domenica 15 dicembre 2013

La porta di Babouli: nel segno della reciprocità


La porta di Babouli

Partendo in macchina da Ouagadogu, la capitale del Burkina Faso, e percorrendo una quarantina di chilometri in direzione nord, si prende a un certo punto a sinistra una strada sterrata in direzione di Pella. La si percorre per circa dieci chilometri e ci si trova in aperta savana alla ricerca di Bologò. Si possono soltanto
seguire le tracce lasciate dalle ruote degli altri mezzi, se ci si vuole orientare. Non ci sono qui indicazioni se non legate alla natura: il grande baobab, la casa di Amadou, il grande mango.

Superato Bologò si continua per la savana fino a incontrare quattro possenti baobab allineati: la chiamo la porta di Babouli.

Baboulì è un esteso villaggio di circa tremila persone, ma i nuclei abitativi sono semplici gruppi di case separati gli uni dagli altri ancora dalla savana, niente che faccia pensare a un centro abitato compatto.

Si entra a Babouli e si incontra subito un bar: una semplice costruzione in fango, e si è immediatamente sommersi dai suoni della lingua more, che è la lingua dell’etnia mossi, la più diffusa. Una lingua a sentire la quale si resta meravigliati per l'infinità di modi diversi in cui può essere pronunciata una vocale (more andrebbe pronunciato mòoré). Ci sono circa trenta lingue in Burkina Faso, ognuna prende il nome dall’etnia che la parla: la lingua dioula, usata soprattutto a Bobo-Dioulasso, la seconda città del Burkina Faso, una parola composta che localmente suona come "casa", "terra dei dioula"; e poi la lingua bobo, la lingua peul, che ha nome da una delle etnie più grandi dell’Africa occidentale, tradizionalmente pastori ma anche guerrieri (anche donne guerriero, come le si può vedere ancora alla sfilata delle etnie a Bobo-Dioulasso, durante la Settimana nazionale della cultura; e poi la lingua samo, la lingua bambara

Guerriere Peul a Bobo Dioulasso
A Babouli (villaggio del pozzo del cantastorie), come pure nella maggior parte dei piccoli o grandi villaggi del Burkina Faso sprovvisti di corrente elettrica e dove cominciano a apparire soltanto adesso in alcune aree i primi tralicci con i pannelli solari, il consiglio degli anziani si riunisce di giorno e all’aperto. E a Babouli lo fa sotto un gigantesco albero di cui ignoro il nome. La sua ombra ha un perimetro di forse più di cento metri - di sicuro la lunghezza o profondità di quest'ombra tocca anche i venti metri. Anche quest'albero serve da luogo di incontro: "ci si vede sotto il grande albero". Ed è il più importante punto di riferimento, il parlamento di Babouli. Oltre al consiglio degli anziani, all'ombra di quest'albero si riunisce il consiglio delle donne. Anche loro si incontrano per decidere cose importanti per la comunità: l'organizzazione di una festa, la vendita di alcuni prodotti. E quando approvano qualcosa, agitano in alto le mani e urlano una sorta di felicissimo ululato.

Babouli: uomini e donne insieme sotto il "grande albero"

Nonostante sia il consiglio degli anziani (tutti uomini) a prendere le decisioni più importanti, la donna - e non solo a Babouli ma in tutto il Burkina Faso - non è sottomessa all’uomo: è rispettata, e questo in un Paese a maggioranza musulmana. Si tratta indubbiamente (così come per la depenalizzazione del reato di omosessualità) di uno dei più grandi lasciti di Sankara al suo popolo - di lui viene in mente il vibrante intervento al Palazzo dell’Onu in difesa dell’autodeterminazione della sua gente, un po’ prima che venisse ammazzato col concorso dei paesi che tutti conosciamo: un uomo di sicuro poco propenso a chinarsi ai potenti della terra che sfruttavano e continuano a sfruttare il suo paese: diamanti in mano ai canadesi, canna da zucchero in mano all’Agha Kan, riso in mano alla Cina, con la sua sottile filosofia della colonizzazione silente con cui controbilancia gli effetti dell’abbandono delle campagne dei suoi contadini. La Cina produce qui a bassissimo costo una parte del riso di cui ha bisogno, considera quindi il Burkina Faso uno dei suoi immensi granai. Niente di quel riso finisce nei piatti dei burkinabe (abitanti del Burkina Faso), e il riso che si vende qui viene importato a prezzi salatissimi: un pacco da dieci chili di riso ordinario, parte principale dell’alimentazione di un burkinabe, costa 12 euro, quanto lo si paga in Occidente in una catena di discount, ma il guadagno medio di un burkinabe è di un euro al giorno;  i risi migliori poi costano il doppio. E si potrebbero fare esempi per altri prodotti. Lo zucchero di canna viene prodotto qui dall'Aga Khan a due soldi, costando niente lo sfruttamento del contadino locale, ma tutta la produzione viene esportata e in Burkina Faso rientra soltanto uno zucchero prodotto in Occidente con sistemi chimici. Quindi il burkinabe paga due volte. Il danno e la beffa. E ancora un chilo di burro di karité, prodotto col quale la Francia rimpingua la sua industria cosmetica, costa in Burkina Faso settanta centesimi, la stessa quantità viene rivenduta in Occidente a cinquanta volte di più. Naturalmente è di nuovo la Francia a stabilire il valore del franco locale. E si potrebbe ancora parlare delle arachidi e degli anacardi, quegli stessi che si mangiano in Occidente nelle serate tra amici, prodotti per due soldi in questo come in altri paesi africani. Quando si parla di multinazionali si intende molto semplicemente questo tipo di sfruttamento, e si provi a immaginare, cambiando regione, le ricchezze minerarie del Congo: i rapporti di forza tra Occidente pappone in tutti i sensi e paesi sfruttai non cambiano; e non cambiano nemmeno quando ci si lamenta qualunquisticamente nelle nostre città alla vista di quei ragazzi africani che vendono i loro piccoli oggetti e oggettini dove capita, sfruttati da noi più che nei loro paesi e terrorizzati all'idea di vedersi sequestrata la mercanzia di cui devono poi rendere conto anche a sfruttatori nascosti.

Babouli: danzatore

Uno dei più seri pericoli per l’economia agricola locale del Burkina Faso è oggi rappresentato dallo sfruttamento delle terre per la produzione del combustibile vegetale dalle bacche di jatropha. Grandi parole anche da parte dei governi locali. Viene promessa ai villaggi la costruzione di scuole, ospedali in cambio dell'utilizzo delle terre. Non tutti i villaggi ci credono, altri lasciano fare e a volte piccole costruzioni date in "cambio" forse si vedono qui e là ma tutto nell'ottica, quando anche la promessa viene mantenuta, di un'elemosina.

Moschea di Babouli
Babouli è uno di quei villaggi che non hanno voluto cedere le terre. E' un villaggio orgoglioso e felice. E proprio qui, in questo grande insediamento di tremila persone, è sorto invece (e non per finta), un piccolo ospedale la cui prima pietra è stata posta quattro anni fa e che ora desta la meraviglia dei villaggi vicini che inizialmente si erano mostrati scettici quando il progetto venne illustrato non solo a Babuli ma anche altrove. Un progetto nato nel segno della reciprocità. E Reciprocità si chiama l'associazione umanista (http://www.reciprocita.org/) che è riuscita a far quadrare i conti e a costruire questo modesto ma commovente ospedale costato circa centomila euro. Ogni anno, a Natale e a Pasqua in Italia si vendono panettoni e colombe e il ricavato viene tutto devoluto a questa costruzione, anche se i banchetti di raccolta delle collette non hanno vita facile e spesso sui sagrati delle chiese non sono nemmeno graditi e vengono fatti perciò spostare. Si tratta di una Onlus, non una Ong (i cui membri, i cosiddetti "volontari", percepiscono, per dirla tutta, comodi stipendi e borse di studio e quindi non sono volontari per niente, e anzi spesso non fanno proprio niente, come era ad esempio il caso di un gruppo di studenti a Ouagadogu, non mi ricordo più di che paese, venuti in Burkina Faso con una Ong a parlare di malattie infettive ma in realtà a passare le giornate a divertirsi e a bere - e soltanto uno di quegli studenti partiva tutte le mattine con la zaino in spalla per andare nei villaggi). La differenza è che se il 70 per cento del denaro delle Ong finisce per pagare stipendi e tavoli da ufficio, i ragazzi e ragazze dell'associazione Reciprocità non percepiscono un euro e anzi ci mettono, convinti, di tasca propria.

Babouli: progetto allevamento bestiame
Gli uomini e le donne dell'associazione Reciprocità hanno impostato la loro attività in Burkina Faso, e a Babouli, forti di tre fondamentali principi civili del loro sentirsi umanisti: educazione, salute e qualità della vita (acqua, cibo, ambiente). Il consiglio degli anziani di Babouli li ha ascoltati, a differenza che in altri villaggi. Prima dell'ospedale, erano stati proposti, a Babouli, altri progetti, tutti realizzati: allevamento del bestiame e produzione agricola comunitaria (fagioli e arachidi). Precedentemente all'avvio dei progetti c'era stato tutto un lavoro si sensibilizzazione al concetto di reciprocità e delle cooperative di base. Ma una volta avviato un progetto, quasi tutta la comunità ne è stata attratta e interessata, e chi ci lavora può adesso comprare, a prezzi ridotti, ciò che lui stesso ha prodotto. E' qui che scatta il meccanismo della reciprocità: io non ti faccio l'elemosina: ti do qualcosa non perché tu restituisca a me che ti ho dato ma perché tu dia a tua volta a un altro. Il ricavato di questi progetti servirà a finanziarne altri, anche fuori del villaggio, così come dopo il progetto dell'allevamento era sorta anche una farmacia. E' un attitudine rivoluzionaria, perché scardina alla base il meccanismo dello sfruttamento del tuo simile, ti obbliga, se l'accetti, a dare del tuo.

In qualche modo, e fatti i dovuti distinguo, viene in mente un tipo di sviluppo economico simile a quello delle riduzioni ideate dai gesuiti in Paraguay nel 1600 contro lo sfruttamento degli indios. La riduzione era indipendente nella sua organizzazione interna. C'era un consiglio municipale, e soprattutto la "proprietà privata" coesisteva con la produzione collettiva, anche se da questa veniva sottratto il vergognoso contributo "dovuto" al re di Spagna. E che quelle riduzioni dei Guarani avessero comunque imboccato la strada giusta lo dimostra il fatto che il volto feroce del capitale mostrò presto, nascosto nei decreti di Spagna e Portogallo, il suo vero volto: le riduzioni vennero attaccate, i gesuiti arrestati, e un'orda famelica di commercianti e trafficanti di ogni risma si buttò finalmente sui "beni" della Repubblica guaranì.

 
Babouli: Marco e l'opera di sensibilizzazione ai progetti cooperativi di base

L'ospedale di Baboulì è quasi terminato: sembrerebbe piccola cosa con 20 posti letto su 250 metri quadrati ma in questo villaggio come in altri del Burkina Faso capita che i bambini muoiano ancora per una diarrea, disidratati. Ci sarà una sala operatoria per piccoli interventi gestiti con pannelli solari e ci sarà un ambulatorio, e un reparto malattie infettive (una stanza), una farmacia dell'ospedale (il Ministero della salute fornirà medici e infermieri). Seguirà anche un reparto maternità. Mancano ancora quindicimila euro per le apparecchiature. Questo piccolo gioiello della volontà di reciprocità servirà anche altri paesi intorno.

Babouli: ospedale
Si può dire che gli amici umanisti abbiano saputo attendere, aspettare. E hanno avuto ragione. Quando ho visto questo ospedale, questa costruzione color arancio, mi sono commosso. Il pensiero che dal piccolo si sia ottenuta una grande cosa che ha dato felicità ai burkinabe di questo villaggio e di altri attorno.


Babouli: farmacia


Uno dei dodici principi di azione valida degli umanisti di Silo - lo si trova affermato nel suo Umanizzare la Terra - dice: "Quando incontri una grande forza, retrocedi: aspetta che si indebolisca e poi avanza con risolutezza".


1 commento:

  1. Ah ma che bello si respira un l'odore e si sente il sapore della grande Africa, questa terra fantastica purtroppo da secoli china dinanzi agli interessi dei poteri economici...ma cambierà...doni doni (passo passo) come dicono i djoula oppure come si dice a Napoli Pulecenella a carocchie a carocchie a carocchie accedette a mugliera!

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