mercoledì 24 aprile 2013

Le risate di Giacomino Leopardi


Bruegel il Vecchio - Tre tre giù giù


C’è in greco antico delle frasi che hanno, come in questa mia frase, il verbo al singolare e il soggetto al plurale. E succede non solo coi nomi neutri, che sarebbe d’obbligo, ma anche coi nomi maschili e con quelli femminili. È anche vero che si tratta di casi rari, e che a questa costruzione piuttosto allegra si dà un nome particolare e altisonante: schema pindarico, sicuramente per il fatto che Pindaro, il poeta dei vincitori delle Olimpiadi, ne fa a malapena uso. Curiosamente, il contrario non funzionerebbe, nemmeno in italiano: difficile poter dire: ci sono una frase, anche se poi, omnibus non perpensis, cioè al di fuori di ogni dramma, quale sarebbe il dramma? Eppure internet è pieno di forum dove fioccano una dietro l'altra domande preoccupatissime su come si debba scrivere una certa parola: se è meglio usare coscia o cosca, o quale sia il vero plurale: se cacce o caccie o cacche, quale la vera e giusta preposizione: se indulgere a o indulgere in. E piovono risposte di tutti i tipi: si inizia in genere col citare il Treccani e si finisce nel patatrac del Treggatti - e ogni tanto, anche se non così raramente, nel superpatatrec del Tommaseo, dizionario che tuttavia amava Sciascia (come fonte di citazioni).

Leopardi, che venne ostacolato in tutti i modi da una banda anzi da una gang non di scrittori ma di letterati, di eccelsi mediocri, i quali in effetti gli tolsero in vita quella fama a cui aspirava (e in questa gang di mediocri senza talento c’era anche il Tommaseo) dettava un giorno al suo amico Ranieri - il quale scriveva di malavoglia viste le volgarità a cui Leopardi si stava abbandonando - che "Monti usava d'esclamare in un significato singolarissimo: oggi mi dolgono i tommasei"; inizio di un capolavoro perduto perché immediatamente Ranieri, come lui stesso racconta, si alzò e disse: "Leopardi, tu sai s'io sono devoto a te e alla tua gloria, ma ti prego di non continuare ". E lo invitò anzi a distruggere quanto aveva fino a quel momento dettato. Cosa a cui Leopardi, che era un angelo, acconsentì di buon grado. Il che è anche una conferma della sua natura giocosa e solare, tutt'altro che morbosamente cupa o depressa, come tanto a vanvera si racconta nel mondo. Lo Zibaldone infatti, bibbia filosofico-linguistica, è un monumentale inno al sole dell’intelligenza. E non a caso Giacomino, grande amante di gelati e sorbetti, se ne andò tranquillamente a morire a Napoli, quando lo Zibaldone, tra l'altro, l'aveva già chiuso da un pezzo, perché aveva già detto tutto quello che aveva da dire. Pare che le ultime parole dette a Ranieri, prima di spirare, siano state: io non ti veggo più!



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