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sabato 30 novembre 2013

femminicidio, misoginia e ipocrisia dei giornali di sinistra





Se pure Semonide di Amorgo, poeta di giambi fiorito attorno al 625 a.C., fosse stato un illustre sconosciuto, un qualche misogino alessandrino l'avrebbe ugualmente fatto passare alla Storia, e direi proprio per quella sua velenosa invettiva contro le donne, perché

mercoledì 19 giugno 2013

I soldi dei contribuenti e l'anacoluto



“Mi sono spesso domandato, anzi meravigliato di un fatto …” Inizia così uno dei pochi frammenti rimasti di un'orazione che gli antichi attribuivano a Alcidamante, un retore ateniese il cui stile Aristotele, suo contemporaneo, considerava troppo carico e pieno di immagini non realistiche (ma ogni cosa andrà letta sempre cum grano salis se quandoque bonus dormitat Homerus, se anche Omero ogni tanto sonnecchia). Alcidamante, sconosciuto alla massa dei mediocri che determinano le estetiche del presente – estetica nel senso di ciò che si finisce per sentire come "giusto", il che avviene quando un particolare ma potente gruppo radicato nel sociale riesce a imporre la propria mediocre visione delle cose (grossi giornali e televisioni) e questa diventa, come in ogni lager che si rispetti, il giusto metro. Cosa diceva questo Alcidamante, che pur appartenendo al partito ultra conservatore fu uno degli iniziatori di una certa seria riflessione sul concetto di schiavitù (se cioè la distinzione tra schiavi e liberi avesse un senso considerata una comune base di partenza, un venire al mondo tutti alla stessa maniera) di cosa si meravigliava nell'orazione di cui ho citato l'inizio? Si stupiva del fatto che molti dei politici che ai suoi giorni salivano in tribuna a dare consigli agli Ateniesi dimostravano coi loro discorsi di essere assolutamente inutili alla causa comune, nessun senso dei reali bisogni della comunità (ἀφ' ὧν ὠφέλεια μὲν οὐδεμία ἐστὶ τῷ κοινῷ, una frase che se pronunciata nel modo in cui la pronunciavano allora, cioè come i greci di oggi, suona di una semplicità disarmante: af on ofèlia men udemìa estì to kinò); e aggiunge Alcidamante: tutto ciò che invece ci è dato ascoltare ogni giorno è un'infinità di insulti reciproci (lidorìe de pliste ghìgnonte en allìlis). Voila! tutto qui. Peccato che sia difficile trovare Alcidamante in traduzione, anche se in giro qualcosa dovrebbe esserci, e pure in italiano (non mi ricordo se sia incluso nella bella edizione dei sofisti curata da Untersteiner in un'epoca in cui non c'eravamo ancora, e che non ho voglia adesso di cercare nella mia biblioteca), ma nel caso in cui si riesca a trovare qualcosa, non potrà non giovare e tornare utile soprattutto a chi nel mondo delle idee, anche spicciole e da carta stampata e non stampata, crede ancora di essere un pensatore originale; potrà anzi trarne insegnamenti inattesi considerando che in fondo si ha a che fare soltanto con un "retore minore", anche se ovviamente dormirà sonni un po' meno tranquilli. Ma tutto questo per dire come venivano allora e come vengono spesi oggi i soldi del comtribuente. Nessuna pubblica utilità whatsoever

giovedì 2 maggio 2013

Amor ch'a nullo amato




Mi viene da pensare che (conoscendo come vanno le cose nel mondo) è sempre vero che in amor vince chi fugge, non c'è possibilità di errore. Che si tratti cioè di una di quelle leggi della psicologia umana che restano oltretutto inalterate nel tempo. Quello che invece non sappiamo è se, parlando dell'amore di Dio, nel senso di amore che si ha per Dio, valga la stessa legge. Chiunque provi questo tipo di amore dovrà aspettare, sperare: e speranza  significa in latino, come anche in greco, attesa; di sicuro al termine di una lunga attesa sarebbe non facile, non bello, dover prendere atto che chi è fuggito dal divino, così come sulla terra, ne abbia al contrario conquistato l'amore e che questa legge non solo è universale ma ci si conforma anche il creatore dell'universo. E si potrebbero far rientrare, nei discorsi sull’amore, anche le tante riflessioni, odierne o passate, sull'amor di patria: il nemo propheta in patria - questione non da poco - è un esempio di come la stessa legge dell'amore dei sensi valga anche nell’etica. Andocide, famoso personaggio dei tempi di Pericle, di qualche anno più giovane di Alcibiade, venne colpito da una serie di disgrazie civili, una dietro l’altra, con vari esili tutti documentati, e ogni volta cercò di rientrare ad Atene, provò a riconquistarsi sempre senza troppo successo l’amore della sua città.

                                          Laocoonte, copia in porcellana - foto LuciusCommons

Devo ammettere non ho mai avuto molta simpatia per questo personaggio - e forse più che per l’uomo, per ciò che ancora oggi il suo più conosciuto gesto può moralmente significare, se è ormai appurato che per salvarsi da una condanna a morte denunciò dei "presunti" colpevoli nel famoso scandalo delle erme. Dice Andocide, nella celebre orazione detta Sopra il suo ritorno, parlando agli ateniesi e tentando di dimostrare che il suo amor di patria era sincero: “mi accorsi a un certo punto che la cosa migliore per me era di restarmene lontano e comportarmi in maniera tale da farmi vedere il meno possibile”. Non gli andò bene. Gli ateniesi fiutarono la malafede, un falso nascondersi, un falso fuggire. Il fatto curioso, nel caso di Andocide, è che se pure lo vediamo nutrire speranze, “aspettative", non doveva mancargli un certo ironico senso del reale. Quel suo farsi vedere il meno possibile si sarebbe rivelato il suo più vero destino; e dopo il definitivo esilio mi pare nel 392 se ne perdono definitivamente le tracce, non si saprà più niente di lui. Così, questo essere fuggito per sempre gli è giustamente valso in seguito, in epoca alessandrina, l’amore e la stima della sua nazione se fu inserito nella lista dei dieci più importanti oratori attici, anche se venne messo all’ultimo posto.