Non esiste un confine tra "fanatismo" e "non fanatismo": sono due facce (e fecce) della stessa medaglia. Al fanatismo dell'estremismo islamico ( nel '500 per esempio è il fanatismo del Cattolicesimo) corrisponde il fanatismo della scienza. Ha fatto più morti la pseudo scoperta del virus hiv, che non è stato mai isolato secondo standard procedurali (protocolli) accettati dall'intera comunità scientifica (non è possibile fornire un solo studio decente in questo senso nonostante le immagini al microscopio di un certo "retrovirus" - il problema è il funzionamento di un virus o retrovirus, non l'esistenza, o meglio, l'esistenza comporta sempre un funzionamento, un meccanismo, che può essere anche l'immobilismo, così come quando dico che un certo individuo ha preso il volo: lo posso dire solo perché conosco l'uso che viene fatto del verbo volare a seconda delle situazioni) di quante non ne (h)abbia fatte in questi giorni il delirio del fanatismo islamico. E' come avere un solo paio di scarpe: possono essere sporche o lucidate a specchio. Le scarpe sono le stesse. Sempre che non si voglia dire che un paio di scarpe sporche, nel momento in cui le lucido, non sono più la stessa cosa.
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sabato 28 febbraio 2015
domenica 13 luglio 2014
la scienza terrorizzata
Si potrebbero chiamare assolutisti tutti quei sistemi
filosofici (Cartesio compreso) la cui bestia nera è il relativismo. In tutte
queste filosofie, fino a Kant, il relativo
viene relegato al concetto aristotelico di modalità
in cui si predica l’essere nelle cose, cioè alla categoria. Ci sarebbe cioè impossibilità per la sostanza di accogliere contemporaneamente, in atto, le
differenze (o gli opposti, che ne sono un
caso particolare): ciò che porterebbe, se avvenisse, alla contraddizione suprema: una certa cosa non può, in sé, essere
contemporaneamente questo e quest’altro. Questo modo di pensare, che
sembrerebbe respinto dai sistemi filosofici più recenti (quelli che eliminano Dio dal sistema stesso)
è tuttavia ciò su cui continua a fondarsi il senso comune (lo stesso che giustifica l'esistenza dei manicomi), sorretto, in questo
suo errare, dal modo di vedere le cose che gli offre l’assolutismo
della scienza. La scienza non fa altro che assicurare che l’acqua è acqua e il vino è vino. Un vero terrore, quindi, il suo, tipico di tutti gli assolutismi: da un lato è costantemente afflitta dall'idea di un possibile crollo della sua impalcatura dogmatica (dovrà perciò continuamente dimostrare di essere nel giusto), dall'altro si illude di poter scuotersi di dosso questa afflizione facendo ricorso all'unico metodo che le è congeniale, quello del terrore "sistematico": terrorizzando, tentando di fare, in un certo senso, terra bruciata.
Il miracolo di Cana, nonostante sia stato recuperato all’interno
di un sistema dogmatico (la fede), in fondo non resta altro che una metafora: la
possibilità, se lo si vuole, di ribaltare ogni secondo proprio questa visione dogmatistica della
scienza. Insomma sarebbe più dogmatica la scienza che
la fede. Il vino può essere acqua e l’acqua può essere vino. Così come
il vino può essere sangue. Basta infatti che un solo individuo consideri quel vino nient'altro che sangue, che il caposaldo principe del metodo scientifico, l’induzione, vada a farsi friggere: non
posso più dire: poiché questo è vero per questo individuo, e per quest’altro e
per quest’altro ancora, fino al termine "n", allora è vero per tutti, e ne ricavo il concetto di osservatore scientifico obbiettivo. A un certo momento troverò l’individuo per cui ciò non sarà più
vero e quindi il metodo dovrà fondarsi per forza sulla statistica, che è l'unico strumento matematico con cui si possono descrivere i fenomeni della fisica atomica e nucleare, che fu anche il primo colpo ricevuto dal suo interno
dalla fisica classica: colpo che come si è visto, era stato inferto, per l'ennesima volta, in Occidente, due millenni prima dal miracolo di Cana (tutte le filosofie che accettavano il relativismo come struttura dell'essere l'avevano già fatto: Anassagora col suo tutto mescolato col tutto, Democrito e il suo vuoto e pieno presenti in maniera indifferente in qualsiasi parte della realtà eccetera).
Tanto che della scienza si potrebbe dire quello che dice Omero di Eurialo, il quale dopo essere stato colpito:
di qua e di là ciondolava il capo diversamente pensando (κάρη βάλλονθ' ἑτέρωσε· / κὰδ δ' ἀλλοφρονέοντα)
diversamente pensando, cioè dando i numeri - esempio citato da Aristotele nella Metafisica, nel libro IV, per confutare però non i preconcetti della scienza e il dogmatismo scientifico ma il relativismo.
Paradossalmente (e il miracolo è, classicamente parlando, un paradosso, un ribaltamento del senso comune) sono proprio i vangeli, con il loro apparente dogmatismo, a esprimere, nel corso di tutta l'era cristiana, il più spiritoso, leggero relativismo, a scuotere continuamente dalle fondamenta il battistero delle certezze (si rilegga da cima a fondo tutto il discorso della montagna).
di qua e di là ciondolava il capo diversamente pensando (κάρη βάλλονθ' ἑτέρωσε· / κὰδ δ' ἀλλοφρονέοντα)
diversamente pensando, cioè dando i numeri - esempio citato da Aristotele nella Metafisica, nel libro IV, per confutare però non i preconcetti della scienza e il dogmatismo scientifico ma il relativismo.
Paradossalmente (e il miracolo è, classicamente parlando, un paradosso, un ribaltamento del senso comune) sono proprio i vangeli, con il loro apparente dogmatismo, a esprimere, nel corso di tutta l'era cristiana, il più spiritoso, leggero relativismo, a scuotere continuamente dalle fondamenta il battistero delle certezze (si rilegga da cima a fondo tutto il discorso della montagna).
La lotta al relativismo, condotta dalle sentinelle del capitale (i grossi sistemi metafisici, a partire da Platone e Aristotele), è d’altronde comprensibile: mina, come un tarlo che si insinui nel legno, tutto ciò che l’uomo costruisce di
morale e religioso: i due strumenti sui
quali in ogni tempo si regge la nozione di accumulo, mutuata a sua volta dalla violenza della natura. Eppure, la
natura, vista dalla Terra, contiene alcuni antidoti contro la sua
stessa violenza. Uno di questi, come ho già scritto, è il principio femminile, l'altro è il relativismo. Nel momento in cui la natura
decide di farsi molteplice, allora è come se accettasse che il relativismo la
contraddica.
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giovedì 3 luglio 2014
L’uomo sempre arcaico. Nota su Wittgenstein etico II
“Wenn von der Majestät
des Todes ergriffen ist, kann dies durch so ein Leben zum Ausdruck bringen. –
Dies ist natürlich auch keine Erklärung, sondern setzt nur ein Symbol für ein
anderes. Oder: eine Zeremonie für eine andere.”
(Chi è afferrato dalla
maestà della morte può portare a espressione "questo" [la maestà della morte] attraverso una vita simile.
– Q u e s t o naturalmente non è una s p
i e g a z i o n e ma pone soltanto un
simbolo al posto di un altro. Oppure: una cerimonia al posto di un’altra).
Questa osservazione di Wittgenstein, nelle Note al Ramo d’oro di Frazer, dove si riferisce a un modello di vita che fai conti tutti i giorni con la sacralità della morte, potrebbe essere considerata una
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venerdì 27 giugno 2014
Il gioco del perché. Nota su Wittgenstein etico
La spiegazione scientifica è una tautologia. Non chiarisce
assolutamente niente che non sia già osservabile nell'evento correttamente descritto; rende al massimo ragione,
quantitativamente, di certi rapporti, permette attraverso una formula di
misurarli. Ossessionata in effetti la scienza dall’eliminazione del garante esterno, di Dio,
e dalla fuga della coscienza dalla trascendenza, e dovendo ripiegare su
se stessa, servirsi soltanto degli elementi che costituiscono il fenomeno, che altro può fare se non spiegare il fenomeno attraverso
il fenomeno stesso e incappare in un così elementare circolo vizioso che vedrebbe pure un bambino? la tanto
ventilata oggettività va a farsi friggere, se è vero che per produrre oggettività, per definzione, c’è bisogno
che gli elementi di un fenomeno siano osservati dall’esterno, ob-iectata, ripetutamente gettati davanti a sé, bisogna che non si
auto-descrivano, che non siano autorefenziali, che non trovino riferimento necessario e sufficiente in se
stessi. Dal che è anche ovvio, che
chiunque si vanti di possedere una vera oggettività, non fa che introdurre, di necessità, un
elemento trascendente all’oggetto osservato, cioè se stesso. In altri termini,
quell’assoluto che vorrebbe negare
Inoltre, come dice Wittgenstein (che però mi pare non si
accorge di cadere lui stesso nell’errore che critica) nelle sue Note sul Ramo d’oro di Frazer, è una
qualsiasi spiegazione (non solo in ambito scientifico) a essere superflua e quindi inutile.
“Ich glaube dass das Unternehmen einer
Erklaerung schon darum verfehlt ist,
weil man nur richtig susammenstellen muss, was man weiss, und nichts dazusetzen,
und die Befriedigung, die durch die Erklaerung angestrebt wird, ergibt sich von
selbst”.
"Credo che l’impresa di
dare una spiegazione è già per questo motivo sbagliata, perché bisogna
comporre soltanto ciò che si sa, e non aggiungere altro, di modo che la
soddisfazione che si cerca tramite la spiegazione, si dia da sé".
Insomma Wittgestein, seguendo se stesso, avrebbe dovuto limitarsi al solo enunciato: ogni spiegazione è sbagliata, "non aggiungere altro", non dare nessuna spiegazione.
In più, la spiegazione,
a differenza della composizione corretta degli elementi che di un fenomeno si
conoscono e del semplice prenderne atto,
non dà nessuna soddisfazione, e
questo è tanto vero che fin dalla notte dei tempi il bambino non si ferma mai
a un primo perché ma inizia a filare un'infinita interminabile catena. Il bambino domanda: perché, papà, questo fa questo? E il padre: perché è così e così. E il
bambino: e perché è così e così?, e il
padre: perché è collì e collì. E il
bambino: e perché è collì e collì? E
il padre: perché è collà e collà. E si
andrebbe avanti veramente all’infinito se il padre a un certo punto non si
mettesse a urlare. Il meccanismo è
ovvio: la spiegazione, ad ogni gradino ("every step of the way will find us with the cares of the world far behind us", dice la voce innamorata di Louis Armstrong), lascia il bambino insoddisfatto. Soltanto
quando il bambino avrà un quadro più completo, una composizione degli elementi
acquisiti, a quel punto (si spera) sarà adulto, non
avrà più voglia di fare domande, gli basterà quello che vede, troverà fastidioso
che gli si chieda il perché di
qualcosa e ancora più fastidiose e
inutili le risposte. Ma toccherà a lui, a quel punto, rispondere al figlio.
Prendere nuovamente parte, a ruoli
invertiti, al gioco perpetuo del perché.
mercoledì 25 giugno 2014
genio felicità e multinazionali
Il genio può facilmente
riconoscere il genio anche se, come tutti, non lo capisce. E questo appararire umano del genio, che riconosce l’altro
genio senza comprenderlo, fa brillare ancora di più la sua natura extra umana: il "dio" che si fa uomo, che dà giudizi come un qualsiasi altro uomo. Che è poi quanto succede a Wittgenstein, che nei suoi diari, all’entrata
del 24 novembre 1914, annota di aver ricevuto un libro di poesie di Trackl, il poeta espressionista austriaco, da poco, quasi trentenne, chiamato in cielo:
"Ficker sandte mir die Gedichte des armen Trakl, die ich für
genial halte, ohne sie zu verstehen. Sie taten mir wohl.
(Ficker mi ha inviato le poesie del povero Trackl, che considero geniali, anche se non le capisco. Mi hanno fatto bene).
E anche
altrove, nella lettera di ringraziamento a von Ficker di qualche giorno dopo (28.11.1914), Wittgenstein insiste su ciò che dovrebbe essere questo qualcosa in cui si riconosce il genio:
la possibilità (almeno pare di capire) che la sua azione nel mondo risulti benefica senza che se ne comprenda il meccanismo (un po’ alla stregua di un’erba officinale più che di un farmaco di una multinazionale, i cui meccanismi di
aggressione del corpo umano e del corpo delle povere cavie da laboratorio sono invece ben conosciuti e descritti quantitativamente, misurati dalla chimica e dalla biologia) :
“Ich verstehe sie nicht; aber ihr Ton beglückt mich. Es ist der Ton der
wahrhaft genialen Menschen”:
(Non le capisco ma il loro tono mi
rende felice. E’ il tono dei veri geni).
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