giovedì 7 novembre 2013

Strabone e lo scarpone

Già Strabone (inizio del libro VIII della sua Geografia) notava una strana somiglianza tra la forma del Peoloponneso e quella della foglia del platano - ἔστι τοίνυν ἡ Πελοπόννησος ἐοικυῖα φύλλῳ πλατάνου τὸ σχῆμα - cosa che venne rilevata anche da altri antichi scrittori. Eppure la foglia di platano
non è mai stata nemmeno per un brevissimo periodo il simbolo di questa regione, del Peloponneso. Ciò che invece è curioso è che quando la foglia di un albero venne finalmente assunta a simboleggiare un'intera nazione - l'acero del Canada - si trattò di decisioni puramente arbitrarie che con la geografia non avevano niente a che vedere: si riconobbe come buono il parto della mente di un disegnatore a cui era stato chiesto di inventarsi qualcosa di interessante.

Lo stesso destino del platano del Peloponneso è toccato allo stivale, che in fondo non è mai diventato il simbolo dell’Italia, se non forse del Bel Pese Galbani. E così si potrebbe dire di tutti i paesi del mondo. E la ragione di questo stato di cose mi pare sia da ricercarsi in una certa riluttanza (a parte rari casi di più marcata modestia politica) di ogni nazione a rappresentarsi (cioè a vedersi tutti i giorni) nella forma specifica che la natura le ha dato: l’Italia uno scarpone che prende a calci la Sicilia, la Gran Bretagna un ometto senza gambe che si regge la pancia e ride a crepapelle; la Spagna una maglietta stesa ad asciugare; la Francia un pentagono, la Germania la testa di un ferroviere, l’India un triangolo forse scaleno, la Scandinavia un organo maschile stortignaccolo con tanto di attributi pendenti, e alcune nazioni poi nessuna forma, cioè il niente di niente. In effetti, se ad ogni paese è possibile associare una sua particolare forma geografica, nessuno ha poi mai scelto questa forma tanto naturale per rappresentarsi al consesso delle nazioni. Cosa che invece politicamente avrebbe un suo peso (avrebbe un senso per esempio dire: sono il ministro dell'Economia dello Scarpone), i politici realizzerebbero un sogno riposto, quello della favoletta di un re indubbiamente in mutande: diventerebbero gli sponsor del proprio paese per come viene visto realmente dall'uno o dall'altro satellite, ammetterebbero finalmente di aver capito che i cittadini che rappresentano hanno anche loro capito; e che quello della politica e della polis è sempre stato in ogni tempo soltanto un sanguinos balletto, la feroce e macabra danza del capitale.

A parte dunque la sincerità, mai abbastanza desiderabile in un'epoca fondata più che le altre sulla menzogna e sulla propaganda dei mezzi di informazione, l'assunzione in sede ufficiale del proprio simbolo geografico sarebbe il segno di un innegabile progresso sul cammino della conoscenza, del conosci te stesso, del gnothi seauton, come si leggeva sul frontone del tempio di Delfi, se ogni paese cioè arrivasse a guardarsi con sguardo realisticamente più realistico: do la parola all'onorevole rappresentate del Triangolo isoscele; prego l'onorevole ministro del Pentangolo di raccogliere il parrucchino che gli è caduto chinandosi; onorevole rappresentante dello Scarpone, la richiamo all’ordine per la quarta volta; l’ambasciatore del Niente (quale dei tanti niente?) è stato convocato dal ministro degli Esteri del Pupazzo che ride. Il governo della T-shirt si è sdegnosamente opposto alla proposta di una liberalizzazione della caccia alle poche balene rimaste presentata dai governi del Pene smisurato, eccetera eccetera


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