo chiamava Contini, fu Benedetto Croce, che dopo aver seguito qualche lezione all’università tolse il disturbo, lo tolse cioè a se stesso.

Altro grande autodidatta – a parte gli anni di apprendimento delle lingue classiche, ma sempre seguito da mediocri precettori domestici – fu Leopardi, e non solo per le difficoltà di viaggi e sposatmenti. Con una biblioteca come quella del padre poteva benissimo restarsene a casa, tutt’al più spostava di qualche metro il  tavolinetto su cui studiava da un angolo all’altro della biblioteca, seguendo la luce del sole. Ma effettivamente sarebbe difficile immaginarsi un Leopardi che segue  le lezioni di un accademico. Avrebbe usato anche lui la verga se fosse capitato in qualche università e avesse sentito un qualsiasi professore aprire semplicemente bocca: quella stessa verga che Ranieri gli vide in mano a Napoli, un giorno che si apprestava a uscire per andare a bastonare qualcuno, per sua stessa ammissionepuò darsi il Tommaseo, il mediocre (o per lo meno mi piacerebbe pensare che pensarlo).

Autodidatta fu anche Bouffon: i parrucconi del suo tempo giustamente a'inchinarono al suo genio e lo nominarono membro dell'Accademia delle Scienze a soli ventisei anni.

Una cattiva conclusione, trovata in uno dei tanti forum dedicati alla cultura: la risposta di un forumer a un ragazzo che chiedeva se si pdiventare filosofi da autodidatti:

"Chi inizia da autodidatta, ammesso che abbia imparato a leggere (essenziale) alcuni testi non certo semplici, rischia di diventare un erudito, che è il contrario di un filosofo e di ogni intellettuale che abbia compreso che cultura è elaborare, connettere, associare, discernere"

Il che concorderebbe con quanto Diogene Laerzio parlando di Eraclito:

πολυμαθίη νόον ἔχειν οὐ διδάσκει· Ἡσίοδον γὰρ ἂν ἐδίδαξε καὶ Πυθαγόρην αὖτίς τε Ξενοφάνεά τε καὶ Ἑκαταῖον (ix, 1) 

una vasta erudizione non insegna ad avere acutezza: se così fosse l'avrebbe insegnata a Esiodo a Pitagora a Senofane e a Ecateo.

Ma il sottinteso di quel forumer è che si comprende cos'è cultura - cioè elaborare, connettere eccetera - solo se si seguono le lezioni di qualcuno, anche se questo qualcuno è un mentecatto - e bastava forse dire a quel poveretto che se postava simili domande non sarebbe comunque diventato un filosofo.

 E' curioso poi che proprio coloro che nelle università, a Filosofia, girano e rigirano come un pedalino e analizzano in tutte le salse il "conosci te stesso" che si leggeva sul tempio di Delfi, proprio costoro poi storcono il naso quando sentono parlare un autodidatta, magari anche intuitivo e geniale. Vorrebbero che sul quel tempio, invece di gnothi sauton, conosci te stesso, ci fosse stato scritto "conosci me stesso".
eccetera