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domenica 3 maggio 2015

Follia dell'iperbato

Follia dell'iperbato, come in questo verso di un frammento del nono libro dell'Antologia Greca:

πορφυρέᾐ δ᾽ ἀνέκοπτες ὕδωρ πεπιεσμένον αἰδοῖ

dove si parla della vergogna pupurea dell'Alfeo, che si trattiene dal coricarsi nel letto di Aretusa per non imbrattarlo di sangue.

Vera e propria schizofrenia stilistica, mente scissa, divisa, separata, dissociata. Mi divertivo, da studente, a prendere in giro qualche presuntuoso, qualche professore, qualche italianista (la maggior parte degli italianisti non conosce il greco, hanno misere nozioni dal liceo, non riescono a capirci niente se non hanno il testo a fronte). Dicevo, ad esempio, schizzzofrenia, alla romana, schizo che suonava come schizzo, cacatella di conoscenza, e mi facevano immancabilmente osservare che siccome era greco andava pronunciato schizo, con una sola zeta e per di più sonora, e allora rispondevo qualcosa nel greco della fine del sesto secolo, continuavo la conversazione come se fossi nell'agorà di Atene, e il povero professore arrossiva, come l'Alfeo, perché lo pronunciavo pure come nel greco bizantino, che era la vera pronuncia del greco dei tempi di Erodoto e Tucidide e Platone eccetera. 

martedì 10 febbraio 2015

dittografia dell'arbitrio: copisti da Platone a Flaubert



La dittografia è un errore sempre possibile: che si scriva a mano o al computer. Nello studio dei papiri, o di una tradizione manoscritta, non appare che raramente, e in questo senso è una possibilità necessariamente sopravvalutata dalla critica testuale  – anche oggi non succede quasi mai di scrivere due volte di seguito una

lunedì 20 ottobre 2014

L'inganno dell'ascesi

νιπτόποδες, χαμαιεναι

che non si lavano i piedi, dormono per terra

Così Achille (Il., 16,35) parlando dei Selli, sacerdoti di Dodona, considerati i più antichi in Grecia. E vedi anche il frammento del'Eretteo di Euripide, conosciuto grazie unicamente a Clemente Alesandrino che lo cita nei suoi Stromata e che considera i versi un'imitazione di Omero:

... ἐν στρώτ πέδ
εδουσι, πηγας δ' οχ γραίνουσιν πόδας. (Er., fr. 367 Nauck)

... sulla terra nuda
dormono e non si bagnano i piedi alle fonti.

È sicuramente un dato di fatto che l'ascesi - nel senso di un lungo percorso costellato di ostacoli (di esercizi) che parte dall'umano e arriva fino al divino - non sia invenzione né del Giudaismo né del Cristianesimo e che nessuna religione in particolare possa dire di averla scoperta; ma è vero che è nelle religioni della colpa che esiste una stessa idea di un Dio che non può essere degnamente servito se non sperimentando una condizione di privazione e di estremo affaticamento di tutto il corpo: con l'esperienza fisica della durezza (e dovrei forse ricordare qui i foglianti del cardinal Bona, di cui a suo tempo traducevo il trattatello sulla Messa, l'uso della pietra cone cuscino). Tuttavia, anche questo concetto di privazione, di affaticamento, difficilmente potrebbe fondarsi su un'originaria idea di possesso: sarebbe vero l'opposto: è il possesso che va sempre definito a partire da un'idea di non accumulo (la questione non è se essere poveri sia un male, come da sempre cercano di dimostrare tutte le storiografie al servizio del capitale, dal quale dipendono: i termini povertà, indigenza, necessità sono ammantati di ideologia ancor prima di divenire operanti: non sono nemmeno una sorta di grado zero. Il grado originario è quello dell'uomo che nasce nudo (e non sa di esserlo) e sul quale in seguito si accumulano o stratificano tutte le possibili definizioni a venire.

Ogni forma di ascesi non può essere quindi un esercizio (è il senso d'altronde del greco askesis) di ritorno alle origini, quelle stratificazioni glielo impediscono; si tratta invece di un'elevazione proposta sulla base e come rifiuto di ciò che si possiede, che non può essere abolito e che non e assolutamente un dato originario: è in più un movimento verso l'alto invece che verso il basso - è conosciuta delle sacerdotesse di Dodona (non solo il più antico ma, almeno secondo Erodoto, in origine anche l'unico oracolo della Grecia) un'invocazione ricordata da Pausania:

Γ καρπος νίει, δι κλζετε Ματέρα γααν. (Paus., X, 12, 10)

La terra produce frutti, invocate perciò la Madre Terra.

Inoltre, qualsiasi ascesi che si ponga come scopo la conquista del cielo attraverso un ritorno a uno stato precedente di vita sulla terra non potrebbe darsi che come una certa maniera di oblio del presente e nello stesso tempo una reminiscenza del passato: è di conseguenza un'esperienza paradossale, una sorta di ossimoro, una contraddizione in termini: non si può, cioè, senza dimenticare completamente il presente riattualizzare nessun passato, il quale, a sua volta, se anche diventasse il nuovo presente, resterebbe per definizione all'origine di ciò di cui già era stato all'origine - è tra l'altro  la ragione del fallimento di tutte le riforme dei vari ordini religiosi avviate dall'interno della Chiesa (nonostante la sopravvivenza delle singole riforme (cistercensi dai benedettini, foglianti e trappisti dai cistercensi, stretta osservanza e cappuccini dai francescani predicatori eccetera). Il chiodo più vecchio  è sostituito da un chiodo apparentemente nuovo, ma che è invece più arrugginito del vecchio: è alla base di ciò che si credeva così superato.

Perciò, l'idea di un ritorno a uno stato precedente da cui ripartire è sempre funzione di una convinzione, di un'ideologia: è la presunzione di credere non solo che il presente si possa abolire, si possa cancellare, ma anche che il presente da abolire non sopravviva nel passato che si tenta di riattualizzare (che si tratti come nel Cristianesimo di un ritorno alla semplicità della propaganda evangelica o di un ritorno alla natura in religioni naturistiche). L'originaria Ragione non è assolutamente riattuabile se non attraverso un inganno ideologico. Di qui anche il fallimento di Hegel e di ogni hegelismo










domenica 26 maggio 2013

Tsunami: quando gli uomini (non le donne) mostravano pudore. Natura contro scienza


                                               Arcimboldo - Verdura

Non c’è niente di più frustrante del pensiero di una scienza che ancora oggi non riesce non dico a impedire ma a prevedere uno tsunami. Eppure non sembra che ci sia al mondo un solo scienziato che non parli di sé come di un dio in terra. E all’ora com’è? Non sarà che tu scienziato ti prendi un po’ troppa confidenza, che ostenti una fiducia un po' eccessiva nelle tue capacità? Non sarà che quando ti poni per obbiettivo di far crescere delle orecchie di suino in una povera cavia "dimostri" di essere andato a scuola – da cattivo allievo, peraltro – da Giuseppe Arcimboldo invece che da Galileo?

                                      Tsunami e terremoto in Giappone

C'è un passo di un’opera di Plutarco, De virtutibus mulierum (sulla forza delle donne), nel quale si parla di una forma di matriarcato in vigore nell’antica Licia, un regime legale quasi unico in quei giorni, a cui accenna anche Erodoto. Alle origini di quello scompiglio sociale ci sarebbe stato proprio uno tsunami. Si tratta di una favoletta: ma forse più precisa e più accurata nel descrivere certi meccanismi archetipici dell'uomo (compreso l'uomo di scienza) e i reali rapporti di forza di quanto non siano in grado di fare molti dei noiosissimi e per lo più inutili paper accademici sfornati a migliaia ogni anno dalle varie istituzioni universitarie. Ma come avvenne che le donne in Licia presero il potere e conquistarono il diritto di passare il cognome (o l'equivalente del cognome a quei tempi) ai figli al posto dei mariti? Semplicemente usando il buon senso - e la conoscenza dell’umano e della natura. Dice Plutarco che Bellerofonte, avendo salvato i Lici e non avendo ottenuto nessuna ricompensa, essendo stato anzi alla fine pure ingiuriato, raggiunto il litorale invoca Poseidone, il dio del mare, lo supplica di rendere completamente sterile la Licia. Come Bellerofonte si allontana verso l’interno il mare comincia a sollevarsi, a riversarsi sull'intera regione: e più Belleronfonte si addentra nelle zone più civilizzate più il mare lo segue. I maschietti, credendo di saperla più lunga delle donne, tentano di placare il dio. Ma il mare avanza e ricopre tutto, seguendo passo passo il vedicativo Bellerofonte, fino a quando non intervengono più intelligentemente le donne, che decidono di affrontare l’eroe. Appena se lo trovano davanti sollevano le vesti (immagino mostrino le pudende, anche se Plutarco non lo dice), e solo a questo punto Bellerofonte pieno di virile pudore si ferma e comincia a indietreggiare, e con lui il mare.



Dai miti possono trarsi non pochi insegnamenti sul Creato: ad esempio il doversi aspettare che prima o poi la natura ti faccia una tale sonora pernacchia - e di una forza talmente spaventosa - che nemmeno una scorreggia collettiva di tutti gli scienziati del mondo messi insieme riuscirebbe a coprire. La domanda di rito, alla luce del mito dei Lici, è semplice: quale pudende, quale cose di cui vergognarsi gli scienziati saprebbero mostrare oggi? In epoca di incontrastato dominio scientifico muoiono di cancro più persone di quante non ne morivano in passato, nonostante da decenni si riempiano le tasche degli istituti di ricerca e vengano svuotate quelle dei contribuenti. L’inquinamento (non solo atmosferico), immediato esito delle tante applicazioni tecnologiche, la fa ovviamente da padrone, e questoin un epoca in cui centinaia di migliaia di euro vengono spesi annualmente per finanziare studi che farebbero gridare al ciarlatanismo non solo un Giovanni Capodivacca, l'antico redattore del Corriere della Sera, se solo potesse riscrivere la sua commedia Home Rebus (il chiromante), ma pure quel non scienziato da cui siamo partiti, Plutarco – e potrei anche citare uno studio in cui si vogliono mettere in relazione "omosessualità maschile e lunghezza del dito medio". Quello che è certo è che nessuna malattia veramente grave è stata debellata ai giorni nostri, tanto che gli ultimi grandi risultati sono stati in questo senso ottenuti ai tempi dei comiugi Curie, quando la scienza si faceva ancora col “calderone”, come diceva Lacan in un suo seminario, cioè “cum grano salis”, con un po’ di intelligenza. E allora, scienziato, se non sai impedire neppure uno tsunami come la mettiamo?

                                      Pietro Longhi - Il cavadenti

Anni fa uscì a Londra un libro di un certo Neville Hodgkinson, corrispondente scientifico del Sunday Times, Aids, the Failure of contemporary Science – il fallimento della scienza contemporanea – una sorta di sole nel panorama più oscurantistico che esista oggi, quello del mondo scientifico. Non so se Hodgkinson conservò il posto. Ma intanto nessuno ha mai veramente pagato per le centinaia di migliaia di persone crepate a causa del noto farmaco con cui si pensava di rallentare lo sviluppo della sindrome e che invece i produttori dovettero ritirare - distruggeva nientedimeno che il dna. Il più famoso retrovirologo del mondo, Peter Duesberg, caduto in disgrazia per aver detto qualcosa di sensato, negò qualsiasi verosimiglianza all’ipotesi del retrovirus hiv: un comportamento, quello attribuito dell'hiv, che non s’era mai visto in nessun retrovirus e che appariva come qualcosa di veramente stregonesco, anche più inverosimile del mito dei Lici.

“Ma io quest’uomo lo amooooo”, dice una canzone di una cantante neomelodica napoletana, Maria Nazionale: se anche noi scienziati sbagliamo, ci adoperiamo per lui, per l’essere umano.

                                                            cervello umano


Mi ricordo da piccolo, in campagna, mio cugino, che è stato ed è rimasto il mio più grande amico, una sera in cui si sentiva soltanto il verso dei grilli, mi dice: “quando il cervello dell’uomo si sarà sviluppato come quello di Dio allora ci sarà la fine del mondo”. E chissà dove l’aveva pescata, visto che avevamo tutti e due dieci anni. “Ma il cervello di Dio”, gli faccio, “è infinito: e come può il cervello dell’uomo diventare una cosa del genere?” Più tardi ho imparato che la matematica era già riuscita, col calcolo infinitesimale, a misurare l’infinito molti secoli prima delle mie conversazioni infantili con mio cugino, e che la fine del mondo non c’era stata. E allora com’è che se domini pure l’infinito, tu, scienziato, ancora non  riesci a impedire uno tsunami mentre ci sono riuscite diversi millenni fa delle semplici donne, alle quali è bastato agire sulla nozione di pudore? Perché tu certo saprai meglio di chiunque altro che cos'è il pudore …