giovedì 18 dicembre 2014

il caso Garlasco e la condanna tanto per condannare

A domanda precisa di un conduttore televisivo all'avvocato di parte civile del processo Garlasco - "Avvocato, avete mai considerato l'ipotesi che il colpevole non sia Stasi ma che possa trattarsi magari, come suggeriva il professor Bruno, anche di una donna?" - il legale risponde nella maniera più tipicamente disarticolata e sprovvista di pensiero, senza nessuna logica se non quella motivata da un partito preso, che dà sempre, in ogni occasione, un'idea di cosa è il convincimento ideologico e il fondare le accuse su ovvi motivi di parte. "Capisce", risponde il legale, "nel momento stesso in cui noi chiediamo di anazlizzare un capello - e noi non possiamo sapere di chi è questo capello - è evidente che la parte civile ha sempre cercato la verità ovunque; però quando ti precludono accertamenti che vanno a 360 gradi quali quelli di accertare di chi è un capello, è evidente che a questo punto noi ci concentriamo sul soggetto nei confronti del quale vi sono seri e concreti indizi, come riconosciuto dalla Cassazione: non è questione di essere prevenuti contro qualcuno o di fare un accanimento giudiziario. Il discorso è che noi da anni chiediamo accertamenti che vanno in questa direzione ma che se concessi potevano andare anche nell'altra direzione."

In sostanza sta dicendo: no, non siamo prevenuti, siamo semplicemente prevenuti. Che è poi quello che succede in tutti i processi indiziari, quelli le cui sentenze spesso fanno ridere i polli. Diceva giustamente Francesco Bruno, il criminologo invitato al talk show: "io sono orripilato, qui si sta chiamando indizio schiacciante l'assenza di sangue sulle suole delle scarpe, mi sarei aspettato il contrario."

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