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mercoledì 19 novembre 2014

tempo divino e tempo umano

Insistente è nel vangelo di Marco, il più arcaico, un ammonimento di Gesù ai discepoli, e poi agli uomini e alle donne che via via miracolava: bisognava guardarsi dal divulgare quei fatti. Che è un fatto abnorme. E l'unica spiegazione che si riesce a dare di questa sua "preoccupazione" è che la missione (l'insegnamento) aveva bisogno di tempo, e che il potere costituito avrebbe potuto "prima del tempo" bloccare tutto. Se la missione ha bisogno di tempo, Gesù, in quanto figlio di Dio non può più sfruttare un tempo divino ma deve muoversi secondo un tempo necessariamente umano. Insomma, avrebbe potuto, in quanto figlio di Dio, nascondere lui stesso ciò che veniva compiendo, e avrebbe potuto farlo sul modello delle narrazioni pagane, nelle quali un dio usava una nube per nascondre ciò che non doveva essere visto (la nube, quale strumento, quale medium, esiste anche nell'Antico Testamento, ripreso poi nel Nuovo - vedi ad esempio Daniele: "osservando nelle visioni notturne ecco appare sulle nubi del cielo uno simile a un figlio di uomo" - ma si limita a trasportare il divino lasciandolo ancora ben visibile, o comunque a farne sentire la voce, vedi per esempio il salmo 98: in columna nubis loquebatur ad eos - a loro parlava da dentro una colonna di nube).

E' questa la grande differenza tra paganesimo e cristianesimo, e che toglie al cristianesimo il sapore del mito e della favola, se si escludono i miracoli: l'assunzione da parte della divinità cristiana di un tempo esclusivamente umano. La missione va compiuta secondo tempi umani; diversamente, non tanto il paradosso, il miracolo, ma l'insegnamento non otterrebbe gli effetti voluti. E' una conseguenza del fatto che l'uomo per sua natura è condannato ad apprendere nel tempo (non ci sarebbe altrimenti differenza tra lui e Dio). Ogni insegnamento si svolge sempre per definizione entro tempi stabiliti. Non può essere impartito in un tempo infinitamente piccolo (divino), che appartiene invece alla visione estatica (e tuttavia, sulla questione della non narrabilità dell'esperienza mistica vedi quanto ho detto in un precedente post, L'uomo perfetto e l'obsolescenza di Dio).

lunedì 27 ottobre 2014

L'uomo perfetto e l'obsolescenza di Dio.

L'uomo perfetto, secondo Aristotele, non esiste. E non so nemmeno a chi interesserebbe quest'uomo perfetto se anche esistesse. Vedi pure la nozione di onestà e il dramma di Pirandello, che sposta il discorso al campo dell'etica. Esistono oggetti in ogni tempo considerati perfetti, che dovrebbero essere un riflesso della tendenza dell'uomo a interagire all'interno di un processo limitatizzante, per senso di compiutezza (perficio), o, che è lo stesso, della sua impossibilità a interagire all'esterno di tale processo. D'altro canto la perfezione di un oggetto, a cui la tecnica in ogni tempo mira, è in contraddizione con l'esistenza stessa della tecnica. Oggi un oggetto è considerato perfetto e nello stesso tempo deve avere un grado di obsolescenza elevatissimo, pena la morte della tecnologia, la chiusura delle fabbriche eccetera. La perfezione è quindi tanto più un mito, un inganno ideologico, quanto più si cerca di spacciarla per possibile, anzi realizzata. Questo ragionamento può applicarsi a qualsiasi settore dell'azione umana, e non soltanto all'azione ma anche alla contemplazione, dove la durata della visione di Dio si riduce a un tempo non infinitesimo ma minimo se il concetto di visione e quindi di narrazione (o auto-narrazione) indica durata. Il che toglie ogni valore che non sia propagandistico all'esperienza mistica, a meno che non la si voglia chiamare esperienza della massima obsolescenza di Dio. Vedi anche quanto detto nell'Inganno dell'ascesi e in Tempo divino e tempo umano.