Scrivevo ieri in un commento a un post in un blog dedicato
alla lettura e alla letteratura (Il naufragio: una metafora esistenziale) che uno dei primi poeti a offrire l'immagine di una “nave sanza nocchiere in gran tempesta” è Alceo, nel VII secolo dell’era pagana, in una delle sue odi: questo mare che infuria da tutte le parti e la nera nave con noi sopra trasportata senza guida e senza meta ... È appunto la metafora di uno Stato ormai in balia dell’incontrollabile. La grande
letteratura, la poesia, non è altro che spirito profetico, di senso cioè della realtà: di dialogo col reale anticipandone o riflettendone le dinamiche sociali. Ma qui, questa immagine di Alceo (poi in Orazio, e in tanti scrittori cristiani, e poi in Dante) è diventata un possesso definitivo, un'acquisizione per sempre, come
avrebbe detto Tucidide; ed è strano come si tenda sempre a dimenticare, e come l'umanità ci sbatta continuamente il grugno … Si preferiscono altre metafore meno inquietanti, più campestri, ma che nei grandi poeti hanno ugualmente una loro preoccupante ragione d'essere ... de' grilli il verso che perpetuo trema ...
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