martedì 31 dicembre 2013

vox populi vox vacui

Che il detto vox populi vox dei fosse già nell'aria quando il latino non era ancora neppure in culla sarebbe un fatto banale, che cioè per esempio nell'Odissea si legga:

se qualcuno dei mortali te lo dica o se tu senta una diceria proveniente da Giove

(ἤν τίς τοι εἴπῃσι βροτῶν, ἢ ὄσσαν ἀκούσῃς

ἐκ Διός).

Ciò che invece non è banale ma degno della massima considerazione, e che lascerebbe oggi veramente perplessi, è il fatto che Atena, che in quel modo invita Telemaco a mettersi in viaggio in cerca di notizie del padre, aggiunga:

le quali dicerie assolutamente diffondono la fama tra gli uomini

 (ἥ τε μάλιστα φέρει κλέος ἀνθρώποισι).

Insomma il senso sarebbe che se è Dio a diffondere certe chiacchiere l'uomo può anche diventare famoso. E mai cosa è tanto vera oggi, quando basta una chiacchiera su internet, un passaparola, per ottenere la fama. L'unica diffrenza è che ai tempi di Omero la fama la otteneva, attraverso queste chiacchiere, soltanto chi la meritava. Senza nessuna eccezione o concessione.

giovedì 19 dicembre 2013

L'habitat fa la monaca:i pifferai del capitale





Si dice che l’abito non fa il monaco ma sarebbe più giusto dire l’habitat fa la monaca. E' il caso di una nota giornalista italiana che dirige un giornale “progressista”, si professa di sinistra e

domenica 15 dicembre 2013

La porta di Babouli: nel segno della reciprocità


La porta di Babouli

Partendo in macchina da Ouagadogu, la capitale del Burkina Faso, e percorrendo una quarantina di chilometri in direzione nord, si prende a un certo punto a sinistra una strada sterrata in direzione di Pella. La si percorre per circa dieci chilometri e ci si trova in aperta savana alla ricerca di Bologò. Si possono soltanto

sabato 7 dicembre 2013

il sesso, gli istituti di sondaggi e la paralisi del capitale




Charcot presenta il caso della grande isteria
                                          
Uno dei grandi meriti dell'industria sondaggistica è l’avere insegnato al mondo che il maschio pensa al sesso ogni due minuti. Si potrebbe intitolare - questo capitoletto della storia dell’umanità - il dramma vero del capitale, oppure la catastrofe del capitale, perché c’è da supporre, anzi da credere, che ogni volta che il maschio pensa al sesso,

martedì 3 dicembre 2013

Il Battaglione Sacro e le lacrime di Filippo




 Non so se ad altri, ma sicuramente a me succede nel leggere un articolo specialistico, una monografia - ma anche un semplice post di internet, un breve commento entusiasta di un qualsiasi lettore - sul leggendario Battaglione Sacro, l'unità militare beotica considerata almeno fino al giorno della battaglia di Cheronea invincibile e formata, secondo la tradizione, da 150 coppie di amanti

lunedì 2 dicembre 2013

calcio, amore mio poco virile



Devo riconoscere che così come alla maggior parte degli uomini anche a me piace il calcio. E mi piace non guardarlo in televisione, mi piace andare allo stadio: ci andavo da ragazzino, lupetto della Roma, e ci vado ancora oggi quando posso, a Roma o a Londra; mi piace avere sotto gli occhi sempre tutto il campo, guardare dove decido io, non quello che mi mostra il regista: studiare i rapporti di forza, le tattiche, osservare come è gestitto durante i novanta minuti il centrocampo, urlare in italiano o in inglese quando mi fanno incazzare per delle assurde cappellate che non farebbe nemmeno un pupetto all'asilo ... E mi domando, adesso, perché tra

sabato 30 novembre 2013

femminicidio, misoginia e ipocrisia dei giornali di sinistra





Se pure Semonide di Amorgo, poeta di giambi fiorito attorno al 625 a.C., fosse stato un illustre sconosciuto, un qualche misogino alessandrino l'avrebbe ugualmente fatto passare alla Storia, e direi proprio per quella sua velenosa invettiva contro le donne, perché

giovedì 14 novembre 2013

L'anima grigia dell'Occidente e i colori della Mongolia




Nelle città occidentali, soprattutto l'inverno, si nota una sempre più diffusa tendenza a vestirsi in nero. E' un fatto evidente: il nero domina ovunque. Il che puo avere, mi pare,

mercoledì 13 novembre 2013

Le eterne Termopili

Ogni volta che nel corso della storia il passo delle Termopili ha mostrato le sue debolezze è stato sempre o per errori strategici o per errori tattici – in realtà i concetti di strategia e tattica sono così strettamente correlati che in un certo senso un errore tattico è

giovedì 7 novembre 2013

Strabone e lo scarpone

Già Strabone (inizio del libro VIII della sua Geografia) notava una strana somiglianza tra la forma del Peoloponneso e quella della foglia del platano - ἔστι τοίνυν ἡ Πελοπόννησος ἐοικυῖα φύλλῳ πλατάνου τὸ σχῆμα - cosa che venne rilevata anche da altri antichi scrittori. Eppure la foglia di platano

lunedì 4 novembre 2013

Avarizia di Simonide e liberalità della filologia


Che uno dei tratti distintivi del carattere di Simonide fosse l'avarizia potrebbe forse dirci qualcosa non solo della sua tecnica poetica ma anche della sua fortuna, perché pur avendo avuto questo lirico al suo attivo una produzione vastissima, di lui non è rimasto quasi niente (appena

lunedì 21 ottobre 2013

ti faccio un organum tanto! Aristotele vs Platone?.

Non so se Alessandro di Afrodisia raccogliendo le varie opere di logica di Aristotele e chiamandole nel loro insieme Organon pensasse già allora a ciò che si intende comunemente oggi quando si dice: ti faccio un organo tanto!, con gli indici e i pollici ravvicinati a descrivere quell'ampio e ben motivato anello; se cioè intendesse mettere in guardia i

domenica 20 ottobre 2013

cultura buonsenso e casta

The man of culture is one of the poorest mortals alive. For simple pedantry and want of good sense no man is his equal. No assumption is is too unreal, no end is too unpractical for him.'

“L’uomo di cultura è tra tutti i mortali uno dei più meschini. Non esiste altro essere alla sua altezza per pura pedanteria e mancanza di buon senso. Non c’è per lui ipotesi troppo irrealistica, nessun fine è troppo impraticabile.”

Detto da

giovedì 17 ottobre 2013

Eraclito più moderno di Newton




"Il sole non solo, come dice Eraclito, è nuovo ogni giorno ma è nuovo in continuazione.” (ὁ ἥλιος οὐ μόνον, καθάπερ ὁ Ἡράκλειτός φησι, νέος ἐφ' ἡμέρηι ἐστίν, ἀλλ' ἀεὶ νέος συνεχῶς.)

“Il mare è la più pura e la più inquinata delle acque: per i pesci è

domenica 13 ottobre 2013

Topo Gigio e le pernacchie della Storia

A cosa dovrebbero servire le opere storiche dell'antichità se non a farci prendere atto che la nozione di corsi e ricorsi non è un astratto concetto elaborato da pensatori e filosofi ma uno strumento che la

martedì 8 ottobre 2013

fiction italiane e Controriforma




La trama i dialoghi le atmosfere delle fiction italiane sono in un certo senso da Controriforma, una cosa di cui lo spettatore non si rende conto semplicemente perché non è consapevole del ruolo che l'industria politico-televisiva gli fa incarnare nel mondo attuale, un

domenica 6 ottobre 2013

religione, morale e psicosi


Il fatto che in uno dei suoi pensieri Pascal faccia una certa confusione quando attribuisce a Montaigne una cosa che Montaigne non ha mai detto - che  la consuetudine vada

venerdì 4 ottobre 2013

anticonformismo


Nessuna nazione veramente intelligente oserebbe dirsi "non conformista" per il solo fatto di non seguire le regole e di non rispettare le norme, perché ciò dimostrerebbe tutt'al più - come è il caso dell'Italia - che

sabato 28 settembre 2013

Pascal e la metafora sbagliata


"Qu'on s'imagine un nombre d'hommes dans les chaînes, et tous condamnés à la mort, dont les uns étant chaque jour égorgés à la vue des autres, ceux qui restent voient leur propre condition dans celle de leurs semblables, et, se regardant les uns les autres avec douleur et sans espérance, attendent leur tour. C'est l'image de la condition des hommes".

In questo pensiero di Pascal la metafora usata non è giusta. O meglio: è vera solo parzialmente. La descrizione della condizione di un’umanità che

l'inferno

Scrive Wittgenstein in un pensiero del 1937 (Vermischte Bemerkungen) che "in un singolo giorno si possono vivere i terrori dell'inferno: il tempo è più che sufficiente". E tuttavia questo lungo giorno di cui parla Wittgenstein può essere ridotto della metà, e poi ancora della metà, fino all'infinitamente picccolo, e in quell'infinitamente piccolo istante il terrore dell'inferno può essere ugualmente provato per un tempo infinito. Così come mi è accaduto un giorno in aereo durante un apparentemente tranquillo decollo, quando a un qualche centinaio di metri dal suolo l'aereo ha cominciato paurosamente e perdere quota a causa di una depressurizzazione. Un  incidente di cui ricordo solo il terrore di una delle hostess seduta a pochi metri dalla cabina passeggeri che stringeva convulsa il braccio del collega. E ricordo il libro dal quale avevo immediatamente alzato gli occhi, una vecchia edizione del Contrat de mariage di Balzac. Lo misi semplicemente sul sedile accanto e pensai pietrificato: "è così, allora?"    

venerdì 27 settembre 2013

il mulino italiano dalle orecchie d'asino

Sarà interessante vedere se l'invito a boicottare la Barilla e il Mulino Bianco per i commenti non troppo intelligenti del suo "proprietario" sul non valore tradizionale delle famiglie gay avrà trovato risposta in termini di perdite. E un cliente in meno comunque ce l'hanno. Se la Barilla era in effetti una delle mie marche di pasta preferite, da domani non lo sarà più, e non per solidarietà col mondo gay, anche se ovviamente sono solidale sempre e in ogni maniera e quindi per partito preso, nel senso che l’omofobia mi suscita immancabilmente, ogni volta che ne scorgo anche soltanto le più velate e inconfondibili tracce di dinamiche fasciste, immediati conati di vomito - e sono irriducibilmente anche favorevole alle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso - ma non comprerò più la pasta Barilla per una semplice considerazione di buon senso. Perché in regime di mercato, e con la forza di mobilitazione di cui dispongono oggi i social network e il concetto di solidarietà che li caratterizza e che caratterizza soprattutto le ultime generazioni, un amministratore delegato o proprietario di un’azienda che si permette di fare considerazioni controriformistiche e da Concilio Tridentino, e mette a rischio il posto di migliaia di dipendenti, si merita semplicemente di essere mandato a casa il più presto possibile, e se non proprio nella forma di un commissariamento dell’azienda, quantomeno perché il mercato gli ha notificato che è una persona che non ci capisce assolutamente niente di come funziona il mondo oggi.

giovedì 26 settembre 2013

Storia del mondo in mezza pagina. Se la donna dicesse "no".


Se per un eccesso di barbarie tutte le acquisizioni tecnologiche e intellettuali venissero di colpo abolite e l’uomo e la donna si ritrovassero al semplice stato di natura e a non avere come unico possesso se non se stessi, che altro potrebbe ancora succedere? Per parecchio tempo

L'inferno sono gli altri

Convinzione di Plinio della non esistenza dell'aldilà e della vanità delle tante dottrine che invece lo presuppongono. At qanto facilius certiusque sibi quemque credere, specimen securitatis antigenitali sumere experimento (quanto più semplice e più sicuro che ognuno creda a se stesso e che prenda come prova di un assoluto stato di quiete ciò che sperimenta prima di nascere). Detto ironicamente. Securitas ha qui il senso di tranquillità, di quiete, anche se all'inizio mi faceva pensare all'idea di certezza, garanzia di certezza (di un ragionare corretto). Ma ciò che precede nello stesso paragrafo, un riferimento diretto alla quiete, all'immobilità, a cui dovrebbe tendere con la morte la natura umana me lo fa escludere. 

se l'anima proprio non esiste

E' difficile pensare che un convinto sostenitore di quell'insanabile dualismo cartesiano tra cosa pensante e materia corporea quale fu Nicolas Malebranche, il maggiore rappresentante dell'Occasionalismo e di quella teoria dell'impossibilità di un qualsiasi collegamento fisiologico e potere diretto, che pure Cartesio ammetteva, dell'anima sulla materia (e sarebbe invece il corpo, secondo Malebranche, a influire negativamente sull'anima e a ostacolare tramite i sensi i disegni di Dio, il solo ente in grado di guidare il corpo), riuscisse anche solo lontanamente a apprezzare l'opera di uno scettico dichiarato quale era Montaigne. Non è quindi un caso che tenti di smontarlo in uno dei capitoli della Connaissance de la verité, e che quasi un secolo dopo l'apparizione degli Essais gliene dica di tutti i colori e lo consideri un pedante della peggiore specie. Semplicemente Montaigne negando tout court l'esistenza dell'anima toglieva ogni giustificazione a quell'idea di rifugio che la congregazione dell'Oratorio di Gesù e Maria immacolata di Francia era per Malebranche: il giusto ambiente per il raccogliemento della sua anima e quindi, che è poi ciò che più conta, per la "concentrazione del suo pensiero", secondo un'espressione usata da un teologo contemporaneo. 

lunedì 23 settembre 2013

Illogicismo del logicismo



Esempio di errata argomentazione (proposta in ambito accademico): “Mais leur conclusion générale (di Münzer e Rabenhorst) paraît aquise: en effet, si Pline  ne s’était pas inspiré d’un ouvrage encyclopédique, comment porrait-on s’expliquer que le même groupe d’observations se retrouve chez Valère Maxime, qui dépend visiblement de la même source?

Non si contesta la possibilità che Plinio per il settimo libro della sua Naturalis Historia attinga anche (e non solo) da una raccolta enciclopedica; ciò che non torna, delle conclusioni di questo studioso, è come si possa dedurre dal fatto che Valerio Massimo dipende visibilmente da una stessa fonte (di Plinio) che questa fonte sia una raccolta enciclopedica. Al più, sulla base di questo rilevato parallelismo, si potrà ipotizzare una fonte comune. Ma li ci si ferma. Difatti, per il gruppo di osservazioni in questione la fonte di  Valerio Massimo non si conosce. Né ovviamente la conosceva chi ha dedicato interi libri a questa ridicola ipotesi di una fonte unica (enciclopedica) di Plinio (i lavori di Münzer e Rabenhorst).

È curioso che una tale illogicità argomentativa venga proposta da un francese in francese, una lingua che si è sempre piccata di essere la più logica delle lingue (mito peraltro tutto francese).

domenica 22 settembre 2013

solo la donna è sempre donna. cinema e sguardo abusivo


Esiste una genia di registi uomini che sfrutta ancora il concetto della donna pupazzo dei divertimenti e degli arrapamenti del maschio frustrato. È un’immagine vecchia come il mondo e potrebbe tranquillamente essere considerata un capitolo di quello studio che Germaine Greer ha intitolato L’eunuco femmina, la donna cioè feticcio. Si veda per esempio il terzo film della serie Alien, nel quale un modulo di salvataggio della nave spaziale USS Sulaco, costretto a un atterraggio d’emergenza, finisce su un piccolo pianeta occupato esclusivamente da un carcere di massima sicurezza. Chi sono i detenuti tutti uomini di questo carcere? Serial killer e stupratori. Chi è l’’umico membro dell’equipaggio a salvarsi? una donna, che tirata fuori dai soccorritori è rimasta guarda caso pure in slippini, con l’ombelico (il buco) bene in vista, che non sarebbe altro che l’occhietto che pure un regista del calibro di David Fincher si permette di fare al generico spettatore: da una parte al maschio, convinto che tutti i maschi di questo mondo condividano la sua visione priapica dell’esistenza, dall’altra alle donne, eccitato alla semplice idea che la generica donna possa gustare il suo momentaneo arrapamento nella visione di questo che è probabilmente il peggiore dei suoi film. Le donne non portano minori responsabilità: lo sguardo della donna spettatrice, in questo genere di film, resta in effetti ambiguo: come mamma indulgente chiude un occhio nel migliore dei casi e nel peggiore finirà per arraparsi anche lei (checché ne dica il femminismo più radicale): si arrapa a sentire il suo maschio arrapato; anche se in quanto donna lo sarebbe forse meno se si rendesse conto che il suo uomo è semplicemente arrapato perché un altro maschio, il regista, è anche lui arrapato e gli sta offrendo in una sorta di intesa - ben conosciuta nelle conversazioni tra maschi - questi suoi segni e sogni erotici da quattro soldi. Ma se un maschio si eccita ai sogni erotici di un altro maschio, il dado non è molto tratto, non si lascia nessuno spazio al caso: si tratta né più né meno di qualcosa che va oltre le aspettative, il contrario cioè di quello che questo spettatore si immagina quando entra al cinema, poco importa che la concezione priapica che il regista ha del mondo sia ampiamente condivisa dall'umanità maschile: resta il fatto che in quel particolare momento il maschio si eccita coi sogni erotici proposti da un altro. Punto. È quindi ingiusta l’accusa mossa a Holliwood di una sua certa supposta omofobia: questo tipo di pellicole, tanto più se arrivano da un ottimo regista, lo stesso che ebbe il coraggio di proporre l’omoeroticissimo Fight Club, dimostrerebbero esattamente il contrario (d'altronde è ben noto come perfino in un concreto triangolo sessuale di due uomini e una donna, quest'ultima, nel duplice tritacarne maschile, rappresenta il cosiddetto alibi, o il terzo incomodo; a differenza di un triangolo di due donne e un uomo, dove il fatto che si tratti di un rapporto lesbico a tre può essere quasi dimostrato matematicamente: aumentando il numero di donne e portandolo col metodo dell’analisi matematica all’infinito, sogno di ogni uomo: l’integrale che ne risulta non può essere che donna: l’uomo che realizza così il suo sogno di essere alla fine anche lui quello che è sempre stato: una povera donna mancata).

Le pretese del mercato non son ovviamente discutibili. Ma almeno in questo caso tutto è facilitato

sabato 21 settembre 2013

voce antica più che contemporanea



Voce più che contemporanea quella di Plinio il Vecchio se nel VII libro della sua Storia naturale, pur non nascondendo una discreta, sincera ammirazione per Gaio Cesare (la sua celebrata clemenza e, in particolare, ammirazione di ciò che viene detto un eccezionale vigore d’animo e che non sarebbe oggi altro che un misto di forza di carattere e potenza intellettuale [animi vigore prestantissimum arbitror genitum Caesarem dictatorem] e ammirazione del suo incomparabile insuperabile elevato sentire, che l'avrebbe indotto dopo la battaglia di Farsalo, quando si trovò tra le mani il cofanetto con le lettere di Pompeo, e in un esempio di superiore elevatezza morale, a bruciarle senza leggerle [concremasse ea optima fide atque non legisse], lo stesso che avrebbe fatto con le lettere di Scipione a Tapso) finisce poi per accusarlo ugualmente e senza mezzi termini di crimini contro l’umanità [tantam etiam coactam humani generis iniuriam] per il milione e centonovantaduemila uomini che fece perire con le sue cinquantadue battaglie escluso però il numero dei morti delle guerre civili (la questione non cambia se si seguono altre cifre di altri scrittori dell’antichità: i quattrocentomila morti di cui parla Velleio Patercolo o il milione che riporta Plutarco). Cifre quindi abominevoli non solo per la coscienza odierna.

Non meno tagliente il giudizio di questo scrittore - anzi più che giudizio tagliente, il suo sarcasmo feroce - quando sempre in questo settimo libro della Naturalis Historia accenna ancora, in una sorta di benemerita coazione a ripetere, a un altro dittatore, a Lucio Silla. “Si è senz’altro”, dice Plinio, “attribuito il soprannome Felice a causa del sangue dei tanti concittadini che ha versato e per aver posto sotto assedio la sua stessa patria. E quali sarebbero", si domanda Plinio, "questi argomenti di felicità? Avere trucidato e proscritto così tante migliaia di uomini?” [Felicis sibi cognomen adseruit L. Sulla, civile nempe sanguine ac patriae oppugnazione adoptatum. Sed quibus felicitatis inductus argumentis? Quos proscrivere tot milia civium ac trugidare potuisset?]. Ma è un pauroso crescendo, quello di Plinio, e Lucio Silla gli suscita ancora, a centocinquant'anni dalla morte, un indicibile e irriducibile disgusto: “la sua morte non fu forse più crudele della fine di tutti i suoi proscritti se il suo stesso corpo s’incancreniva e generava da sé il suo stesso supplizio? Ma ammettiamo che abbia saputo dissimilare il suo male e prestiamo anche fede al suo ultimo sogno, all'interno del quale si è per così dire addormentato, che cioè lui soltanto sia stato in grado di vincere l’invidia generale grazie alla gloria che ritiene di avere conquistato: ciò che resta è che lui stesso ha dovuto ammettere che alla sua felicità è mancato il non aver potuto dedicare il [nuovo tempio di Giove Ottimo Massimo sul] Campidiglio [quod ut dissimulaverit et supremo somnio eius, cui immortuus quodammodo est, credamus ab uno illo invidiam gloria victam, hoc tamen nempe felicitati suae defuisse confessus est quad capitolium non dedicavisset]. Sicuramente sarebbe diventato un topos, se questa immagine di un tassello mancante fu poi ripresa anche da Tacito nelle sue Storie (vedi libro terzo).

Atteggiamento quasi beffardo (splendida nemesi storica) nei confronti anche di Ottaviano Augusto, del quale dopo aver enumerato le numerosissime disgrazie e miserie dell'esistenza terrena (tra feroci proscrizioni e figlia e nipote adultere, naufragio in Sicilia, caduta dall'alto di una torre nella guerra in Pannonia, numerose rivolte militari, infinite malattie anche gravi tra cui un brutto edema che gli gonfiava disgustosamente il corpo eccetera eccetera, a cui si aggiunse pure la sconfitta finale delle legioni di Varo in Germania) si domanda se quest'uomo non sia stato proclamato "dio" indipendentemente da tutto, e se il cielo, l'apoteosi, più che averlo meritato non gli sia stato semplicemente dato, visto che morendo fu pure costretto, tra le altre disgrazie, a lasciare erede il figlio di un suo nemico [in summa deus ille caelumque nescio adeptus magis an meritus herede hostis filio excessit].      

martedì 17 settembre 2013

Giulietto e Romeo, splendori della filologia e potenza della parola in Shakespeare



Non è un caso che ancora oggi, parlando delle più recenti produzioni del Romeo and Juliet, i registi teatrali italiani – ma è da almeno una trentina d’anni - dietro una sempre più ossessiva spinta all’imitazione di tutto ciò che è inglese o americano e per evitare l’accusa di essere poco filologici si attengano anche più che in passato a una precisa, anzi letterale traduzione del titolo e preferiscano portare in scena un meno compromettente Romeo e Giulietta invece del classico Giulietta e Romeo, come in Italia il grosso pubblico continua a nominarsi questa coppia; e in questo modo più popolare e più diffuso continuano in effetti a chiamarsi tanti alberghi ristoranti, bar eccetera. E sarà poi, checché ne dica la popolazione rozza e ignorante, una banale questione di abitudine. E per chi vuole capire questo è campo specifico dell’estetica. Ci si dimentica d'altronde, pur con le migliori intenzioni di tanti registi e traduttori, che una qualsiasi rappresentazione del teatro di Shakespeare oggi sarebbe comunque non precisamente filologica in partenza se non si escludessero dal palcoscenico le donne - women were prohibited by law, se volessi ripetere il fatto in inglese, to act on the Elizabethan stage.  Elisabetta non gradiva. Così come non gradiva Giacomo I. I più accreditati anglisti, pronti a difendere l’indifendibile, assicurano, in mancanza di fonti certe, che le parti femminili erano sempre e soltanto affidate a ragazzi e mai a uomini maturi. Quando possibile sarà stato così: ma se mancavano questi benedetti bei ragazzi senza barba e dai tratti poco virili e a cui la voce si “rompeva” tardi, tanto che se ne sarebbero potute ascoltare le grazie femminili anche dopo i vent’anni, e che fossero nello stesso tempo bravi e professionali, che si faceva, si rinunciava al teatro? È vero invece che il teatro shakesperiano era un teatro molto più simbolico di quanto il pubblico che va a teatro oggi non immagini, ciò che risulta abbastanza chiaramente dalle stage directions inserite nei manoscritti e nelle prime edizioni, cioè dalle didascalie relative ai movimenti degli attori, alla musica, e agli eventi, e anche dalle descrizioni scenografiche, che riportano, quando pure avviene, soltanto miseri suggerimenti, tanto che un allampanato cespuglio poteva indicare un’intera foresta – un intelligente contributo in questo senso venne da Masolino D’Amico, nel suo antico Scena e parola in Shakespeare, del lontano 1974, insuperata ricerca sulle funzioni sceniche della parola: la sola parola, il testo, avrebbe la capacità di generare spazi, luoghi, tempo e gli aspetti più materiali del teatro. Che poi è cosa tipica di ogni grande autore, mentre si vedano i goffi tentativi di Baudelaire di elaborare un proprio teatro, il quale risulta in realtà un non teatro: la parola cioè non sa generare gli spazi, le azioni, non c'è movimento. In questo senso il teatro elisabettiano ricorda invece, anche più di altre grandi tradizioni nazionali, la simbologia del teatro giapponese e orientale in generale: il pubblico era così abituato alla magia della parola che per assurdo pure una peluria non l’avrebbe vista sul volto della stupenda e poco più che ragazzina Cordelia; oppure se l’attore l’avesse indicata con un dito e avesse detto che era cipria o belletto lo spettatore ci avrebbe visto soltanto questi, perché alla parola era interessato, non a gustare voyeuristicamente, con la bava alla bocca, le forme dell’attrice sotto il costume. Shakespeare stesso ci gioca nel Midsummer Night’s Dream, quando una compagnia di dilettanti deve spiegare alle altezze reali – alle donne in primo luogo - che il personaggio che fa la parte del leone e indossa soltanto una pellaccia polverosa e sudicia non è un vero leone, e lo stesso deve fare l’attore che impersona una parete attraverso un buco della quale i due innamorati devono parlarsi.  Così, se si volessero scimmiottare fino in fondo i filologi, non basterebbe più nemmeno scrivere Romeo e Giulietta, bisognerebbe semmai avere il coraggio di allestire un Romeo e Giulietto, o anche un Rometto e Giulieo. Oppure abbandonare completamente questi sogni di gloria e di originalità camuffati contraddittoriamente nel concetto opposto e non interessante di “in origine era così”, di scarsa rilevanza per il contemporaneo.  

sabato 14 settembre 2013

i cassetti e la morte degli oggetti

in fondo liberarsi in blocco dei cosiddetti "amici" non è difficile, basta il più semplice degli atti di volontà, non servono parole ... E' come liberarsi di quegli oggetti che non usiamo più e che lasciamo per anni dentro un cassetto ... Arriva un momento in cui si prende l'intero cassetto e lo si svuota nel secchio della mondezza senza pensarci troppo ... La funzione di certi cassetti è d'altra parte quella di rendere inizialmente la morte degli oggetti meno dolorosa per chi li usava ... E mai verbo è stato più adatto a definire questi cosiddetti "amici", i quali, a conti fatti, non hanno fatto altro che utilizzarti da sempre senza accorgersi che anche tu li utlizzavi, anche se, a differenza di loro, per il semplice piacere di averli amici ...   sicché dal momento in cu te ne liberi si trovano di punto in bianco con una risorsa pratica in meno ... 

sabato 31 agosto 2013

Causa e tempo nella storia. Narrazione e investigazione

 L’uso del principio di causa nella narrazione storica (e del concetto di pretesto) sarebbe (se la storia in senso hegeliano esistesse) antistorico: lo faceva costantemente osservare Croce (era un po’ la sua bestia nera): è comunque un semplice scimmiottamento della metodologia delle scienze sperimentali. Varrebbe la pena ripetere quanto Croce stesso affermava per esempio nei marginalia alla Teoria e storia della storiografia: che cioè l’introduzione di questo principio di causa interromperebbe qualsiasi movimento (storico), "la storia si fermerebbe a un tratto". A Croce interessava ridurre tutto all’idea di storia contemporanea quale attività dello spirito che riflette nel presente anche su eventi cosiddetti storici, cosa che però non cambierebbe lo stato della questione; in effetti, un qualsivoglia evento non è altro che il risultato di un infinito numero di cause, che è come dire che è il risultato di nessuna causa in particolare. Introdurre di punto in bianco una causa particolare da cui si origini un determinato evento equivale a bloccare tutto il processo, tutta la processione, troncare in due con una zappa il corpo di un serpente. Lo stesso dicasi dell’uso del concetto di tempo. Tutto ciò che si riesce a ottenere - pure in una narrazione non annalistica della "storia", una narrazione cioè che non enumeri i fatti uno dietro l’altro in ordine cronologico, è una temporalizzazione parallela, il che equivale a contraddire tutta l'impostazione, a sottrarre ogni forma non relativistica del tempo. E lo stesso vale per le enumerazioni annalistiche, sicché ci saranno gli annali di un popolo e gli annali di un altro, ma non saranno altro che descrizioni cronologiche parallele, e che bisognerà in qualche modo collegare orizzontalmente; si avranno quindi tanti tempi paralleli, e il tempo, storicamente parlando, non potrà mai essere uno, non potrà essere una infinita linea all’interno della quale mettere tutto in ordine; in altri termini ciò equivale ad affermare l’impossibilità – concetto ripetuto d’altronde anche da Croce - di una storia che sia universale (mito mai veramente superato).

Il falso metodo deduttivo, usato nelle narrazioni dei romanzi gialli tradizionali, è un'idealizzazione della metodologia dell’investigazione, la quale, se pure opera con parziali deduzioni, è nel suo insieme un risalire all’indietro, alla fonte, a un individuo che con le sue leggi logiche riesca a spiegare dei fatti di cui faccio esperienza, e che è tipico del metodo induttivo: conserva del vero metodo deduttivo (quello che definisce da subito la fonte originaria) solo l'apparenza dell'andare dal generale al particolare (dalla scena del crimine all'omicida); in realtà la sorgente non ce l'ha, deve trovarla. Ma la sorgente nella natura non ha causa in sé, e non ci sarebbe sorgente se non ci fossero piogge eccetera. L’individuazione del colpevole, quando lo si individua, è comunque sempre un brutale e non realistico tentativo di interrompere il processo della vita all’interno del quale l’assassino si muove. Questa impossibilità di fissare un punto preciso originario, una fonte primaria come causa ultima dell'omicidio, una causa nec plus ultra, le colonne d'Ercole al di là delle quale niente è più conoscibile, può essere osservato nelle faide, dove un omicidio dipende sempre da un altro omicidio. Ed è talmente ovvio che una nozione di causa imbarazza da sempre gli investigatori e la macchina della giustizia, che si è stati costretti a introdurre fin dall'antichità il sinonimo di movente, che è quanto di più aleatorio, non deterministico, possa darsi, e attorno al quale i castelli delle varie scuole psicologiche oggi più che mai si perdono e che lascia sempre dubbi su dubbi anche nei profani, che continueranno a dividersi tra innocentisti e colpevolisti. Diversamente dal concetto di causa per come è definito nelle scienze sperimentali.    

venerdì 30 agosto 2013

Lapidazione e carezze. Contrasto e contraddizione.


Ciò che distingue questi due giudizi della percezione  - contrasto e contraddizione - è che nel primo caso vi è un rafforzamento e un gradimento, nel secondo una difficoltà, un imbarazzo, uno scandalo. Paradossalmente, la cosiddetta pietra dello scandalo, che sarebbe un semplice

mercoledì 28 agosto 2013

Disumano troppo umano. La luna di Goethe e le beffe di Carlyle





Selig wer sich vor der Welt 
Ohne Haß verschließt, 
Einen Freund am Busen hält 
Und mit dem genießt,
Was von Menschen nicht gewußt 
Oder nicht bedacht. 
Durch das Labyrinth der Brust 
Wandelt in der Nacht.


Felice chi senza odio
si separa dal mondo,
e tiene stretto un amico al cuore
e con lui gode
ciò che dagli uomini non è conosciuto
o è trascurato.
Nel labirinto del cuore
costui vaga nella notte.

Traduco qui i versi di chiusura di un ode di Goethe alla luna. Li ho ritrovati in una cartolina infilata in un libro dell'australiana Germaine Greer, la più famosa femminista del mondo. Non so nemmeno quanto li gradirebbe o apprezzerebbe oggi nonostante la luna sia da sempre un po' un simbolo femminile, materno, forse anche simbolo della compassione - e in passato Germaine Greer fu in effetti vittima di un suo gesto diciamo un po' troppo caritatevole: venne legata e selvaggiamente picchiata da una barbona che s'era portata a casa e a cui aveva dato coscienziosamente asilo. Donna contro donna: una poveraccia che voleva forse anche lei semplicemente mostrarsi condiscendente, compassionevole: comprendere il dramma interiore di una nota intellettuale, e può darsi che non sapesse o potesse farlo diversamente.

Questi versi di Goethe me li scriveva invece in quella cartolina anni fa - riproduceva un dipinto di Raffaello - un amico tedesco, col quale parlavamo e parliamo tuttora a volte in italiano a volte nella sua lingua a volte in inglese. Ha ereditato, questo mio sensibile amico, da suo padre un'immensa passione per la storia dell’arte e mi scriveva nella cartolina, per Natale, sotto quei versi, nel suo italiano appena tedeschizzato:

“Raffaelo quasi mai mi piace, Goethe anche – questi versi sono un grande eccezione”.

Quando iniziammo a vederci - ci conoscemmo poco più che ventenni in un bar di Schwabing - mi portò dopo un po' nella villa dei sui genitori subito fuori Monaco, una casa piena di scaffali, un riflesso dell’attività di famiglia, una grande casa editrice di libri d’arte. Mi disse allora, mentre ci bevevamo una coca cola in giardino e sentivamo in lontananza il rumore delle macchine agricole: "questi sono i veri rumori poetici ormai da cento anni, in campagna".

Da ragazzo mi sembravano poetici anche i piloni dell'alta tensione così solitari nei campi di fieno a maggio nella campagna italiana o quelli - visto che mi torna pure questa lontana immagine - di San Pedro in Calfornia, con sullo sfondo il porto industriale che allora mi pareva immenso. Come in fondo non potrebbero mancare di poesia oggi in città, per chi almeno ce lo vuol torvare, le continue sirene della polizia e delle ambulanze e gli ossessivi intermittenti blip blip e suonerie dei cellulari del proprio vicino in autobus o in treno, e gli schermi e gli altoparlanti a tutto volume che mitragliano notizie una dietro l’altra lungo le banchine nelle stazioni della metro e di cui non si fa in tempo a capire che relazione abbiano con la tua esistenza di ascoltatore forzato se non ti cali nell'elementare monotono meccanismo di imitazione rap.

Tiepolo, i cavalli del carro del sole

 Gli stessi suoni perciò a cui è abituato - e le stesse sirene che deve aver sentito - chi ha potuto vedere il corpo senza vita di quel ragazzo bianco (un australiano) ucciso in America da tre teenager (due neri e uno di sangue misto, che per l’America significa comunque nero). Un delitto sicuramente di stampo ideologico, prodotto di un miscuglio di vigliaccheria e odio razziale più che della noia, come faceva osservare giustamente un lettore che commentava questa notizia sul sito di un giornale: “Questo crimine commesso da tre amici", diceva questo lettore, "è una conseguenza diretta e necessaria del sistema capitalistico che mira unicamente a fare numero dividendo” E bisognerebbe aggiungere che mira a dividere in numeri pari e dispari. Era l’unico commento interessante, gli altri pregustavano un più o meno feroce rassicurante compiacimento al pensiero che questi ragazzi (o mostri) verranno con molta probabilità condannati a morte. Il più grande, diciassette anni, nelle foto segnaletiche appare alto non più di un metro e sessantatre.

E si riesce tranquillamente a immaginarlo l’ambiente in cui sono vissuti questi teenager americani: non certo l’ambiente familiare, l’ambiente familiare non c’entra più niente. Si riesce a immaginare l’ambiente in cui sono cresciuti perché è lo stesso in cui sono immersi oggi, nel 2013, dalla testa ai piedi, i teenager di tutto il mondo, dalla Patagonia alla Colombia al Canada, dal Sudafrica al Marocco, dall'India alla Nuova Zelanda all'Islanda e pure nel tecnologizzatissimo Giappone (dove a primavera volano dai ciliegi in fiore leggerissimi, delicati petali rosa all'interno di parchi che sono per contrasto un incanto di templi silenziosissimi), e pure nella tecnologizzatissima Europa, dove i teenager hanno però ancora qualche difficoltà a mettere mano su pistole e fucili o a guidare una macchina a soli sedici anni. E quale sarebbe questo umanissimo ambiente nel quale crescono i teenager di tutto il mondo? Televisione coatta, internet coatto, film nei quali l'unica forma di apologia concessa è quella di una spettacolare ostentazione della forza fisica e della violenza; e ancora autopsie offerte con contorni di pietose sceneggiature a colazione pranzo e cena, inseguimenti a duecento all'ora apprezzati con lo stesso sorriso con cui si segue la Formula Uno, trasmissioni morbosamente e accuratamente costruite su immagini di infinite telecamere di sorveglianza abilmente posizionate e quindi uccisioni e aggressioni sempre più in tempo reale. E in lontananza (o in vicinanza) i pacifici, sereni social network: FB, Twitter e YouTube, e le loro bachechine giornaliere, dentro le quali e grazie alle quali essere sempre indistintamente in primissimo piano, con l'illusione di arrivare a toccare quella stessa notorietà di cui godono i vip del calcio del cinema e della televisione (sicuramente perché sprovviste, queste very important persons, non meno dei loro imitatori da casa, di una qualsivoglia briciola di talento, con una notorietà costruita a tavolino o, nel caso dei loro imitatori, a forza di tags con cui posizionarsi bene nei motori di ricerca). E si può quindi immaginare che razza di risultato restituisca l’imitazione di un prodotto già scadente in partenza e in cui l'uomo reale va a farsi allegramente friggere in una padella senza manici. Che manchi effettiva concretezza e rigore - o che manchi il minimo accenno di compassione - a questo modo di guardare al dolore altrui è irrilevante: l'importante è mostrare un eccesso che comporti un ritorno, che l'immagine eccessiva, lo choc (e sarebbe meglio ormai scrivere shock), collezioni migliaia di mi piace: perché ciò che effettivamente conta non è il sacro silenzio col quale si entra nella casa dove c'è un morto, quello che conta è ottenere col video di una tragedia la stessa visibilità, in numero di click, che otterrebbe un vip twittando in 114 caratteri l'ultima idiozia che gli viene in mente dopo essersi grattato il sedere appena aperti gli occhi. Tanto che non si direbbe niente di campato in aria se si affermasse che l’unica patente e potente ideologia alla base di questo dissociante e narcisico uso dei social network è nutrire il già poco socievole amor proprio di ogni uomo e di ogni donna, di Adamo e Eva, che quando non possono postare immagini raccapriccianti di un treno che deraglia a tutta velocità contro un muro di cemento si conosolano comunicando al mondo che hanno appena mangiato un tramezzino coi carciofini o che la gattina ha fatto i figli ciechi.



Diceva l’ideatore di FB che in origine ci fu una semplice intuizione: la necessità che tutti noi avremmo di tenerci continuamente aggiornati su ciò che fanno i nostri amici. Così Socrate, che diceva che se anche la sua casa era piccola sperava comunque di riempirla di persone care, finirebbe per fare il classico baffo a un utente di un social network che oggi a quindici sedici anni può già contare su duemila amici in tutto il mondo (un imbattibile Nembo Kid, un vero ragazzo delle nuvole - così come Socrate fu rappresentato da Aristofane nelle Nuvole sospeso in alto nel suo canestrello che scrutava i poveri mortali). E mi sembrava quasi di vedere, guardando questa intervista a Zucker, la bava dell’amor proprio colare a rivoli, anzi a fiumi di preziosa porpora (e la bava - a meno che non sia quella di un setter dal pedigree purissimo - non arriva mai se non come sintomo di una qualche conosciuta patologia o di una visione priapica dell'esistenza). E il fatto che nell’intervista questo personaggio, questo nerd o ex nerd, non faccia che snocciolare numeri su numeri mentre celebra il suo amore per l'umanità non è altro che la riprova che sta illustrando un'operazione di puro marketing mascherata da istrionico filantropismo: l'individuo cioè ridotto a quel numero che è sempre stato agli occhi di ogni regime o potere che si rispetti; o nelle mani di ogni business concreto o virtuale che voglia farne un consenziente zimbello e la cui unica legge è di riprodursi e moltiplicarsi miracolosamente secondo i canoni della favoletta dei pani e dei pesci. E sempre per restare in tema faunistico, lo zimbello non sarebbe poi altro che quell'uccello legato a un'asticella e usato dagli uccellatori per adescare altri uccelli.

Mi viene in mente un’immagine di Thomas Carlyle da vecchio, il grande storico scozzese autore di Sartor Resartus e della French Revolution, che verso la fine dell’Ottocento ogni tanto saliva sull’Imperiale e andava a farsi una passeggiata all’aria aperta. Arrivava nei sobborghi di Londra, scendeva, si avvicinava alla dimora di questo o di quest’altro insaziabile magnate, si aggrappava alle sbarre del cancello e cominciava a saltare come una scimmia mostrando i denti feroci e famelici ai ricchissimi proprietari chiusi all’interno. Si faceva specchio delle loro brame. E forse in qualche modo si rifletteva anche lui nelle sembianze di quei carcerieri carcerati dentro le loro splendide dimore. Non è infatti improbabile - faceva bene Ford Madox Ford a ipotizzarlo - che anche Carlyle, e insieme a lui Ruskin, Wilberforce e gli Holman Hunt (i Preraffaeliti), e tutti quei vittoriani non ricchissimi ma ugualmente ossessionati da una certa idea di agio e di benesssere materiale, non è improbabile che avrebbero anche loro fatto di tutto per schiacciare il nemico, avrebbero perfino fatto ricorso al gas nervino, dice Ford Madox Ford, se solo avessero potuto inventarlo, contro i loro amici diventati rivali.

martedì 20 agosto 2013

Rigore, quel grande sconosciuto. Arte letteratura teatro



Pablo Piccasso, genio rigoroso del disegno
                                       

Ripa autem ita recte definietur id, quod flumen continet naturalem rigorem cursus sui tenens …

Sponda si definirà giustamente ciò che racchiude un fiume che conserva la naturale impostazione del suo corso …

Traduco con impostazione (più che con l'errato linea retta, che mi è capitato sicuramente di vedere) il latino rigor, utilizzato in questo frammento del Digesto di Giustiniano per definire il concetto di sponda di un fiume. E' uno dei pochi luoghi che conosco in cui rigor - che significa per lo più rigidezza in senso tecnico gia a partire da Lucrezio (dell’oro, della pietra, del ferro) ma anche inflessibilità sul piano morale (Tacito) - è inteso in un senso più vicino all’italiano rigore quando si intende l’esecuzione di un’opera, di un lavoro, la preparazione di una performance.

Proust internauta e i wormholes


Philippe E. Hurbain, Wormhole: panorama of the dunes

Mi è capitato di trovare, anni fa, nei diari di Philippe Sollers, un certo giocoso e nostalgico riferimento a Proust. Diceva Sollers che se Proust vivesse oggi sarebbe senz'altro un indemoniato del fax, delle email e di tutto il resto, e che lo si vedrebbe sposare pienamente la causa di Internet - ammesso, ovviamente, che Internet si proponga una causa, un qualche fine umanitario, e che non sia semplicemente la più potente e cavernicola forma di retorica che la Storia conosca, basata come tutte le retoriche che si rispettino, sulla manipolazione e il controllo totale dell'individuo. A dire il vero Sollers non diceva indemoniato, ma il senso era quello, che cioè proprio Proust, colui che più di ogni altro era parso immerso nei discorsi sociali di un mondo chiuso ed esclusivo, si sarebbe gettato oggi anima e corpo in tutti i più minuti meccanismi e varianti globali di queste odierne e dissocianti tecnologie dell'annullamento di una distanza. E in effetti di Proust (e inevitabilmente del Narratore della Recherche) si conosce la passione per le invenzioni dell'epoca: il telefono ancora agli inizi col quale ascoltava i concerti da casa, la bicicletta di Albertine a Balbec, l'aereo ammirato a Versaille e nei pressi del castello della Raspelière ma poi oggetto temutissimo durante la guerra. Non era certo un nostalgico. E inoltre si conosce almeno un caso in cui il Proust anagrafico si divertì per qualche ora a impersonare il portiere di uno stabile nel quale abitavano alcuni suoi amici, professione da sempre lanciata nel più lontano e più moderno futuro.

Non credo tuttavia che Sollers abbia posto o indicato la questione nei termini giusti. Non ha molto senso chiedersi come sarebbe o cosa farebbe oggi un Leonardo, o come sarebbero Balzac o Stendhal o Montaigne. Fa venire in mente quegli uomini che dicono che se fossero donne farebbero sesso ogni cinque minuti. Porre la questione in questi termini svela semplicemente un sentimentalismo o un arrapamento di tipo senile, anche piuttosto preoccupante in un intellettuale di un certo calibro che dovrebbe tenere confinati i propri istinti al privato, pure in un diario da rendere pubblico.

Avendo scritto la mia prima tesi sugli influssi della poesia alessandrina in Catullo, per un certo periodo rimasi convinto di essere la sua reincarnazione, considerato che dopotutto si chiamava Gaio Valerio e che io pure mi chiamo Valerio, e che già al liceo amavo i suoi epigrammi e anzi li avevo riscrittti adattandoli ai miei tempi e intitolando quel lavoretto Catullo allo specchio. Così, un autunno di tanti anni fa, arrivando sul lago di Garda e andando subito a vedere i resti della supposta Villa di Catullo chiesi agli amici con cui ero di lasciarmi per un po’ da solo: volevo fare un semplice esperimento: misurare una volta per tutte l'effettiva distanza ontologica, se ce n'era una, che mi separava da Catullo. Mi sedetti tra le antiche pietre e restai in silenzio qualche minuto. Ma non sentii niente. E pensai che o io non ero Catullo o che quella non era la sua villa.


ultima immagine di Proust

Sarebbe più interessante chiedersi invece che cosa avrebbe da fare o cosa si troverebbe a fare uno dei tanti scrittori che oggi vanno per la maggiore - ma anche uno dei tanti attori, musicisti, architetti o qualsiasi altro personaggio pubblico convinto di essere qualcuno - di cosa si scoprirebbero appassionati se venissero improvvisamente portati indietro nel tempo con lo stesso nome e professione di oggi. E non so perché mi viene in mente una storiella morale di san Bernardino da Siena, che racconta che un bel giorno un uomo che passeggiava per la via degli Speziali, dove si sentivano nell'aria profumi e aromi di ogni genere, improvvisamente cadde a terra svenuto. Come ancora oggi succede, molte persone gli si fecero attorno, arrivò anche un medico, che dopo averlo palpato e ripalpato chiese se qualcuno ne conosceva il mestiere. Quando gli dissero che faceva il votatore di pitali, il medico sorrise e disse di portare dello sterco di cavallo. Come l'ebbe tra le mani, gliene passò un po’ sotto il naso e quello rinvenne.

Concludeva san Bernardino: voi ci ridete, et ecci da piangere.  

mercoledì 14 agosto 2013

Eurialo e Niso: omosessualità in Plutarco, Virgilio e Leopardi


J.B. Roman, Eurialo e Niso (Louvre) - foto Jastrow - Wikipedia

τὴν μὲν πρὸς ἄρρεν´ ἄρρενος ὁμιλίαν, μᾶλλον δ´ ἀκρασίαν καὶ ἐπιπήδησιν, εἴποι τις ἂν ἐννοήσας

‘ὕβρις τάδ´ οὐχὶ Κύπρις ἐξεργάζεται’

Traduco quasi letteralmente questo passo che si trova verso la fine dell’Amatorius, o Erotikós, il dialogo sull'amore che Plutarco scrisse agli inizi dell’era cristiana e di cui ho già accennato altrove:

del rapporto sessuale di un maschio con un altro maschio,

La persistenza della memoria: Dalì, Lorca e Neruda




La persistenza della memoria - New York - Museum of Modern Art


Non so se sia veramente un errore confondere esistenza anagrafica e esistenza produttiva di un artista. Se così fosse, se fossero possibili tali accostamenti, bisognerebbe allora reprimere, davanti a una piccola grandiosa tela che letteralmente lascia abbagliati

venerdì 9 agosto 2013

L'abito fa la monaca: il razzismo dei ricchi






Oprah Winfrey, simpatica e nota conduttrice della tv americana, considerata una delle donne più ricche e influenti del pianeta, ha raccontato di essere entrata in un negozio di Zurigo, di aver chiesto una borsa da ventottomila euro e di essersi sentita rispondere da un'impassibile e poco compiacente commessa svizzera che quell'oggetto non era adatto a lei, che costava troppo. La Winfrey ha subito tirato in ballo il razzismo e ne ha montato un caso galattico, sicuramente non ignorando che che più che una questione di razzismo è stato un colpo al suo amor proprio: il fatto cioè che una semplice commessa europea non l'abbia riconosciuta, non abbia riconosciuto una delle dee dell’etere statunitense, l'aver preso finalmente atto che esiste almeno una persona nel mondo che non l'ha proprio mai né vista né sentita nominare. Non so se la Winfrey sia entrata in quel negozio della più esclusiva via di Zurigo in “ciavatte e bigodini”, come si dice a Roma, e coi sacchetti della spesa in mano come una bag lady ma non capisco di che razzismo cianci, né in che modo le sia venuto in mente. Sempre che non intenda quel noto razzismo alla rovescia: il fatto che la Winfrey, come tutti i ricchi di questo mondo, vede il mondo capovolto. Ci sono persone infatti che trovano che sia altamente razzista presentarsi in un negozio e chiedere a una commessa che guadagna mille e cinquecento euro al mese di mostrargli una borsa che ne costa ventottomila. E oltre che razzista la trovo una cosa da far venire i conati di vomito se penso che lo stipendio annuale non solo di una commessa ma di un infermiere di un cameriere di un professore di scuola di una domestica di un lavacessi di un poliziotto è la metà dei ventottomila euro che costa la borsetta che la Winfrey voleva comprarsi.

Il calcio non è gay: è omoerotico


Melchior d'Hondecoeter - Natura morta con galli e galline

Il termine coming out – letteralmente venir fuori, quindi uscita – presuppone soltanto che ci si trovi all’interno di un qualcosa, di un luogo dal quale effettivamente poter uscire. È semplicemente una forzatura poi identificare questo concetto dell'esterno con quello della luce del sole: posso venir fuori da un posto chiuso restando in un altro posto chiuso più grande e che lo racchiuda: ad esempio dall’ascensore alle scale. Sempre al chiuso sono.

L’ossesssione del mondo gay per tutto ciò che non è gay (vedrebbero gay dovunque e vorrebbero far fare coming out perfino ai santi), è un fatto relativamente recente. Chi ha fatto il cosiddetto coming out, chi si è finalmente “liberato”, si sente paladino di una causa morale e tende a considerare una qualsiasi manifestazione omoerotica inconscia - anche quando cioè non c’è consapevole desiderio omoerotico - come un fatto più che manifesto che lì ci sia qualcosa di gay e che in quanto tale vada esteriorizzato. Di queste frequenti manifestazioni omoerotiche inconscie, gli sport di squadra, soprattutto il calcio, abbondano: abbracci e effusioni in campo, baci bacini e bacetti dopo un gran goal ma anche dopo uno schifo di goal venuto soltanto per colpa di un girandolino a centro campo della squadra avversaria, palpatine eccetera; ma più che il segno di un conscio desiderio omosessuale queste manifestazioni non sono altro che banalissimi gesti di affetto e esultanza, la necessità di condividere con un amico o compagno di centuria un momento di felicità o comunque gesti (le palpatine) che da che mondo è mondo sono codici comportamentali tipici dell’ambiente maschile giovanile, il segno di un sopito desiderio anche fisico perché appunto codificato, l’unico modo in cui in una società globalmente e potentemente eterosessuale, certi istinti possono rivelarsi. Nel gioco, appunto. O nella lotta – si veda per esempio la lotta tra due maschi nel film Donne in amore di Ken Russel, o le scosse erotiche nel recentissimo Tensiòn sexual 1 dei registi argentini Marco Berger e Marcelo Mònaco, e si capirà molto di questo tipo di desiderio controllato, codificato. Ma di qui a dire che due uomini che fanno a botte o un calciatore che palpi le natiche di un altro calciatore sia gay ( o anche semplicemente omosessuale) ce ne passa e ce ne passa parecchia, ci passa tanta acqua quanta ce n’è nell’oceano Atlantico tra le due sponde.
A parte la questione omoerotismo, c'è da dire che non significano la stessa cosa nemmeno omosessualità e essere gay (parola bruttissima, senza spina dorsale e che fa scappare tutti - somiglia a un miagolio ed è strano che i gay non se ne siano mai accorti). Non comportano le stesse ragioni queste due parole perché "gay" riflette originariamente un’istanza politica che però oggi ha perso anche quel po’ di forza rivoluzionaria che aveva agli inizi, all’epoca degli eventi di Stonewall, il noto bar di travestiti a New York da cui si originarono a seguito di un pestaggio della polizia omofoba i violenti scontri che tennero sotto scacco il Greenwich Village per tre giorni; il primo termine invece (omosessualità) definisce un insieme di pulsioni e desideri e comportamenti ed esula dalla sfera politica in senso stretto, di impegno politico e civile, di chi combatte anche seriamente, sotto questa etichetta, per l’acquisizione di diritti per le coppie dello stesso sesso. A parte quindi la non assoluta possibilità di identificare visione gay della vita e comportamenti omoerotici e omosessuali, viene anche da chiedersi quale senso abbia (se non di presunzione) dire a un grande calciatore, a uno cioè che ha un ego smisurato, e che spesso ha pure un talento smisurato, che tocca il cielo con un dito, come si fa a dire a una persona del genere: devi fare coming out. La prima cosa che mi viene in mente è che un calciatore così impostato - che il gay vorrebbe tirare nel mondo gay come il mugnaio tira l'acqua al proprio mulino - ti faccia quand'anche sia dedito a amori omosessuali una sonora pernacchia e che finisca magari per dirti: "gay per questa volta ci sarai tu, a me di uscire dentro un ghetto non interesssa proprio un bel niente, non ho bisogno di nessuna etichetta in fronte. Se pure perde tempo a risponderti.


 C’è poi il caso di Cecchi Paone, il giornalista che ha fatto coming out e che ogni tanto si azzuffa, per la verità in maniera anche divertente, col mondo ufficiale del calcio. Mi è capitato diverse volte di sentirlo parlare in qualche intervista. Ma non mi pare che usi la parola gay, o almeno le volte che mi è capitato l’ho sempre e soltanto sentito usare termini come omoerotismo, o omosessualità. Ha pure scritto un libro su omosessualità e sport nel cui titolo non compare la parola gay e non so se e quante volte l'abbia usata all'interno perché non l'ho letto. Cecchi Paone però è cosa diversa: si diverte a mettere il dito nell’ipocrisia del mondo calcistico, e se anche la sua è una battaglia diciamo così etica fa prendere poi felicemente alla questione i toni divertenti del botta e risposta tra due ragazzini; non è comunque un caso che reagisca come reagisce ogni volta che sente un dirigente o un calciatore dire che nel calcio non ci sono maschi che vanno con altri maschi. Lo invitano a nozze. Pure a non considerare il carattere altamente omoerotico di un qualsiasi gioco di squadra (come fai a non pensare di dare il meglio anche e soprattutto perché - a parte i milioni che guadagni - i tuoi compagni di squadra ti stanno guardando e vuoi essere ammirato anche da loro?) è pure una palese assurdità, che dimostra non solo ignoranza della storia ma pure della natura se anche i cagnetti che si vedono scodinzolare nei giardini pubblici e nei parchi si annusano a tutto spiano, sia maschi con femmine che maschi con altri maschi. Ma spezzo qui una lancia in favore dei gay. In Shalespeare si trova il termine nosegay (letteralmente, nell'antico inglese, ornamento da avvicinare al naso, mazzetto di fiori che l'innamorarato regalava all'amata) e a quell'epoca a teatro i personaggi femminili erano interpretati esclusivamente da uomini.