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venerdì 29 maggio 2015
Man's journey towards ease and grace
The majority is always wrong. It is the most attractive aspect of democracy. Bad rulers are reelected,
after all. The crowd waffles, cheers for
one and then switches sides and root for the other. Such flagging has no effect on one's journey towards social and personal betterment, every scum politician
knows it. This dialectical exchange of views may be compared with the
disposition in prose or poetry of a single colon into two commata of
approximately equal length (see Denniston). There’s barely a perceptible pause
between them. It makes for ease and grace.
giovedì 30 aprile 2015
The art of puppetry. What made Quintilian's Institutes of Oratory so successful
Marcus Quintilianus was a very conscientious and cautious man. He saw nothing wrong with the idea that man should be the measure for everything. Man is partly animal, it is true. What is left is social. To the extent that he may be manipulated by language control. Quintilian's instruction on how to achieve this was a gift to all manipulators of history seeking present authority. His work should have been given the title How to fool a man into acting as a perfect social puppet. He carried out coordinated research for the perfection of humankind. And this was two thousand years before the publication of Heinrich Kleist's essay On the Marionette Theatre in which puppets are described as being more graceful than humans.
giovedì 16 aprile 2015
A history of humanity through the higly coloured lens of hyperbaton (conflicts between logical and rhetorical precedence)
Much of the effectiveness of Greek prose depends
upon a non-logical
development of the thought. A bare logical
development would kill the effect (“striking colours, placed side by side, kill
each other” – Denniston). This is quite obvious in a reading of any Greek text.
Hyperbaton is what strikes most. Whenever a word refuses to wait it will either
press to the fore taking its turn in the logical development or be placed late by
dislocation of natural order.
Ἀλλὰ καὶ τοῦτο ἐὰν ὁμολογῶμεν (Plat., Prot., 360a)
(but that too if we admit)
Ἀλλὰ καὶ τοῦτο ἐὰν ὁμολογῶμεν (Plat., Prot., 360a)
(but that too if we admit)
instead of
Ἀλλὰ ἐὰν ὁμολογῶμεν καὶ τοῦτο
(but if we admit that too).
Τρέφεται δέ, ὦ Σώκρατες, ψυχὴ τίνι; (Prot., 313c)
Ἀλλὰ ἐὰν ὁμολογῶμεν καὶ τοῦτο
(but if we admit that too).
Τρέφεται δέ, ὦ Σώκρατες, ψυχὴ τίνι; (Prot., 313c)
(nourished, Socrates, is a soul with what?)
instead of
ψυχὴ δὲ, τίνι τρέφεται, ὦ Σώκρατες;
(with what, Socrates, is a soul nourished?)
giovedì 26 marzo 2015
democracy vs democracy
Stifling one's disagreement,
or worse yet getting lured into the views of an insane morality, since those
are the only ideas allowed, and no alternative views are aired, would be a suitable definition of current
“selling democracy”. If you voice your disagreement in a “sell”
thread you will be warned for it immediately.
lunedì 16 marzo 2015
il Dio partoriente e le idiozie della traduzione. La modulazione.
dissipabo et assorbebo
parole poste in bocca a Dio da Isaia nell'Inno della vittoria (42:14), rese così giustamente, e conservando tutta l'ambiguità dell'ebraico, da san Girolamo, il quale se ne fotte ampiamente del fatto che si è appena parlato di una partoriente (l'immagine a cui appunto è assimilato il Dio guerriero) - le urla della partoriente (כיולדה אפעה - urlerò come una partoriente) - e che tutte le traduzioni moderne (si eccettua la Bibbia inglese di re Giacomo) invece hanno stupidamente forzato, seguendo l'ebraico alla lettera, a intendere (dopo le urla) ciò che può adattarsi ancora a una partoriente (gemerò e mi affannerò), e che in realtà non può più essere se lo si riferisce a Dio. E' difficile che tale immagine (gemere e affannarsi) vada d'accordo col Dio guerriero di questo passo di Isaia, un Dio che al massimò urlerà, come la partoriente, ma poi i lamenti e gli affanni dovranno trasformarsi necessariamente in qualcos'altro.
E' questo un tipico esempio di modulazione nella narrazione:
... urlerò come una partoriente
e disperderò [farò a pezzi] (non gemerò) e ingoierò (non mi affannerò ...
Insomma della partoriente si prenderà il momento della "furia", di cui il gemere e l'affannarsi sono semplicemento un complemento che sparisce di fronte alla visione maestosa di un Dio Guerriero che tutto polverizza e ingoia. D'altronde l'ebraico - come doveva giustamente aver compreso san Girolamo - conserva nei due verbi (sha'aph e nasham) tutta l'ambiguità possibile e immaginabile.
parole poste in bocca a Dio da Isaia nell'Inno della vittoria (42:14), rese così giustamente, e conservando tutta l'ambiguità dell'ebraico, da san Girolamo, il quale se ne fotte ampiamente del fatto che si è appena parlato di una partoriente (l'immagine a cui appunto è assimilato il Dio guerriero) - le urla della partoriente (כיולדה אפעה - urlerò come una partoriente) - e che tutte le traduzioni moderne (si eccettua la Bibbia inglese di re Giacomo) invece hanno stupidamente forzato, seguendo l'ebraico alla lettera, a intendere (dopo le urla) ciò che può adattarsi ancora a una partoriente (gemerò e mi affannerò), e che in realtà non può più essere se lo si riferisce a Dio. E' difficile che tale immagine (gemere e affannarsi) vada d'accordo col Dio guerriero di questo passo di Isaia, un Dio che al massimò urlerà, come la partoriente, ma poi i lamenti e gli affanni dovranno trasformarsi necessariamente in qualcos'altro.
E' questo un tipico esempio di modulazione nella narrazione:
... urlerò come una partoriente
e disperderò [farò a pezzi] (non gemerò) e ingoierò (non mi affannerò ...
Insomma della partoriente si prenderà il momento della "furia", di cui il gemere e l'affannarsi sono semplicemento un complemento che sparisce di fronte alla visione maestosa di un Dio Guerriero che tutto polverizza e ingoia. D'altronde l'ebraico - come doveva giustamente aver compreso san Girolamo - conserva nei due verbi (sha'aph e nasham) tutta l'ambiguità possibile e immaginabile.
domenica 22 febbraio 2015
ancora sugli apologeti e sulla malafede di ogni ideologia
Discutendo il senso letterale della frase d'attacco del Libro di Giobbe, Gregorio Magno nei suoi Moralia dice, riecheggiando le parole di Cristo (se amate quelli che vi amano che merito ne avete?):
neque enim valde laudabile est bonum esse com bonis sed bunum esse cum malis.
Il che è giusto, e non si potrebbe esprimere con migliore arte compositiva. Ma ci si sarebbe poi aspetttati che venendo a considerare la questione dal punto di vista dei cattivi aggiungesse:
neque enim valde laudabile est bonum esse com bonis sed bunum esse cum malis.
Il che è giusto, e non si potrebbe esprimere con migliore arte compositiva. Ma ci si sarebbe poi aspetttati che venendo a considerare la questione dal punto di vista dei cattivi aggiungesse:
venerdì 6 febbraio 2015
Otello e Desdemona: la bestia in gabbia. Nota sul "latte versato"
Piangere sul latte versato. Il latte potrebbe essere quello di un qualsiasi dramma (teatro) il cui esito è sotto gli occhi di tutti fin dall'inizio. Ma "il latte versato" per eccellenza è quello di Otello piangente sul latteo corpo di Desdemona, che però non ha allattato, non ha avuto figli, non ne ha avuto il tempo. L'intero dramma, l'Otello, potrebbe essere preso come rappresentazione della politica di un qualsiasi regime "democratico" nel quale i sobillatori (il colore è quasi sempre il verde o il nero) riescono a manipolare talmente bene il povero idiota - Otello, i sudditi, gli elettori (i quali non a caso non hanno un colore specifico, sono camaleontici, prendono il colore del fondo di persuasione) - che il povero idiota finisce per ammazzare lo Stato (Desdemona). L'idiota, nell'Otello, è nero ma avrebbe potuto essere bianco, il tabula rasa - in Shakespeare è ancora "il non civilizzato", l'ingenuo. Soltanto l'ingenuità, il ciò che non è civilizzato, riesce a spiegare il successo di Jago (della parola, della retorica, della capacità di persuasione) del sobillatore (del verde degli invidiosi e del nero delle ideologie di morte che incarnano - al di là di ogni giudizio di valore e del disgusto che possono suscitare).
Il civilizzato poi, a differenza del civilizzante (Jago), ha le oscillazioni tipiche di un valore borsistico.
Così, un regime democratico è, a sua volta, per un gioco speculare, mera rappresentazione dell'Otello. E così come nell'Otello, anche per il regime democratico non si hanno figli: non può averne: non avrebbe senso dire che uno stato (un qualsiasi regime, non necessariamente democratico) genera un figlio uguale a se stesso, e non avrebbe senso dire che genera un figlio diverso da sé. Non c'è mai un momento in cui due sistemi coesistano nello stesso sistema, se non teologicamente, nel manicheismo, nell'idealistica opposizione del bene e del male. Gli attori che si fanno guerra sulla scena (Jago contro Emilia) tornano a essere amici nel camerino.
La gabbia in cui è racchiuso Jago (la bestia) nella scena iniziale del film di Orson Welles, è ugualmente una rappresentazione della rabbia che suscita il piangere sul latte versato.
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martedì 3 febbraio 2015
il colore della strizza e il verme infinito
Fascisti e nazisti nel nord Italia stanno riemergendo dalle fogne anzi dalle fognature (si adatta meglio al contesto asettico dei nostro giorni). Ci si aspetterebbe un colore più prossimo al marrone, invece è il verde a dominare, il colore della strizza, e dell'invidia.
Basterebbe questo a mostrare, se solo ce ne fosse bisogno, come la nozione di progresso (l'allontanarsi dell'individuo da uno stato vermicolare) sia sempre stato in ogni tempo un mito. Non "polvere sei e polvere ritornerai" ma "verme eri e verme sei rimasto".
Basterebbe questo a mostrare, se solo ce ne fosse bisogno, come la nozione di progresso (l'allontanarsi dell'individuo da uno stato vermicolare) sia sempre stato in ogni tempo un mito. Non "polvere sei e polvere ritornerai" ma "verme eri e verme sei rimasto".
domenica 1 febbraio 2015
L'albero della vita e della morte. La fine dei blogger
Clolui che viene considerato il pioniere dei blogger, un certo Andrew Sullivan, avrebbe finalmente "gettato la spugna", avrebbe deciso di considerare chiusa la sua esperienza di blogger. "Voglio tornare a vivere", avrebbe detto.
Il verbo "tornare" implica il desiderio di ritrovarsi in un luogo o in una condizione che abbiamo per un qualche motivo abbandonato. A seguire quindi il suo "ragionamento", c'era un periodo in cui
Il verbo "tornare" implica il desiderio di ritrovarsi in un luogo o in una condizione che abbiamo per un qualche motivo abbandonato. A seguire quindi il suo "ragionamento", c'era un periodo in cui
Le convenienti menzogne di Abramo. Alle fonti del capitalismo
אמרי־נא אחתי את למען ייטב־לי בעבורך וחיתה נפשי בגללך׃
E' uno dei primi passi della Genesi (1:12:13) in cui è questione di sacra menzogna. E' in effetti una menzogna che arriva dall'alto, da uno dei patriarchi, il primo dei patriarchi, "padre di molti popoli" (da che pulpito!). Sara, moglie di Abramo, è un tale gioiello, è talmente splendida e formosa, che
E' uno dei primi passi della Genesi (1:12:13) in cui è questione di sacra menzogna. E' in effetti una menzogna che arriva dall'alto, da uno dei patriarchi, il primo dei patriarchi, "padre di molti popoli" (da che pulpito!). Sara, moglie di Abramo, è un tale gioiello, è talmente splendida e formosa, che
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martedì 13 gennaio 2015
sui fiumi di Babilonia i microbi della terra
על נהרות בבל שם ישבנו גם־בכינו בזכרנו את־ציון׃
Sui fiumi di Babilonia sedevamo e piangevamo al ricordo di Sion.
Così hanno fatto i "grandi" della Terra, come li chiamano i giornali provinciali italiani (Corriere e Repubblica - Huffington Post Italia, sottomarca del liberalismo pseudo libertario, non è nemmeno da prendere in considerazione, se non come possibilità di ottenere una credit card prepagata). Così hanno fatto invece i piccoli della terra, rappresentati giustamente da gnomi in tailleur e giacca e cravatta, sulle ceneri di Charlie Hebdo: hanno sicuramente intonato l'inizio del Cantico di Sion, del più famoso dei salmi delle lamentazioni.
Ci sarebbe da dire che il testo l'ebraico non ha "e", come ho tradotto, ma "anche" (גם - gam). E' in posizione estremamente ambigua - estremamente perché è agli estremi di due proposizioni correlate: un nesso, sembrerebbe, paratattico ("questo e questo": sedevamo e piangevamo). Ma potrebbe riferirsi a quanto precede: sedevamo anche, cioè: anche sui fiumi di Babilonia sedevamo (dopo esserci seduti altrove). Oppure a quanto segue: piangevamo anche (oltre a essere seduti, piangevamo), e potrebbe addirittura indicare enfasi, come in alcuni suoi usi nel Vecchio Testamento, a introdurre un climax, un crescendo, uno stracciarsi le vesti, uno strapparsi i capelli, un graffiarsi e rigarsi i volti: sui fiumi di Babilonia sedevamo, sì (proprio così): piangevamo eccetera"
Tutti sensi che si adattano benissimo alla congrega di pidocchi della terra che si sono riuniti a Parigi
(ad esempio: e piangevamo anche, mentre rispondevamo al cellualre; oppure piangevamo anche mentre peteggiavamo in silenzio; oppure: piangevamo anche mentre speravamo, noi amebe, di essere visti dal mondo eccetera; oppure nel primo caso: anche lì sedevamo, dopo esserci seduti a tutte le inutili tristi celebrazioni e messe di suffragio.
Grazie al cielo l'orazione di Pericle per i caduti della guerra archidamica è andata perduta: doveva essere di una noia mortale a giudicare dalla ricostruzione di Tucidide: roboantica celebrazione della sua testa a forma di ogiva (per quanto Pericle fosse un gigante in confronto a queste caccole).
Sui fiumi di Babilonia sedevamo e piangevamo al ricordo di Sion.
Così hanno fatto i "grandi" della Terra, come li chiamano i giornali provinciali italiani (Corriere e Repubblica - Huffington Post Italia, sottomarca del liberalismo pseudo libertario, non è nemmeno da prendere in considerazione, se non come possibilità di ottenere una credit card prepagata). Così hanno fatto invece i piccoli della terra, rappresentati giustamente da gnomi in tailleur e giacca e cravatta, sulle ceneri di Charlie Hebdo: hanno sicuramente intonato l'inizio del Cantico di Sion, del più famoso dei salmi delle lamentazioni.
Ci sarebbe da dire che il testo l'ebraico non ha "e", come ho tradotto, ma "anche" (גם - gam). E' in posizione estremamente ambigua - estremamente perché è agli estremi di due proposizioni correlate: un nesso, sembrerebbe, paratattico ("questo e questo": sedevamo e piangevamo). Ma potrebbe riferirsi a quanto precede: sedevamo anche, cioè: anche sui fiumi di Babilonia sedevamo (dopo esserci seduti altrove). Oppure a quanto segue: piangevamo anche (oltre a essere seduti, piangevamo), e potrebbe addirittura indicare enfasi, come in alcuni suoi usi nel Vecchio Testamento, a introdurre un climax, un crescendo, uno stracciarsi le vesti, uno strapparsi i capelli, un graffiarsi e rigarsi i volti: sui fiumi di Babilonia sedevamo, sì (proprio così): piangevamo eccetera"
Tutti sensi che si adattano benissimo alla congrega di pidocchi della terra che si sono riuniti a Parigi
(ad esempio: e piangevamo anche, mentre rispondevamo al cellualre; oppure piangevamo anche mentre peteggiavamo in silenzio; oppure: piangevamo anche mentre speravamo, noi amebe, di essere visti dal mondo eccetera; oppure nel primo caso: anche lì sedevamo, dopo esserci seduti a tutte le inutili tristi celebrazioni e messe di suffragio.
Grazie al cielo l'orazione di Pericle per i caduti della guerra archidamica è andata perduta: doveva essere di una noia mortale a giudicare dalla ricostruzione di Tucidide: roboantica celebrazione della sua testa a forma di ogiva (per quanto Pericle fosse un gigante in confronto a queste caccole).
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venerdì 9 gennaio 2015
Dio e il pleonasmo
Dire "Dio è grande", "Dio è infinito", "Dio è onnipotente", è sempre un pleonasmo, e come tale risponde alle leggi della retorica, della persuasione, della manipolazione, dell'ideologia.
Che bisogno avrebbe Dio di sentirsi dire una simile banalità da un mondo di formiche? sarebbe come se una colonia di formiche, in un formicaio, intonasse il de profundis: l'uomo è grande è onnipotente eccetera.
Vedi anche Себе, любимому, All'amato se stesso, di Majakovskij, nell'interpretazione di Carmelo Bene, in una traduzione in cui si è preferito rendere, forse giustamente, l'ambiguo cебе con me stesso.
Che bisogno avrebbe Dio di sentirsi dire una simile banalità da un mondo di formiche? sarebbe come se una colonia di formiche, in un formicaio, intonasse il de profundis: l'uomo è grande è onnipotente eccetera.
Vedi anche Себе, любимому, All'amato se stesso, di Majakovskij, nell'interpretazione di Carmelo Bene, in una traduzione in cui si è preferito rendere, forse giustamente, l'ambiguo cебе con me stesso.
sabato 3 gennaio 2015
generoso ma non troppo
La nozione di generosità è legata in antico a quella di nascita: si è generosi se si è nati in una famiglia patrizia, se si è "nati bene": ma di questi è veramente generosus soltanto chi sa compiere il gesto ampio, magnanimo, chi rivela, in ogni occasione, incapacità di calcolo. Non vi è riferimento immediato al denaro - è del resto non troppo difficile essere generosi quando si dispone dei mezzi, quando dal mucchio invisibile del conto in banca si spilla per il prossimo una misera goccia immediatamente sostituita dalle nuove entrate. Ma p u ò essere ugualmente facile quando se ne è sprovvisti: e allora è la virtus di ognuno che traluce dal gesto generoso, la forza propria: e non appaiono più le origini, le illusioni e le fantasticherie da rotocalco, il pensiero di dove uno sia nato, o di quanto effettivamente possiede. Sarà semplicemente generoso. Come quel vino che pretenderà Orazio tra Salerno e: Velia, dove andrà follemente a farsi i bagni di acqua fredda l'inverno, la nuova moda dei Romani:
... nam uina nihil moror illius orae;
rure meo possum quiduis perferre patique;
ad mare cum ueni, generosum et lene requiro,
quod curas abigat, quod cum spe diuite manet
in uenas animumque meum, quod uerba ministret,
quod me Lucanae iuuenem commendet amicae ...
(... sui vini di quel posto non mi soffermo:
quando sono da me in campagna sopporto e tollero tutto,
ma quando arrivo al mare, voglio un vino g e n e ro s o e aperto
che allontani i pensieri, che speranzoso mi scorra
dentro le vene, e nelle mente e che renda loquaci e
che mi faccia apparire un ganzo davanti a una bella lucana. Epis, I,15,16-21 - moror viene quasi sempre frainteso nelle traduzioni di questa "lettera" a Vala in cui chiede informazioni sui luoghi: non non me ne importa ma non mi soffermo. E' figura retorica, preterizione).
... nam uina nihil moror illius orae;
rure meo possum quiduis perferre patique;
ad mare cum ueni, generosum et lene requiro,
quod curas abigat, quod cum spe diuite manet
in uenas animumque meum, quod uerba ministret,
quod me Lucanae iuuenem commendet amicae ...
(... sui vini di quel posto non mi soffermo:
quando sono da me in campagna sopporto e tollero tutto,
ma quando arrivo al mare, voglio un vino g e n e ro s o e aperto
che allontani i pensieri, che speranzoso mi scorra
dentro le vene, e nelle mente e che renda loquaci e
che mi faccia apparire un ganzo davanti a una bella lucana. Epis, I,15,16-21 - moror viene quasi sempre frainteso nelle traduzioni di questa "lettera" a Vala in cui chiede informazioni sui luoghi: non non me ne importa ma non mi soffermo. E' figura retorica, preterizione).
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lunedì 29 dicembre 2014
"sono un berlinese" se ho la pancia piena. "Te Deum" della democrazia
![]() |
Repubblica Democratica Italiana - Secondigliano |
L'idea dell'esistenza per il cittadino qualsiasi di parità di condizioni in un regime democratico liberista (vedi Toqueville, l'Introduzione del suo Denocrazia in America) trae origine ovviamente da un'assunzione di principio, da un partito preso (l'insindacabilità della libera iniziativa). Quindi la sua difesa in quanto modello deterministico della Natura o di Dio è indicativa di una posizione fortemente ideologizzata. Difatti le condizioni dei singoli in un regime democratico liberista non si rivelano mai di parità se non sulla carta, essendo una simile democrazia trainata e determinata unicamente (anche per definizione) dalla forza logistica del denaro. Il denaro, in discrete quantità, raggiunge e ottiene tutto, passa da un luogo sociale all'altro: dalla sanità alla giustizia al potere fino a insidiare le difese più vulnerabili e fragili del campo nemico. Così quando Jack Kennedy visitò nel 1963 Berlino Ovest, e pronunciò il suo famoso (dettato dall'alto, dalle grandi industrie) "Ich bin ein Berliner", e fu ripreso da tutte le televisioni davanti alla Porta di Brandeburgo, un entusiasta commentatore americano, con un timbro che a suo modo ricalcava gli entusiasmi dei colleghi italiani dell'Istituto Luce durante il Fascismo, disse che quella porta, che impediva il libero passaggio degli uomini (cioè delle merci) era l'immagine della degradazione dell'uomo sotto il comunismo, dimenticandosi, da superpagato megafono di regime, del degrado dei quartieri più socialmente insalubri delle grandi città americane, nei quali, anche ai suoi tempi, e anche volendo, non si poteva entrare se eri un outsider o se non c'eri nato.
La stessa cosa si può dire dei superpagati megafoni che popolano tanto più oggi i telegiornali di ogni regime democratico liberista (la totalità), con i loro Magnificat e i loro Te Deum "mitragliati" ininterrottamente dalla mattina alla sera e perfino la notte (il Te Deum laudamus viene stranamente cantato nella liturgia cattolica non continuamente, ma solo alla fine dell'Ufficio delle letture, in effetti prima delle Lodi vere e proprie, e non tutti i giorni, ma solo nelle festività, Quaresima esclusa, comprensibilmente).
giovedì 18 dicembre 2014
il caso Garlasco e la condanna tanto per condannare
A domanda precisa di un conduttore televisivo all'avvocato di parte civile del processo Garlasco - "Avvocato, avete mai considerato l'ipotesi che il colpevole non sia Stasi ma che possa trattarsi magari, come suggeriva il professor Bruno, anche di una donna?" - il legale risponde nella maniera più tipicamente disarticolata e sprovvista di pensiero, senza nessuna logica se non quella motivata da un partito preso, che dà sempre, in ogni occasione, un'idea di cosa è il convincimento ideologico e il fondare le accuse su ovvi motivi di parte. "Capisce", risponde il legale, "nel momento stesso in cui noi chiediamo di anazlizzare un capello - e noi non possiamo sapere di chi è questo capello - è evidente che la parte civile ha sempre cercato la verità ovunque; però quando ti precludono accertamenti che vanno a 360 gradi quali quelli di accertare di chi è un capello, è evidente che a questo punto noi ci concentriamo sul soggetto nei confronti del quale vi sono seri e concreti indizi, come riconosciuto dalla Cassazione: non è questione di essere prevenuti contro qualcuno o di fare un accanimento giudiziario. Il discorso è che noi da anni chiediamo accertamenti che vanno in questa direzione ma che se concessi potevano andare anche nell'altra direzione."
In sostanza sta dicendo: no, non siamo prevenuti, siamo semplicemente prevenuti. Che è poi quello che succede in tutti i processi indiziari, quelli le cui sentenze spesso fanno ridere i polli. Diceva giustamente Francesco Bruno, il criminologo invitato al talk show: "io sono orripilato, qui si sta chiamando indizio schiacciante l'assenza di sangue sulle suole delle scarpe, mi sarei aspettato il contrario."
In sostanza sta dicendo: no, non siamo prevenuti, siamo semplicemente prevenuti. Che è poi quello che succede in tutti i processi indiziari, quelli le cui sentenze spesso fanno ridere i polli. Diceva giustamente Francesco Bruno, il criminologo invitato al talk show: "io sono orripilato, qui si sta chiamando indizio schiacciante l'assenza di sangue sulle suole delle scarpe, mi sarei aspettato il contrario."
domenica 14 dicembre 2014
l'ironia e la mafia di Roma. Potentati economici a teatro
Non si riesce a capire in cosa consista l'ironia di un comico che prendendo spunto dagli scandali della "mafia romana" modifica una vecchia canzone - la società dei magnaccioni - e fa impazzire la rete. Ma i siti dei giornali titolano ancora e nuovamente: "si scatena l'ironia del web".
Credo di averlo già scritto: una società (lettori e produttori di babettii) che vuole fare della parola il centro della sua professione o dei suoi interessi e non conosce il senso più elementare dei termini di cui si serve è una società che dovrebbe quanto meno andare a ripulirsi. Qui oltretutto non è nemmeno beffa, perché i mafiosi se ne fregano della tua chitarra di libero cantore: qui è soltanto il tuo meschino amor proprio che non sa tenersi distante, non sa prendere le distanze (questa sarebbe ironia) da una situazione piuttosto squallida e penosa per alcuni (i contribuenti). Quello che conta è che i giornali facciano il tuo nome, proiettino la tua bella trovata: te ne frega assai che questi papponi abbiano pappato.
Così, quello che diceva Pasolini un po' prima di morire (contenuto in un messaggio postumo, purtroppo ai radicali): "siate sempre irriconoscibili" (il senso era che il potere contro il quale lotti, scrivi, canti si approria di te e del tuo impegno) è esattamente quello che non interessa a questo Dado, a questo ultimo comico "impegnato": il cui lavoro viene megafonizzato proprio dai quei grossi siti (Messaggero, Repubblica, Corriere) che con tali trovate riescono a pompare l'utenza e a portare ancora più acqua al serbatoio degli introiti (il Messaggero appartiene ai potenti Caltagirone, i noti ex palazzinari romani e oggi tra gli uomini più ricchi del pianeta) . Ecco la vera ironia sarebbe questa: che non solo non fai nessuna ironia, ma finsici per fare il gioco della parte che ha molti più soldi e interessi e ramificazioni economiche di coloro che attacchi. E sulla quale l'ironia del web difficilmente si scatena, perché è proprio questa parte a determinare ciò che è ironico e ciò che non lo è. E che comunque - a giudicare dall'ignoranza crassa della lingua - non lo sarebbe in nessun caso.
Credo di averlo già scritto: una società (lettori e produttori di babettii) che vuole fare della parola il centro della sua professione o dei suoi interessi e non conosce il senso più elementare dei termini di cui si serve è una società che dovrebbe quanto meno andare a ripulirsi. Qui oltretutto non è nemmeno beffa, perché i mafiosi se ne fregano della tua chitarra di libero cantore: qui è soltanto il tuo meschino amor proprio che non sa tenersi distante, non sa prendere le distanze (questa sarebbe ironia) da una situazione piuttosto squallida e penosa per alcuni (i contribuenti). Quello che conta è che i giornali facciano il tuo nome, proiettino la tua bella trovata: te ne frega assai che questi papponi abbiano pappato.
Così, quello che diceva Pasolini un po' prima di morire (contenuto in un messaggio postumo, purtroppo ai radicali): "siate sempre irriconoscibili" (il senso era che il potere contro il quale lotti, scrivi, canti si approria di te e del tuo impegno) è esattamente quello che non interessa a questo Dado, a questo ultimo comico "impegnato": il cui lavoro viene megafonizzato proprio dai quei grossi siti (Messaggero, Repubblica, Corriere) che con tali trovate riescono a pompare l'utenza e a portare ancora più acqua al serbatoio degli introiti (il Messaggero appartiene ai potenti Caltagirone, i noti ex palazzinari romani e oggi tra gli uomini più ricchi del pianeta) . Ecco la vera ironia sarebbe questa: che non solo non fai nessuna ironia, ma finsici per fare il gioco della parte che ha molti più soldi e interessi e ramificazioni economiche di coloro che attacchi. E sulla quale l'ironia del web difficilmente si scatena, perché è proprio questa parte a determinare ciò che è ironico e ciò che non lo è. E che comunque - a giudicare dall'ignoranza crassa della lingua - non lo sarebbe in nessun caso.
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bellezza e semplicità nella fisica
In un articolo del 1963 pubblicato su Scientific American e intitolato: "The Evolution of Physicist's picture of Nature" (sull'evoluzione dell'immagine che il fisico ha della natura), dedicato ai processi di simmetria e asimmetria delle equazioni, Paul Dirac dice che la simmetria quadridimensionale introdotta dalla teoria della relatività speciale non è esattamente perfetta ("is not quite perfect"), come apparirebbe dall'equazione della distanza invariante dello spazio tempo a quattro dimensioni
che può essere scritta anche invertendo i segni.
La mancanza di totale simmetria è nel fatto che il contributo della direzione temporale (c2dt2) non ha lo stesso segno segno del contributo delle tre dimensioni spaziali (- dx2 - dy2 - dz2 ).
Si tratta nel caso della relatività speciale di un fatto quasi irrisorio ("not quite perfect") eppure l'asimmetria sui segni più e meno resta lì, evidente.
Più in generale il fisico dovrebbe secondo Dirac lasciarsi guidare dall'intuito e dalla "bellezza" (beauty), anche quando i suoi calcoli non concordano con i risultati dell'esperienza, e questo perché potrebbe non aver apportato le necessarie correzioni. Quando Schrödinger elaborò la sua prima equazione d'onda, l'applicò immediatamente al comportamento dell'elettrone dell'atomo di dirogeno e i risultati non collimarono con i dati degli esperimenti. Ma, difatti, all'epoca non si sapeva che l'elettrone possiede un numero quantico (o spin).
Così dice Dirac, parodossalmente:
"Credo ci sia una morale in questa storia (quella di Schrödinger): che è più importante avere bellezza nelle proprie equazioni che non preoccuparsi che collimino coi dati degli esperimenti" (I think there is a moral to this story, namely that it is more important to have beauty in one’s equations than to have them fit experiment) e aggiunge:
"se Schrödinger avesse avuto più fiducia nel suo lavoro avrebbe potuto pubblicare la sua equazione d'onda molti mesi prima e in una forma più accurata" (If Schrodinger had been more confident of his work, he could have published it some months earlier, and he could have published a more accurate equation).
Il merito (ma che scopo ha il merito in ogni campo se non quello di alimentare l'onnipresente amor proprio) se lo presero (almeno sul piano relativistico) Klein e Gordon e così è conosciuta oggi l'equazione.
Ma ancora, il punto di tutta la questione è un altro: se sia giusto come dice Dirac lasciarsi guidare dalla bellezza in fisica:
"se si lavora prefiggendosi lo scopo di ottenere bellezza nelle proprie equazioni e se uno possiede un ottimo intuito allora si è sicuri che la strada è giusta" (It seems that if one is working from the point of view of getting beauty in one’s equations, and if one has really a sound insight, one is on a sure line of progress).
Probabilmente no, non è giusto: è vero che la maggior parte delle equazioni conosciute esercita sul piano dell'immagine e dell'immaginazione un'attrattiva che può lasciare, chi sa leggerle (anche in traduzione) senza fiato (e mi succedeva quando ero giovane studente di fiisica e prima di imbarcarmi per la tangente in tutt'altra direzione e tipo di studi, e mi succede ancora quando leggo un articolo specialistico di fisica - ma non si può dire quanto questo entusiasmo non sia dovuto al delirio, al fanatismo al gusto dell'osservatore della formula. E' giusto parlare invece di semplicità più che di bellezza. Non vi è niente di simmetrico nella formula del secondo principio della dinamica classica, newtoniana:
F = ma
qello che è vero è che è però di una semplicità sconvolgente. Ma l'equazione semplicità uguale bellezza lascia il tempo che trova: né bellezza è sempre semplicità né vale il contrario, e la dichiarazione di bellezza di un qualsiasi evento, apparizione eccetera è un fatto esclusivamente ideologico e manipolatorio (neanche soggettivo): così come un Giovanni Battista che predica nel deserto e mangia cavallette e si veste di pelli ispide appare bello in tutta la sua semplicità esclusivamente a chi ci vuol vedere la bellezza o a chi è stato educato a vedercela. Niente di naturalmente collegabile tra bellezza e semplicità. Pura ideologia.
ds2 = c2dt2 - dx2 - dy2 - dz2
che può essere scritta anche invertendo i segni.
La mancanza di totale simmetria è nel fatto che il contributo della direzione temporale (c2dt2) non ha lo stesso segno segno del contributo delle tre dimensioni spaziali (- dx2 - dy2 - dz2 ).
Si tratta nel caso della relatività speciale di un fatto quasi irrisorio ("not quite perfect") eppure l'asimmetria sui segni più e meno resta lì, evidente.
Più in generale il fisico dovrebbe secondo Dirac lasciarsi guidare dall'intuito e dalla "bellezza" (beauty), anche quando i suoi calcoli non concordano con i risultati dell'esperienza, e questo perché potrebbe non aver apportato le necessarie correzioni. Quando Schrödinger elaborò la sua prima equazione d'onda, l'applicò immediatamente al comportamento dell'elettrone dell'atomo di dirogeno e i risultati non collimarono con i dati degli esperimenti. Ma, difatti, all'epoca non si sapeva che l'elettrone possiede un numero quantico (o spin).
Così dice Dirac, parodossalmente:
"Credo ci sia una morale in questa storia (quella di Schrödinger): che è più importante avere bellezza nelle proprie equazioni che non preoccuparsi che collimino coi dati degli esperimenti" (I think there is a moral to this story, namely that it is more important to have beauty in one’s equations than to have them fit experiment) e aggiunge:
"se Schrödinger avesse avuto più fiducia nel suo lavoro avrebbe potuto pubblicare la sua equazione d'onda molti mesi prima e in una forma più accurata" (If Schrodinger had been more confident of his work, he could have published it some months earlier, and he could have published a more accurate equation).
Il merito (ma che scopo ha il merito in ogni campo se non quello di alimentare l'onnipresente amor proprio) se lo presero (almeno sul piano relativistico) Klein e Gordon e così è conosciuta oggi l'equazione.
Ma ancora, il punto di tutta la questione è un altro: se sia giusto come dice Dirac lasciarsi guidare dalla bellezza in fisica:
"se si lavora prefiggendosi lo scopo di ottenere bellezza nelle proprie equazioni e se uno possiede un ottimo intuito allora si è sicuri che la strada è giusta" (It seems that if one is working from the point of view of getting beauty in one’s equations, and if one has really a sound insight, one is on a sure line of progress).
Probabilmente no, non è giusto: è vero che la maggior parte delle equazioni conosciute esercita sul piano dell'immagine e dell'immaginazione un'attrattiva che può lasciare, chi sa leggerle (anche in traduzione) senza fiato (e mi succedeva quando ero giovane studente di fiisica e prima di imbarcarmi per la tangente in tutt'altra direzione e tipo di studi, e mi succede ancora quando leggo un articolo specialistico di fisica - ma non si può dire quanto questo entusiasmo non sia dovuto al delirio, al fanatismo al gusto dell'osservatore della formula. E' giusto parlare invece di semplicità più che di bellezza. Non vi è niente di simmetrico nella formula del secondo principio della dinamica classica, newtoniana:
F = ma
qello che è vero è che è però di una semplicità sconvolgente. Ma l'equazione semplicità uguale bellezza lascia il tempo che trova: né bellezza è sempre semplicità né vale il contrario, e la dichiarazione di bellezza di un qualsiasi evento, apparizione eccetera è un fatto esclusivamente ideologico e manipolatorio (neanche soggettivo): così come un Giovanni Battista che predica nel deserto e mangia cavallette e si veste di pelli ispide appare bello in tutta la sua semplicità esclusivamente a chi ci vuol vedere la bellezza o a chi è stato educato a vedercela. Niente di naturalmente collegabile tra bellezza e semplicità. Pura ideologia.
mercoledì 10 dicembre 2014
Il pendaglio da forca. Giuda salvato
All'interno delle primitive comunità cristiane la morte di Giuda Iscariota è un tipico esempio di ricerca di un sicuro capro espiatorio. Il tradimento è narrativamente - in funzione di exemplum - più appetibile della semplice sobillazione. In realtà il vero mandante del massacro e dell'omicidio di Gesù fu il sommo sacerdote Caifa, l'ipocrita ammantato di ricche vesti, il pupazzo che ossequiava i Romani e che pagò senza ritegno i trenta denari. Il vero pendaglio da forca, quindi, a rigore, non avrebbe dovuto essere Giuda ma Caifa, o meglio: Yosef Bar Kayafa: Giuseppe figlio di Caifa, altrimenti noto come Caifa. L'aver presentato come pendaglio da forca Giuda ha portato molta acqua al mulino della propaganda. Senza contare che se non ci fosse stato il suo sacrificio (cose dette e ridette dalle più serie riflessioni teologiche) non sarebbe stato possibile nemmeno il sacrificio di Cristo. Insomma la particolare fine di Giuda è un dato irrilevante della missione di Gesù e Giuda sarebbe stato anzi il primo a dover ricevere il perdono. La sua morte violenta (soprattutto in presenza di un pentimento) contraddice totalmente il piano salvifico e getta una luce aberrante, carica di retorica di bassa lega (manipolatrice), sul cristianasimo delle origini. E' una delle prime deviazioni dall'originario messaggio di Cristo.
venerdì 17 ottobre 2014
Tortura, investigazione, ricerca della verità
Non c'è dubbio che la mente greca si rivela (rispetto a quella latina) speculativa perfino nelle questioni più pratiche, in quelle più estreme, nelle questioni di vita o di morte. Così avviene senz'altro a proposito della tortura: basanos, basanizesthai (torturare, ma in origine confrontare - basanos è la cosiddetta pietra lidia, la pietra con cui si testa la purezza dell'oro; e l'origine è comunque ancora semitica: l'egiziano conserva bahan, una specie di scisto usato in questo stesso senso [vedi Chantraine s.v. e vedi basalto in italiano] e anche in ebraico bahan, confermare. Il latino ha semplicemente (già in epoca classica) crucio, inizialmente mettere sulla croce, che varrà poi in seguito quale termine tecnico per tortura.
Dunque originariamente l'uomo latino è affascinato dallo strumento in sé, dall'idea di morte, e lo è già prima di avere appreso la "verità" processuale: quindi dal quadro d'insieme, dall'effetto, dallo spettacolo: si pone direttamente come spettatore, alla maniera di quanto avviene oggi in America, un paese psicologicamente rimpicciolito dagli ultimi sviluppi del caso ebola, dove il pubblico ammesso alle esecuzioni capitali assiste incuriosito al dramma dei medici che iniettano merda farmaceutica nelle braccia di un loro simile, anche se solo dopo aver appreso la "verita": un pubblico ovviamente non visto da chi è nella stanza degli orrori, protetto (per ragioni di privacy - non si sa di chi) dalla classica finestra usata anche negli interrogatori di polizia, seduto in una serie di file come se si fosse al cinema (in questo senso, la Cina - la sedicente comunista Cina - si mostra invece giustamente oscurantista e bigotta: censura ogni divertimento, fa direttamente sparire i condannati a morte, nessuno sa come dove è quando verranno giustiziati: nemmeno i familiari sanno niente, e nemmeno il condannato a morte). A differenza quindi - in un caso come nell'altro - del greco, che vuole ancora e sempre e fino alla fine semplicemente sapere, sentir parlare, conoscere, mettere alla prova, investigare (e pur sapendo che come il suo cugino latino anche lui può torturare soltanto gli schiavi, i quali poi saranno pronti a giurare il falso pur di evitare la corda o qualche altro aggeggio, con buona pace del vero): l'uomo greco insomma, nonostante le ingenuità metodologiche connesse con ogni tipo di tortura, è attante, è soggetto conoscitivo attivo anche quando delega al torturatore (basanistes - lo stesso che inquirente) che agisce per suo conto nella camera della "prova" (basanisterion) coi suoi strumenti della "conoscenza" (basanisteria).
Basanizesthai è d'altra parte ampiamente usato in senso scientifico:
διόπερ εὐλόγως βασανίζεται ταῖς πείραις τό γε τῶν ἀνδρῶν, εἰ ἄγονον, ἐν τῷ ὕδατι (Arist., De generatione animalium, 747a)
perciò giustamente viene "testato" quello maschile (lo sperma) nell'acqua, per vedere se è sterile.
E in logica:
ἀπὸ τῶν πανταχόθεν βεβασανισμένων (Philodemus, De signis, 29).
da ciò che è stato provato in ogni maniera (inferenza).
L'uso figurato di basanizesthai nella critica e nella stilistica: contorto (da torcere), rappresenta invece un totale capovolgimento di prospettiva: dove c'è tortura non può esserci né verità né persuasione: vedi ad esempio quanto detto dei primi discorsi del giovane Demostene, agli inizi della sua carriera, quando l'assemblea del popolo ancora rideva a crepapelle di una sua certa goffaggine nell'espressione:
τοῦ λόγου συγκεχύσθαι ταῖς περιόδοις καὶ βεβασανίσθαι τοῖς ἐνθυμήμασι πικρῶς ἄγαν καὶ κατακόρως δοκοῦντος (Plu., Dem., 6)
sembrando il suo periodare confuso, troppo fastidiosamente contorto (torturato) ed eccessivo per l'uso di formalismi argomentativi.
Che è poi il difetto di tutti i principianti.
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domenica 12 ottobre 2014
L'inferno della continuità
La
continuità (così come il dettaglio) nuoce alla narrazione. Risulterebbe noioso e, oltre alle sorprese, toglierebbe
al lettore (come una parete interminabile e senza porte) la possibilità di infilarci o
anticipare qualcosa di suo, salvo ovviamente dover poi fare i conti con ciò che effettivamente sarà. Ma è il narratore il dominus:
ἔνθα τοι οὐκέτ' ἔπειτα διηνεκέως ἀγορεύσω,
ὁπποτέρῃ δή τοι ὁδὸς ἔσσεται (M, 56-57)
così Circe a
Ulisse circa la strada che dovrà prendere una volta passato il luogo delle
sirene.
διηνεκέως – continuamente, senza soluzione di continuità: vedi l’italiano
dall’inizio alla fine
La
continuità (o persistenza) è d’altronde un mito e un’illusione della percezione, la ragione per
cui l’individuo, guardandosi allo specchio, continua a vedersi sempre uguale a
tutte le età. Ma senza la rottura di questo mito della continuità non sarebbe
possibile nessun romanzo: le psicologie dei personaggi resterebbero immobili
dall’inizio alla fine, poca cosa per una storia che si svolga nell’arco di
poche settimane ma insostenibile a lungo termine. Ancora, ovviamente, il panta rei di Eraclito.
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