Follia dell'iperbato, come in questo verso di un frammento del nono libro dell'Antologia Greca:
πορφυρέᾐ δ᾽ ἀνέκοπτες ὕδωρ πεπιεσμένον αἰδοῖ
dove si parla della vergogna pupurea dell'Alfeo, che si trattiene dal coricarsi nel letto di Aretusa per non imbrattarlo di sangue.
Vera e propria schizofrenia stilistica, mente scissa, divisa, separata, dissociata. Mi divertivo, da studente, a prendere in giro qualche presuntuoso, qualche professore, qualche italianista (la maggior parte degli italianisti non conosce il greco, hanno misere nozioni dal liceo, non riescono a capirci niente se non hanno il testo a fronte). Dicevo, ad esempio, schizzzofrenia, alla romana, schizo che suonava come schizzo, cacatella di conoscenza, e mi facevano immancabilmente osservare che siccome era greco andava pronunciato schizo, con una sola zeta e per di più sonora, e allora rispondevo qualcosa nel greco della fine del sesto secolo, continuavo la conversazione come se fossi nell'agorà di Atene, e il povero professore arrossiva, come l'Alfeo, perché lo pronunciavo pure come nel greco bizantino, che era la vera pronuncia del greco dei tempi di Erodoto e Tucidide e Platone eccetera.
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domenica 3 maggio 2015
martedì 13 gennaio 2015
sui fiumi di Babilonia i microbi della terra
על נהרות בבל שם ישבנו גם־בכינו בזכרנו את־ציון׃
Sui fiumi di Babilonia sedevamo e piangevamo al ricordo di Sion.
Così hanno fatto i "grandi" della Terra, come li chiamano i giornali provinciali italiani (Corriere e Repubblica - Huffington Post Italia, sottomarca del liberalismo pseudo libertario, non è nemmeno da prendere in considerazione, se non come possibilità di ottenere una credit card prepagata). Così hanno fatto invece i piccoli della terra, rappresentati giustamente da gnomi in tailleur e giacca e cravatta, sulle ceneri di Charlie Hebdo: hanno sicuramente intonato l'inizio del Cantico di Sion, del più famoso dei salmi delle lamentazioni.
Ci sarebbe da dire che il testo l'ebraico non ha "e", come ho tradotto, ma "anche" (גם - gam). E' in posizione estremamente ambigua - estremamente perché è agli estremi di due proposizioni correlate: un nesso, sembrerebbe, paratattico ("questo e questo": sedevamo e piangevamo). Ma potrebbe riferirsi a quanto precede: sedevamo anche, cioè: anche sui fiumi di Babilonia sedevamo (dopo esserci seduti altrove). Oppure a quanto segue: piangevamo anche (oltre a essere seduti, piangevamo), e potrebbe addirittura indicare enfasi, come in alcuni suoi usi nel Vecchio Testamento, a introdurre un climax, un crescendo, uno stracciarsi le vesti, uno strapparsi i capelli, un graffiarsi e rigarsi i volti: sui fiumi di Babilonia sedevamo, sì (proprio così): piangevamo eccetera"
Tutti sensi che si adattano benissimo alla congrega di pidocchi della terra che si sono riuniti a Parigi
(ad esempio: e piangevamo anche, mentre rispondevamo al cellualre; oppure piangevamo anche mentre peteggiavamo in silenzio; oppure: piangevamo anche mentre speravamo, noi amebe, di essere visti dal mondo eccetera; oppure nel primo caso: anche lì sedevamo, dopo esserci seduti a tutte le inutili tristi celebrazioni e messe di suffragio.
Grazie al cielo l'orazione di Pericle per i caduti della guerra archidamica è andata perduta: doveva essere di una noia mortale a giudicare dalla ricostruzione di Tucidide: roboantica celebrazione della sua testa a forma di ogiva (per quanto Pericle fosse un gigante in confronto a queste caccole).
Sui fiumi di Babilonia sedevamo e piangevamo al ricordo di Sion.
Così hanno fatto i "grandi" della Terra, come li chiamano i giornali provinciali italiani (Corriere e Repubblica - Huffington Post Italia, sottomarca del liberalismo pseudo libertario, non è nemmeno da prendere in considerazione, se non come possibilità di ottenere una credit card prepagata). Così hanno fatto invece i piccoli della terra, rappresentati giustamente da gnomi in tailleur e giacca e cravatta, sulle ceneri di Charlie Hebdo: hanno sicuramente intonato l'inizio del Cantico di Sion, del più famoso dei salmi delle lamentazioni.
Ci sarebbe da dire che il testo l'ebraico non ha "e", come ho tradotto, ma "anche" (גם - gam). E' in posizione estremamente ambigua - estremamente perché è agli estremi di due proposizioni correlate: un nesso, sembrerebbe, paratattico ("questo e questo": sedevamo e piangevamo). Ma potrebbe riferirsi a quanto precede: sedevamo anche, cioè: anche sui fiumi di Babilonia sedevamo (dopo esserci seduti altrove). Oppure a quanto segue: piangevamo anche (oltre a essere seduti, piangevamo), e potrebbe addirittura indicare enfasi, come in alcuni suoi usi nel Vecchio Testamento, a introdurre un climax, un crescendo, uno stracciarsi le vesti, uno strapparsi i capelli, un graffiarsi e rigarsi i volti: sui fiumi di Babilonia sedevamo, sì (proprio così): piangevamo eccetera"
Tutti sensi che si adattano benissimo alla congrega di pidocchi della terra che si sono riuniti a Parigi
(ad esempio: e piangevamo anche, mentre rispondevamo al cellualre; oppure piangevamo anche mentre peteggiavamo in silenzio; oppure: piangevamo anche mentre speravamo, noi amebe, di essere visti dal mondo eccetera; oppure nel primo caso: anche lì sedevamo, dopo esserci seduti a tutte le inutili tristi celebrazioni e messe di suffragio.
Grazie al cielo l'orazione di Pericle per i caduti della guerra archidamica è andata perduta: doveva essere di una noia mortale a giudicare dalla ricostruzione di Tucidide: roboantica celebrazione della sua testa a forma di ogiva (per quanto Pericle fosse un gigante in confronto a queste caccole).
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lunedì 15 aprile 2013
Dei grilli il verso ...
Scrivevo ieri in un commento a un post in un blog dedicato
alla lettura e alla letteratura (Il naufragio: una metafora esistenziale) che uno dei primi poeti a offrire l'immagine di una “nave sanza nocchiere in gran tempesta” è Alceo, nel VII secolo dell’era pagana, in una delle sue odi: questo mare che infuria da tutte le parti e la nera nave con noi sopra trasportata senza guida e senza meta ... È appunto la metafora di uno Stato ormai in balia dell’incontrollabile. La grande
letteratura, la poesia, non è altro che spirito profetico, di senso cioè della realtà: di dialogo col reale anticipandone o riflettendone le dinamiche sociali. Ma qui, questa immagine di Alceo (poi in Orazio, e in tanti scrittori cristiani, e poi in Dante) è diventata un possesso definitivo, un'acquisizione per sempre, come
avrebbe detto Tucidide; ed è strano come si tenda sempre a dimenticare, e come l'umanità ci sbatta continuamente il grugno … Si preferiscono altre metafore meno inquietanti, più campestri, ma che nei grandi poeti hanno ugualmente una loro preoccupante ragione d'essere ... de' grilli il verso che perpetuo trema ...
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