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venerdì 29 maggio 2015
Man's journey towards ease and grace
The majority is always wrong. It is the most attractive aspect of democracy. Bad rulers are reelected,
after all. The crowd waffles, cheers for
one and then switches sides and root for the other. Such flagging has no effect on one's journey towards social and personal betterment, every scum politician
knows it. This dialectical exchange of views may be compared with the
disposition in prose or poetry of a single colon into two commata of
approximately equal length (see Denniston). There’s barely a perceptible pause
between them. It makes for ease and grace.
giovedì 6 novembre 2014
Politica italiana e amore ai tempi del colera
In italia, curiosamente, i telegiornali mettono al primo posto, nella loro scaletta, le notizie di politica interna. E credo sia dovuto, questo fatto, a quel movimento paradossale della sua esistenza di cui l'italiano è sempre stato inconsapevole. Infatti il peso delle notizie è in Italia inversamente proporzionale all'importanza che hanno. E questo si ricollega a sua volta alla natura teatristica del paese. Ma è un teatro di bassa lega. La politica italiana, coi suoi perenni guitti, assomiglia a quella scena di Morte a Venezia (sia il libro che il film) nella quale alcuni suonatori ambulanti suonano e cantano sguaiatamente di sera nel bellissimo giardino dell'Hotel des Bains, al Lido di Venezia, a far da cornice all'amore nascente (secondo il narratore tutto intellettuale) di Von Aschenbach (ma in odore oggi, comunque lo si guardi, di pedofilia) mentre il tenero quindicenne Tadzio risponde con la grazia dell'età ai suoi sguardi preoccupati e patetici. Un tedesco e un polacco, ovviamente. Niente a che fare coi sani costumi italici. Ma il quadro politico dell'idillio è tutto italiano. Non a caso uno dei guitti, prima di andarsene, saluta e ringrazia i ricchi clienti dell'albergo - il cosmopolita mondo superiore - facendo una mezza pernacchia, carica del più genuino disprezzo. Giustamente, immagino: dal momento che proprio questo guitto viene descritto da Thomas Mann e appare anche nel film di Visconti già coi segni del colera, e ben prima che il colera si rapprenda sul volto di Von Aschenbach, dello straniero.
giovedì 23 ottobre 2014
vecchiaia potere e sesso in Plutarco
![]() |
Antonio Bellucci, Rinaldo e Armida |
Venendo nel corso della sua opera a considerare la questione se l’uomo politico debba a un certo punto, con l’età, sottrarsi all’attività pubblica, se cioè la vecchiaia possa considerarsi un impedimento di natura all’esercizio dell’azione politica - per il fatto che l'uomo si dedicherebbe con più gusto ad altri piaceri (in primo luogo eros) - Plutarco, che affronta il problema da vecchio, lo esclude. E non solo perché è la vecchiaia a essere semmai di ostacolo a determinati piaceri. La ragione più vera è che l’uomo politico non può mai credere di poter venir meno al suo dovere etico.
Nel suo An seni respublica
gerenda sit (se il vecchio debba occuparsi attivamente di politica) si
serve, a esemplificazione del suo assunto, di due metafore politiche sicuramente
topiche, insistenti, nell’antichità: quella dei marinai e quella di Eracle alla reggia di Onfale. La prima delle
due immagini viene normalmente fraintesa: anzi non c'è mi pare traduttore che l’abbia resa correttamente. Il vecchio politico che lascia la vita
politica per darsi unicamente ai sensi viene paragonato, da questi traduttori, a quei marinai che lasciano la nave prima ancora di giungere in
porto. Basterebbe in realtà il semplice buon senso e un pizzico di intelligenza a indicare qui la giusta strada. Come potrebbero dei marinai abbandonare
la nave prima ancora che la nave sia arrivata in porto? con delle scialuppe sulle
quali concedersi ai letali riti di Afrodite, con l’aiuto magari di questa
o quest’altra sirena accondiscendente? (e le sirene di Ulisse dopotutto
potrebbero essere a loro volta nient’altro che una metafora proprio di questo, del sesso nudo e crudo, se l'isola nella quale albergano presuppone comunque il miraggio di un qualche porto, soprattutto trovandosi nei pressi di Scilla e Cariddi).
Dice in realtà e molto semplicemente Plutarco:
οὐκ οἶδα ποτέρᾳ δυεῖν εἰκόνων αἰσχρῶν πρέπειν δόξει μᾶλλον
ὁ
βίος αὐτοῦ· πότερον
ἀφροδίσια ναύταις ἄγουσι πάντα τὸν
λοιπὸν
ἤδη
χρόνον οὐκ
ἐν
λιμένι τὴν
ναῦν
ἔχουσιν
ἀλλ' ἔτι
πλέουσαν ἀπολείπουσιν (785e)
“... non so quale di
due vergognose immagini si addica di più alla vita di un uomo simile: se quella di quei
marinai che ancora in navigazione trascurano la nave invece di portarla al
sicuro in porto e si dedicano per tutto il tempo agli amori ...”
Quindi trascurano (ἀπολείπουσιν),
non abbandonano la nave, come viene sempre
tradotto – e semmai abbandonano la nave a
sé.
Il testo di Plutarco lascia giustamente pochissimo spazio
a un tipo di immaginazione onirica (alla base di tanti film horror e di tanta narrativa da quattro soldi) a cui è abituato il lettore e spettatore moderno. Non è
possibile osservare una nave che naviga con tutti i suoi marinai a bordo e un
attimo dopo trovarla vuota. Dove sarebbero andati a finire tutti quanti? E se
pure Plutarco avesse avuto un qualche interesse a distinguere le specie di eros, non avrebbe potuto farlo (ἀφροδίσια), e anche a voler sviluppare
ulteriormente una metafora che giustamente è stata appena accennata (la
fortunata metafora della nave senza nocchiere) quegli amori sensuali sarebbero
al massimo quelli nei quali il marinaio indulge a bordo,
senza lasciare la nave: e c’è da immaginarsi prima di tutto con chi e a spese di quale parte del corpo; a meno che
non si vogliano ipotizzare sulle navi antiche, triremi o da carico, bordelli
con tanto di anziana maitresse, e donne imbarcate al solo scopo di rifocillare
la ciurma, così come si imbarcano i viveri e tutto il necessario per la
sopravvivenza in mare. D’altronde, se anche qui non c’è in Plutarco evidente
ossessione classificatoria – amore
omosessuale o eterosessuale –
difficilmente una simile metafora risulterebbe incisiva senza una “concreta” esperienza
visivo-immaginativa del lettore, lo scrittore che gli fa immaginare la scena, i
bagordi, le bevute e la nave abbandonata a se stessa. Che è poi espediente
narrativo - l’omissione - tipico di tutti i grandi autori che
hanno superato la prova del tempo.
Ciò che invece qui conta è il fatto che questa immagine dell’abbandono del dovere tocchi e sfidi il
concetto stesso di virilità al di
fuori di un qualsiasi riferimento alla natura dell’amore e in direzione unicamente
di un indebolimento dell’animo umano,
del carattere maschile (l’amore omosessuale, o meglio l’amore per
i ragazzi, non a caso non si trova mai opposto in Plutarco, in nessuna delle
sue opere, a quello eterosessuale ma
soltanto all’amore coniugale, e
quindi al dovere - vedi il De amore e quanto ho scritto su questo;
l’abbandono del proprio dovere viene qui identificato semplicemente con ciò che
è vergognoso - ἐσχρόν - e tale immagine risulta ulteriormente ampliata
e definita dall’altra che segue immediatamente, quella di un Eracle effeminato alla corte di Onfale:
ἢ καθάπερ ἔνιοι τὸν
Ἡρακλέα
παίζοντες οὐκ
εὖ
γράφουσιν ἐν
Ὀμφάλης
κροκωτοφόρον ἐνδιδόντα
Λυδαῖς
θεραπαινίσι ῥιπίζειν καὶ παραπλέκειν ἑαυτόν.
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mercoledì 22 ottobre 2014
autorevolezza contro comicità: premier e secunder e previsioni toppate
![]() |
John Smith |
L'autorevolezza (in ogni campo, dalla politica alla letteratura alla filologia) ce l'hai o non ce l'hai. Ce l'hai per nascita: il bambino autorevole lo sgami subito: ad esempio, un mio nipotino, ancora all'asilo, appare in un video mentre discute seriamente con un altro bambino, e tutti e due sembrano due veri ometti, tutti e due responsabili, in piedi uno di fronte all'altro e ognuno che ascolta a turno quello che dice l'altro. A un certo punto sbuca non si sa da dove tutta contenta una ragazzina, che vorrebbe mettere il naso, e questo mio nipotino, non aggressivamente ma deciso, senza neanche guardarla, la spinge via. Sono cose che riguardano noi maschi, pare dire, smamma!
L'autorevolezza è qualcosa di simile: nessun bisogno di aggressività o violenza, soltanto decisione e naturalezza dei gesti. La vera naturalezza lascia pochissimo spazio a una codificazione di tipo isterico.
Per la stessa ragione il comico di professione - poiché la comicità di professione è fondata sull'isteria, sulla ripetizione ossessiva, non naturale, degli stessi gesti - non gode di nessuna autorevolezza se non tra pari. La politica italiana è un fatto di comicità e non esistono quindi personaggi autorevoli in Italia. Esistono personaggi che credono di essere autorevoli perché non appena appaiono sulla scena, gli italiani se li tengono masochisticamente tra i piedi, per diverso tempo, il solito ventennio: il tempo insomma di ridere e farsi fare tranquillamente fessi: nessuno sentirà il bisogno di dire immediatamente ogni volta: smamma!
E ancora per la stessa ragione Renzi ha bisogno di essere continuamente incensato dalla stampa, di elemosinare il titolo di premier, perché in fatto di autorevolezza non è nemmeno secunder. Di lui si potrebbe dire, dalla sua recitazione, che la sua infanzia e poi adolescenza devono essere state una lunga battaglia alla conquista di un'autorevolezza che non avrebbe mai comunque acquistato perché la natura, in questo, non l'ha minimamente degnato. Tony Blair, per cambiare paese, non fu da meno: personaggi unicamente creati e sfornati dai media.
Al contrario, quando improvvisamente morì il britannico John Smith, leader del Partito Labourista e uomo di vera sostanza, che tutti i sondaggi davano ormai a Downing Street, la moglie del grigio ma ugualmente tosto John Major, allora premier e antagonista di Smith, intervistata dalla BBC disse più o meno: mio marito mi disse qualche mese fa, guardando Smith in televisione: guarda come si muove, Norma, i suoi gesti: non c'è dubbio che vincerà lui le elezioni.
domenica 12 ottobre 2014
chiarimenti sul pupazzo italico
Per pupazzo italico io intendo non già una persona fisica in particolare (anche se chiunque potrebbe vederci il politico o l'attore o il giornalista o il cantante di turno) ma l'incarnazione di una necessità tutta italiana di sedersi dalla mattina alla sera in un teatro di marionette per ridere o piangere di uno spettacolo che lo spettatore è ben lontano dall'immaginare che è lo spettacolo di se stesso.
venerdì 12 settembre 2014
L'amicizia
Io do per certo che nell'amicizia vale quanto dice Demostene nella prima Olintiaca a proposito delle imprudenze commesse nell'azione politica (considerazione delle circostanze attuali), che a sua volta paragona alle imprudenze di chi accumula sostanze per poi perdere tutto:
ἀλλ', οἶμαι, παρόμοιόν ἐστιν ὅπερ καὶ περὶ τῆς τῶν χρημάτων κτήσεως· ἂν μὲν γάρ, ὅσ' ἄν τις λάβῃ, καὶ σῴσῃ, μεγάλην ἔχει τῇ τύχῃ τὴν χάριν, ἂν δ' ἀναλώσας λάθῃ, συνανήλωσε καὶ τὸ μεμνῆσθαι [τὴν χάριν]. καὶ περὶ τῶν πραγμάτων οὕτως οἱ μὴ χρησάμενοι τοῖς καιροῖς ὀρθῶς οὐδ' εἰ συνέβη τι παρὰ τῶν θεῶν χρηστὸν μνημονεύουσι (I, 11)
ma io credo che simile sia anche ciò che riguarda l'acquisto di denaro: se uno, quanto acquista, riesce pure a conservarlo, non potrà che ringraziare e ringraziare la fortuna, se invece senza accorgersene perde tutto, perde anche la capacità di ricordarsi. Così anche negli affari politici: coloro che non hanno saputo utilizzare rettamente le circostanze presenti non si ricordano nemmeno se qualcosa di utile gli era venuto dagli dei.
ἀλλ', οἶμαι, παρόμοιόν ἐστιν ὅπερ καὶ περὶ τῆς τῶν χρημάτων κτήσεως· ἂν μὲν γάρ, ὅσ' ἄν τις λάβῃ, καὶ σῴσῃ, μεγάλην ἔχει τῇ τύχῃ τὴν χάριν, ἂν δ' ἀναλώσας λάθῃ, συνανήλωσε καὶ τὸ μεμνῆσθαι [τὴν χάριν]. καὶ περὶ τῶν πραγμάτων οὕτως οἱ μὴ χρησάμενοι τοῖς καιροῖς ὀρθῶς οὐδ' εἰ συνέβη τι παρὰ τῶν θεῶν χρηστὸν μνημονεύουσι (I, 11)
ma io credo che simile sia anche ciò che riguarda l'acquisto di denaro: se uno, quanto acquista, riesce pure a conservarlo, non potrà che ringraziare e ringraziare la fortuna, se invece senza accorgersene perde tutto, perde anche la capacità di ricordarsi. Così anche negli affari politici: coloro che non hanno saputo utilizzare rettamente le circostanze presenti non si ricordano nemmeno se qualcosa di utile gli era venuto dagli dei.
sabato 26 luglio 2014
La macchina dello Stato e i benemeriti artisti. Nota su Nietzsche
La tragedia antica
come educatrice del popolo poteva formarsi solo al servizio dello Stato.
(Die antike Tragödie als Volkslehrerin konnte
nur im Dienste des Staates zu Stande kommen. Nachgelassene Fragmente Ende
1870 — April 1871, 7 [23])
Questa affermazione di Nietzsche, contenuta in uno dei frammenti cosiddetti postumi, potrebbe apparire, come ogni giudizio umano non ancora analizzato con gli strumenti della logica informale, apodittica, di
principio, creatura di un possibile ideologismo. Ma è il giudizio di una voce particolarmente autorevole, difficilmente quindi ribaltabile. Intanto ci si dovrebbe piuttosto domandare per quale ragione
la tragedia antica, nella sua funzione educativa, non debba o non possa invece formarsi al di fuori dello Stato; oppure, che equivale allo stesso, per quale
ragione lo Stato debba profondere così tanti mezzi quanti sono
quelli necessari all’allestimento di così tante tragedie in concorso ogni anno
nei vari festival (ogni autore ne
presentava tre più un dramma satiresco, la cosiddetta tetralogia). Oppure ci si può chiedere per quale ragione la stessa
cosa, la profusione di così tanti mezzi, non possa immaginarsi come fatta da una
singola famiglia che voglia celebrare se stessa, la propria schiatta. Oppure: a
cosa porterebbe immaginare una singola famiglia o anche più di una – il che
rientrerebbe comunque in una concezione di Stato - che si faccia promotrice del
“bene” estetico pubblico?
Porterebbe, è ovvio, in primo luogo, al concetto di noia e quindi, dato un certo esiguo numero di anni, all’abbattimento del sistema del singolo. Dice Nietzsche nello stesso
frammento:
Con il suo
elevatissimo egoismo il singolo essere non arriverebbe mai a promuovere la
civiltà. Per questo si dà l’impulso politico, nel quale in un primo momento l’egoismo
se ne sta tranquillo.
(Das einzelne höchst
selbstsüchtige Wesen würde nie dazu kommen, die Kultur zu fördern. Darum giebt es den politischen Trieb, bei dem zunächst der Egoismus beruhigt ist.)
E ancora prima:
Per questa ragione
[la tragedia antica come educatrice all’interno dello Stato] il livello della vita politica e la dedizione
allo Stato si era così accresciuto che anche gli artisti pensavano soprattutto
allo Stato. Lo Stato era” strumento
della realtà artistica”. Per questo
la più alta aspirazione allo Stato doveva trovarsi proprio in quelle
cerchie che avevano bisogno dell’arte. Tutto ciò era possibile solo se lo Stato
si reggeva da sé, cosa che è pensabile solo se un esiguo numero di cittadini
accede al potere.
(Darum war das politische Leben und die
Ergebenheit für den Staat so gesteigert, daß auch die Künstler an ihn vor allem
dachten. Der Staat war ein “Mittel der Kunstwirklichkeit”:
deshalb mußte die Gier zum Staate in den kunstbedürftigen Kreisen die
allerhöchste sein. Dies war nur möglich durch Selbstregierung, diese aber ist
nur denkbar bei geringer Zahl von regierungsbefähigten Bürgern.)
In realtà non sarebbe difficile assegnare il "valore di verità del vero" a questa funzione ideologico-educativa del prodotto estetico pure nel caso dell’uomo
e della donna di oggi: della televisione, del cinema, delle università, dei giornali
finanziati dallo Stato. L’artista, l’intellettuale, che si pone anche in una netta
posizione di critica sociale o del potere [vedi La grande bellezza, che raggiunge addirittura gli Oscar] è a tutti gli effetti lui l’inconsapevole reggitore interno, il reggitore dello Stato: di questa spaventosa macchina senza
altro nocchiero se non la “potente”
propaganda delle immagini e delle parole. Il capitale, la finanza hanno ben
poco da preoccuparsi, così come una mamma non si preoccupa affatto di lasciare
i pargoli nelle mani di una fidata babysitter. Il lavoro che dovrebbero fare
loro, il capitale e la finanza, viene tranquillamente delegato a questo esercito (pur
sempre sparuto) di immaginifici e parolai. È interesse, cioè, dei singoli
pifferai non tirare la corda oltre un certo limite, pena – oltre la rottura
della corda – l’annullamento di sé.
Dice Nietzsche:
L’immane spiegamento di
istituzioni politiche e sociali veniva in fin dei conti effettuato a vantaggio
di pochi: cioè dei grandi artisti e filosofi – che però non debbono avere la
pretesa di entrare nella vita politica, come richiede invece lo Stato
platonico. Per loro la natura impiega le altissime e illusorie immagini, mentre
per la massa bastano gli scarti del genio.
(Der ungeheure Aufwand des Staats- und Gesellschaftswesens
wird schließlich doch nur für einige Wenige aufgeführt: dies sind die großen
Künstler und Philosophen — die nur nicht beanspruchen sollen, mit hinein zu
treten in das politische Wesen, wie es Plato’s Staat fordert. Für sie braucht
die Natur die höchsten Wahngebilde, während für die Masse nur die Abfälle des
Genius ausreichen.)
Il paradosso,
molla fascinosa e fondamentale di un potere che è dovunque e in nessun luogo, è d’altronde sempre ben oliata e
funzionante:
Lo Stato sorge in modo
crudelissimo dalla sottomissione, dalla generazione [aggiungerei continua] di una schiatta di fuchi. La sua superiore
vocazione consiste nel far crescere [aggiungerei: e far preservare] da questi fuchi una civiltà. L’impulso politico
tende alla conservazione della civiltà, così che non si debba ricominciare in
continuazione daccapo.
(Der Staat entsteht auf die grausamste Weise
durch Unterwerfung, durch die Erzeugung eines Drohnengeschlechts. Seine höhere
Bestimmung nun ist, aus diesen Drohnen eine Kultur erwachsen zu lassen. Der politische Trieb geht auf
Erhaltung der Kultur, damit nicht fortwährend von vorn angefangen werden muß.)
È uno Stato illusorio ma in fin dei conti benemerito, che ha pensato
anche a uno smaltimento indolore di ciò che non è, via via, necessario:
Vale lo stesso,
dice infatti Nietzsche, per il linguaggio:
è il parto degli esseri più geniali,
mentre il popolo ne utilizza solo la minima parte, e in certo qual modo soltanto
i rifiuti.
(Es verhält sich mit
der Sprache ähnlich: sie ist die Geburt der genialsten Wesen, zum Gebrauch für
die genialsten Wesen, während das Volk sie zum geringsten Theile braucht und
gleichsam nur die Abfälle benutzt.)
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venerdì 30 maggio 2014
Artemide e le difficili carriere nella sinistra
Per capire chi sia (gli concedo il congiuntivo) Matteo Renzi basterebbe forse considerare
un attimino quale ministro per le Riforme Costituzionali e i Rapporti col
Parlamento si è scelto. Maria Elena Boschi, una che ha una carriera politica - cioè una gavetta fatta sul territorio - lunga come i fantasmini che si indossano oggi con le scarpe da ginanstica. Toscana come
Renzi. Laureata in Giurisprudenza con 110 e lode – come se il 110
e lode oggi significasse qualcosa - ha fatto parte del CdA di Publiacqua
SPA, società affidataria per la gestione del servizio idrico eccetera, membro
della direzione del Partito Democratico di Firenze e una delle coordinatrici
della campagna di Renzi per le ultime primarie del centrosinistra. Eletta alla Camera nel 2013, poteva non
diventare, a 32 anni senza nessuna esperienza politica di rilievo, ministro di una funzione così importante come le riforme costituzionali? con una carriera politica così infima e di
parte quale quella che può vantare? C’è
poco da aggiungere. E la pseudo sinistra, che si raccoglie attorno a questo
Matteo Renzi (il quale quando cammina sembra una paperetta giuliva, un po' come una volta alle ragazze di un certo tipo le prof dicevano oca!) ha ben poco da criticare le schifezze che faceva Berlusconi con le
tante veline che promuoveva, in quattro e quattr'otto, a ruoli politici fondamentali.
Kant (Critica della ragion pura, Intr., iii): "Ora sembra in verità naturale che, una volta abbandonato il campo dell'esperienza, non si possa immediatamente, con le sole conoscenze che si hanno non si sa da dove, e sul credito di principi di cui non si conosce l'origine, costruire un edificio senza che prima ci si sia assicurati eccetera".
Kant (Critica della ragion pura, Intr., iii): "Ora sembra in verità naturale che, una volta abbandonato il campo dell'esperienza, non si possa immediatamente, con le sole conoscenze che si hanno non si sa da dove, e sul credito di principi di cui non si conosce l'origine, costruire un edificio senza che prima ci si sia assicurati eccetera".
Riguardo la fisionomia di Maria Elena Boschi non c’è molto
da dire, la fisionomia parla sempre da sé. Pare uscita, questa – con la sua treccia adagiata sul seno e il resto dei capelli sciolti con noncuranza e il
suo sorriso felice da teenager invidiosa che finalmente, dopo pianti e pianti, si è fidanzata col più
bello della classe - sembra uscita dal
comitato organizzativo di uno dei tanti concorsi di Miss Italia. Qualcosa in più forse dice il nome (Proust permettendo, che ha inserito un meraviglioso capitoletto nella Recherche dedicato all’importanza che
hanno i nomi per l’immaginazione). Maria,
come la Vergine, povera donna palestinese che sicuramente conosceva, a
differenza di questa, le durezze della vita se finì per partorire in una stalla.
Elena il contrario di una vergine, se
è vero ciò che si dice della moglie di Menelao, donna raffinatissima, abituata
agli agi, al Palazzo. Boschi.
Verrebbe in mente Diana – o Artemide – la dea della caccia. Insomma a questa
Maria Elena Boschi basterebbero gli ultimi due nomi: Elena Boschi. Elena cacciatrice. E come s’è visto, in cinque minuti la sua giberna si è riempita.
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