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mercoledì 24 settembre 2014

Derrida e lo sguardo della storia

Ci sono persone che semplicemente per aver letto un po’ di Derrida (in genere per uno di questi inutili corsi universitari di cui pullulano le università britanniche, gender studies o psicanalisi lacaniana o roba simile) criticano gli interlocutori anche quando fanno osservazioni sensate. Così mi è successo recentemente di sentire in pullman dietro di me una di queste saputelle (smart arse) accusare il suo compagno di viaggio di essere fermo alle posizioni degli anni Ottanta del secolo scorso, e solo perché s’era permesso di dire che il femminismo aveva fallito a tutto campo – unica cosa a dire il vero che condividevo di quella noiosa conversazione a pochi centimetri dalle mie orecchie. Il tipo aveva una trentina d’anni, lei molto più grande e pronunciava Derrida all’inglese (Derrìda), segno che non aveva nemmeno fatto lo sforzo di studiarsi un po’ di francese visto che da quello che riuscivo a capire Derrida era stato l'argomento della sua tesi di laurea.

E in fondo c’è poco da stupirsi o meravigliarsi: un’università che è soltanto luogo di produzione scientifica o meglio, pseudoscientifica, non può che guardare sempre e soltanto alle ultime pubblicazioni, o ai commenti più recenti dell'opera di un certo autore: che poi si legga o meno questo autore non ha nessuna importanza. Quello che conta è il "commento" di uno dei tanti emeriti nulla. Pensare con la propria testa zero: l’importante è che si citino articoli e libri scritti recentissimamente da chi non sa nemmeno aprire bocca. Cosa di cui ho già detto e ridetto in tanti precedenti post.

Come fatto personale ricordo che avevo ventidue ventitre anni e a Londra ero stato trascinato da una mia compagna di università a sentire una conferenza di Derrida al RIBA, il Royal Institute of British Architects, in Portalnd Place, e arrivai in ritardo, quando la conferenza era già finita e il pubblico stava ormai uscendo. Rimasi un po’ lì fuori per cercare di vedere almeno Derrida dal vero. E in effetti lo vidi apparire dopo un po' con una pipa in bocca, e per un attimo ci guardammo: era un uomo non alto, coi capelli bianchi e folti, il viso squadrato, gli occhi sensibili e di rarissima intelligenza.

Tutto ovviamente molto interessante per un ragazzo o uno studente ma in fondo di Derrida non me ne importava e non me ne importa un fico secco, a differenza di Sciascia, del suo sguardo, che come ho detto altrove mi fece l'onore di posarsi per qualche istante su di me quando ero piccolo, incuriosito chissà da cosa.

lunedì 8 settembre 2014

bambole e soldatini

Ogni volta che si guarda una delle tante fiction poliziesche - legali, mediche ecc, (ce n'è una piuttosto disgustosa incentrata sul lavoro di un gruppo di patologi britannici, cadaveri a non finire mostrati a pranzo e a cena mentre si sta mangiando magari tranquillamente una bistecca o una salsiccia) ogni volta che si guarda una di queste fiction si ha l'impressione che i personaggi maschi, anche se non è a rigore una fiction poliziesca, continuino comunque a giocare coi soldatini (pum pum! sei morto!), quando non giocano al gioco della virilità, portandosi a letto la collega di turno - segno che un qualche problema all'esterno, fuori del commissariato, esiste - e che i personaggi femminili, sempre coesi, hanno coronato il sogno che più di tutti stava loro a cuore: quello di arrivare a separare, ogni volta che ne abbiano occasione, i colleghi maschi, qualunque lavoro facciano, mosse unicamente da invidia per questa sorta di rilassatezza, questo senso del gioco a cui gli uomini si abbandonano quando stanno insieme: interrompere quello che in inglese si chiama male bond, legame tra uomini, legame d'amicizia, "uomini in compagnia di altri uomini" (c'era su questo un articoletto autobiografico di David Mamet, il regista, anzi uno dei registi più intelligenti di oggi, che a causa di questa eccessiva intelligenza finisce spesso per rovinare i suoi film). A differenza di quello che succede nel mondo vero, dove le donne, quando stanno insieme, non fanno altro che farsi guerra. In più, sempre in queste fiction, la donna appare quasi schizofrenica: da un lato, in veste di poliziotto o di avvocato di grido, vuole mostrare i muscoli, dall'altro questi muscoli sarebbero il trucco da clown a cui non sa rinunciare, e l'apparire uterina in ogni situazione (in una di queste fiction si vede un giovane avvocato donna che entra di prepotenza negli spogliatoi maschili di una scuola e costringe così alcuni adolescenti senza mutande a coprirsi immediatamente; cosa che se lo facesse un maschio, se provasse a entrare in un qualsiasi spogliatoio femminile, verrebbe subito denunciato, secondo norma, come molestatore - entrare negli spogliatoi maschili non è solo il sogno di molte donne cresciute con l'invidia del pene e di molte donne-mamme ma anche e soprattutto del regista o sceneggiatore maschio, arrapati dalla pornografia nella quale sono cresciuti -  e avessero almeno letto un po' di Sade, dei suoi meravigliosi romanzi).

Inoltre credo che la donna in queste fiction sarebbe molto più credibile se quando ostenta un'arma (il pericolo è che si spezzino le unghie) e fa irruzione come Rambo insieme ai colleghi maschi potesse nello stesso tempo vantare storicamente, nel mondo reale, una gavetta di quelle con le quali ti fai i muscoli anche in altri mestieri, in passato (e ancora oggi) riservati agli uomini: lavorare per esempio in un cantiere come muratore (o muratrice - come facevano alcune donne durante e dopo l'ultima guerra) prima che come architetto, perché è facile saltare dalle bambole al tavolo da disegno, alla sedia del comando.

sabato 12 luglio 2014

L'invidia e la stupidità. Il politicamente idiota

L'invidia è quella del pene, dell'organo genitale maschile, di cui sono invidiose le donne. Ma non tutte, che sarebbe un dramma. A molte, alla maggioranza delle donne, il pene sta bene dove sta e se ne delizia. Le invidiose sono invece, è un fatto conosciuto, le femministe, che non hanno mai saputo né voluto ammettere la bancarotta delle ideologie su cui

giovedì 19 dicembre 2013

L'habitat fa la monaca:i pifferai del capitale





Si dice che l’abito non fa il monaco ma sarebbe più giusto dire l’habitat fa la monaca. E' il caso di una nota giornalista italiana che dirige un giornale “progressista”, si professa di sinistra e

domenica 15 dicembre 2013

La porta di Babouli: nel segno della reciprocità


La porta di Babouli

Partendo in macchina da Ouagadogu, la capitale del Burkina Faso, e percorrendo una quarantina di chilometri in direzione nord, si prende a un certo punto a sinistra una strada sterrata in direzione di Pella. La si percorre per circa dieci chilometri e ci si trova in aperta savana alla ricerca di Bologò. Si possono soltanto

domenica 22 settembre 2013

solo la donna è sempre donna. cinema e sguardo abusivo


Esiste una genia di registi uomini che sfrutta ancora il concetto della donna pupazzo dei divertimenti e degli arrapamenti del maschio frustrato. È un’immagine vecchia come il mondo e potrebbe tranquillamente essere considerata un capitolo di quello studio che Germaine Greer ha intitolato L’eunuco femmina, la donna cioè feticcio. Si veda per esempio il terzo film della serie Alien, nel quale un modulo di salvataggio della nave spaziale USS Sulaco, costretto a un atterraggio d’emergenza, finisce su un piccolo pianeta occupato esclusivamente da un carcere di massima sicurezza. Chi sono i detenuti tutti uomini di questo carcere? Serial killer e stupratori. Chi è l’’umico membro dell’equipaggio a salvarsi? una donna, che tirata fuori dai soccorritori è rimasta guarda caso pure in slippini, con l’ombelico (il buco) bene in vista, che non sarebbe altro che l’occhietto che pure un regista del calibro di David Fincher si permette di fare al generico spettatore: da una parte al maschio, convinto che tutti i maschi di questo mondo condividano la sua visione priapica dell’esistenza, dall’altra alle donne, eccitato alla semplice idea che la generica donna possa gustare il suo momentaneo arrapamento nella visione di questo che è probabilmente il peggiore dei suoi film. Le donne non portano minori responsabilità: lo sguardo della donna spettatrice, in questo genere di film, resta in effetti ambiguo: come mamma indulgente chiude un occhio nel migliore dei casi e nel peggiore finirà per arraparsi anche lei (checché ne dica il femminismo più radicale): si arrapa a sentire il suo maschio arrapato; anche se in quanto donna lo sarebbe forse meno se si rendesse conto che il suo uomo è semplicemente arrapato perché un altro maschio, il regista, è anche lui arrapato e gli sta offrendo in una sorta di intesa - ben conosciuta nelle conversazioni tra maschi - questi suoi segni e sogni erotici da quattro soldi. Ma se un maschio si eccita ai sogni erotici di un altro maschio, il dado non è molto tratto, non si lascia nessuno spazio al caso: si tratta né più né meno di qualcosa che va oltre le aspettative, il contrario cioè di quello che questo spettatore si immagina quando entra al cinema, poco importa che la concezione priapica che il regista ha del mondo sia ampiamente condivisa dall'umanità maschile: resta il fatto che in quel particolare momento il maschio si eccita coi sogni erotici proposti da un altro. Punto. È quindi ingiusta l’accusa mossa a Holliwood di una sua certa supposta omofobia: questo tipo di pellicole, tanto più se arrivano da un ottimo regista, lo stesso che ebbe il coraggio di proporre l’omoeroticissimo Fight Club, dimostrerebbero esattamente il contrario (d'altronde è ben noto come perfino in un concreto triangolo sessuale di due uomini e una donna, quest'ultima, nel duplice tritacarne maschile, rappresenta il cosiddetto alibi, o il terzo incomodo; a differenza di un triangolo di due donne e un uomo, dove il fatto che si tratti di un rapporto lesbico a tre può essere quasi dimostrato matematicamente: aumentando il numero di donne e portandolo col metodo dell’analisi matematica all’infinito, sogno di ogni uomo: l’integrale che ne risulta non può essere che donna: l’uomo che realizza così il suo sogno di essere alla fine anche lui quello che è sempre stato: una povera donna mancata).

Le pretese del mercato non son ovviamente discutibili. Ma almeno in questo caso tutto è facilitato