Librum Iob quidam Moysen scripsisse arbitrantur, alii unum ex prophetis,
nonnulli vero eundem Iob post plagam suae passionis scriptorem fuisse
existimant, arbitrantes ut, qui certamina spiritalis pugnae sustinuit,
ipse narraret quas victorias expedivit (Isid., Etimologiarum, vi, 2).
Il problema posto da Isidoro, in questo passo del sesto libro delle Etimologie, è in fondo molto semplice: se una qualsiasi storia possa essere narrata da chicchessia o se invece saprà farlo soltanto chi l'ha vissuta in prima persona. Ma è un problema di lana caprina. E' infatti vero che per quanti personaggi un autore metta in scena non riuscirà mai a fare niente di sensato se non sarà riuscito a immedesimarsi via via in ognuna delle sue creature: se cioè non abbia sentito la storia nella propria carne e non abbia
vissuto all'interno dei suoi romanzi già prima di metterli sulla carta. In mancanza di questo farà soltanto opera didascalica, descrittiva (behaviouristica, comportamentistica). Sarà bravo al massimo a descrivere i movimenti, a rendere qualche spezzone di dialogo. Tanto vale servirsi di un regisrtatore (non ovviamente quello di Gadda, che non era affatto un registratore, anche se alcune delle sue insuperabili meraviglie - L'Adalgisa, ad esempio - sembrano frutto di registrazioni). Che è la ragione per cui i grandi scrittori in ogni tempo si sono sempre contati sulle dita di una mano. Tutto il resto è mondezza. Si avrà soltanto l'illusione di "appartenere" senza appartenere a un cazzo.
Vedi su questo anche ciò che diceva Simenon, che un po' prima di iniziare uno dei suoi romanzi cominciava ad avere tutti i tic dei vari personaggi: dal cardiopatico, allo sciancato, alla prostituta, alla portinaia eccetera
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lunedì 16 marzo 2015
domenica 12 ottobre 2014
L'inferno della continuità
La
continuità (così come il dettaglio) nuoce alla narrazione. Risulterebbe noioso e, oltre alle sorprese, toglierebbe
al lettore (come una parete interminabile e senza porte) la possibilità di infilarci o
anticipare qualcosa di suo, salvo ovviamente dover poi fare i conti con ciò che effettivamente sarà. Ma è il narratore il dominus:
ἔνθα τοι οὐκέτ' ἔπειτα διηνεκέως ἀγορεύσω,
ὁπποτέρῃ δή τοι ὁδὸς ἔσσεται (M, 56-57)
così Circe a
Ulisse circa la strada che dovrà prendere una volta passato il luogo delle
sirene.
διηνεκέως – continuamente, senza soluzione di continuità: vedi l’italiano
dall’inizio alla fine
La
continuità (o persistenza) è d’altronde un mito e un’illusione della percezione, la ragione per
cui l’individuo, guardandosi allo specchio, continua a vedersi sempre uguale a
tutte le età. Ma senza la rottura di questo mito della continuità non sarebbe
possibile nessun romanzo: le psicologie dei personaggi resterebbero immobili
dall’inizio alla fine, poca cosa per una storia che si svolga nell’arco di
poche settimane ma insostenibile a lungo termine. Ancora, ovviamente, il panta rei di Eraclito.
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lunedì 3 febbraio 2014
Il caffè avvelenato
![]() |
Tomba di Marx al cimitero di Highgate |
Posto qui un mio breve racconto inedito da Il carnevale di una logoterapista, una serie di quaranta storielle metropolitane che scrissi a Londra nel 1994, quando ero poco più che un ragazzino, e che non ho mai pubblicato nel loro insieme. Qualcosa era apparso su un paio di riviste londinesi.
SUNDAY
INDEPENDENT
Una domenica di maggio in cui fuori l’aria
era pregna di luce e di profumi entrò in un
domenica 22 settembre 2013
solo la donna è sempre donna. cinema e sguardo abusivo
Esiste una genia di registi uomini che sfrutta
ancora il concetto della donna pupazzo dei divertimenti e degli arrapamenti del
maschio frustrato. È un’immagine vecchia come il mondo e potrebbe tranquillamente essere considerata un capitolo di quello studio che Germaine Greer ha intitolato L’eunuco femmina, la donna cioè feticcio. Si
veda per esempio il terzo film della serie Alien, nel quale un modulo di
salvataggio della nave spaziale USS Sulaco, costretto a un atterraggio d’emergenza, finisce
su un piccolo pianeta occupato esclusivamente da un carcere di massima
sicurezza. Chi sono i detenuti tutti uomini di questo carcere? Serial killer e stupratori. Chi è l’’umico membro dell’equipaggio a salvarsi? una donna, che tirata
fuori dai soccorritori è rimasta guarda caso pure in slippini, con l’ombelico (il
buco) bene in vista, che non sarebbe altro che l’occhietto che pure un regista
del calibro di David Fincher si permette di fare al generico spettatore: da una
parte al maschio, convinto che tutti i maschi di questo mondo condividano la
sua visione priapica dell’esistenza, dall’altra alle donne, eccitato alla
semplice idea che la generica donna possa gustare il suo momentaneo arrapamento nella visione di questo che è probabilmente il peggiore dei suoi film. Le
donne non portano minori responsabilità: lo sguardo della donna spettatrice, in
questo genere di film, resta in effetti ambiguo: come mamma indulgente chiude
un occhio nel migliore dei casi e nel peggiore finirà per
arraparsi anche lei (checché ne dica il femminismo più radicale): si arrapa a sentire il suo
maschio arrapato; anche se in quanto donna lo sarebbe forse meno se
si rendesse conto che il suo uomo è semplicemente arrapato perché un altro
maschio, il regista, è anche lui arrapato e gli sta offrendo in una sorta di intesa - ben conosciuta nelle conversazioni tra maschi - questi suoi segni e sogni
erotici da quattro soldi. Ma se un maschio si eccita ai sogni erotici di un
altro maschio, il dado non è molto tratto, non si lascia nessuno spazio al caso: si tratta né più né meno di qualcosa che va oltre le aspettative, il contrario cioè di quello che questo spettatore si immagina quando entra al cinema, poco importa che la concezione priapica che il regista ha del mondo sia ampiamente condivisa dall'umanità maschile: resta il fatto che in quel particolare momento il maschio si eccita coi sogni erotici proposti da un altro. Punto. È quindi ingiusta
l’accusa mossa a Holliwood di una sua certa supposta omofobia: questo tipo di
pellicole, tanto più se arrivano da un ottimo regista, lo stesso che ebbe il coraggio di
proporre l’omoeroticissimo Fight Club, dimostrerebbero esattamente il contrario (d'altronde è ben noto come perfino in un
concreto triangolo sessuale di due uomini e una donna, quest'ultima, nel duplice tritacarne maschile, rappresenta il cosiddetto alibi, o il terzo incomodo; a differenza di un triangolo di
due donne e un uomo, dove il fatto che si tratti di un rapporto lesbico a tre può
essere quasi dimostrato matematicamente: aumentando il numero di donne e
portandolo col metodo dell’analisi matematica all’infinito, sogno di ogni uomo: l’integrale che ne
risulta non può essere che donna: l’uomo che realizza così il suo sogno di
essere alla fine anche lui quello che è sempre stato: una povera donna mancata).
Le pretese del mercato non son ovviamente discutibili. Ma almeno in questo caso tutto è facilitato
Le pretese del mercato non son ovviamente discutibili. Ma almeno in questo caso tutto è facilitato
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