L'uomo e la donna non sono altro che scorregge e rutti. E' per questo che sono attività considerate senza valore: flatus vocis anique. E' il momento di massima coscienza dell'umano:
sed quom cogito, equidem certo idem sum qui semper fui (Sosia, nell'Anfitrione).
Ed è anche per questo che contemplandosi nel suo simile Sosia dice:
certe edepol, quom illum contemplo et formam cognosco meam,
quem ad modum ego sum (saepe in speculum inspexi) nimi' similest [mei
certo, quando lo guardo e riconosco il mio aspetto
proprio come sono io (e mi guardo spesso allo specchio) non c'è niente che è più simile a me
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mercoledì 18 marzo 2015
domenica 19 maggio 2013
thriller e filosofia
Una mia anziana amica che ha la
passione dell’approccio fenomenologico
alle opere d’arte, un giorno che era a Firenze dentro Santa Maria
Novella a osservare non mi ricordo quale affresco - forse la Trinità di Masaccio - si trova improvvisamente
accanto una coppia di sposini: lui con la guida aperta tra le mani a leggere alla sua dolce metà la descrizione di quello che hanno davanti, lei a fissare annoiata il pavimento. La cosa va avanti per un po', "la descrizione era lunga, con nomi e date". La
mia amica sopporta virtuosamente quel flusso inesauribile di parole, poi perde la concentrazione, alla fine inferocita strappa il libro dalle mani del ragazzo, lo chiude e intima, indicando l'opera, di guardare: “guardi! … guardi!”
L’approccio fenomenologico alle cose, se ho ben capito la spiegazione
che mi è stata data, dovrebbe consistere nel porsi davanti a un qualsiasi
oggetto e lasciare che l’oggetto ci parli. E un paio di giorni fa, visitando il
museo di Palazzo Massimo alle Terme a Roma e mettendomi vicinissimo di fronte al
busto di un auriga, fissando quel viso così realistico e soprattutto gli occhi e la
bocca, che stavo quasi per baciare, sono dovuto indietreggiare sgomento, tanta era
la potenza e il disprezzo che lo sguardo e le labbra esprimevano. Che quella
mia amica filosofa abbia ragione lei? sarà per questo che Michelangelo, secondo il noto aneddoto, avrebbe detto al suo Mosè, subito dopo averlo terminato, quelle famose parole, così taglienti e così rabbiose?
sabato 27 aprile 2013
I premiati cementifici anonimi
Giacomo Guardi - arco in rovina
Una volta ero con un’amica italiana, professore di filosofia
in America, facevamo una passeggiata in mezzo alle rovine di Roma (due nomi
che sembrano allitterare meravigliosamente). All'improvviso, con la sua bella voce profonda, indignata dalla tanta rozza presunzione dell'attuale modernità e affascinata dall'antichità traboccante di suggestioni in mezzo alla quale eravamo, esclama: “guarda tu che cosa hanno saputo lasciarci questi!”, e lo ripeté una seconda volta, ma questa volta accorata: “che cosa non c’hanno lasciato!” Io stavo per dirle:
“C’hanno lasciato le rovine!” Ma non lo feci, non volevo distruggerle quell’attimo d'emozione
che le veniva da un “apprendimento fenomenologico delle cose”, come lei lo chiama.
E' passato solo qualche anno, eppure, nonostante continui a preferire il moderno all'antico, mi viene di tanto in tanto da capovolgere tutto: mi viene da credere che due solide pietre da costruzione del primo secolo dell'era pagana, ideate e lavorate per rispondere a un salutare principio di ordine, riescano forse a dare anche oggi veramente più emozione di tutta quest’anarchia incontrollata dell’architettura contemporanea, di cui sono un cultore, ma i cui materiali, i cui elementi costruttivi escono dalle officine uno uguale all’altro. Non me n'ero mai accorto. Agli antichi sarebbero sembrati degli incredibili cloni di una stessa pianta. In greco clone significa appunto germoglio.
E' passato solo qualche anno, eppure, nonostante continui a preferire il moderno all'antico, mi viene di tanto in tanto da capovolgere tutto: mi viene da credere che due solide pietre da costruzione del primo secolo dell'era pagana, ideate e lavorate per rispondere a un salutare principio di ordine, riescano forse a dare anche oggi veramente più emozione di tutta quest’anarchia incontrollata dell’architettura contemporanea, di cui sono un cultore, ma i cui materiali, i cui elementi costruttivi escono dalle officine uno uguale all’altro. Non me n'ero mai accorto. Agli antichi sarebbero sembrati degli incredibili cloni di una stessa pianta. In greco clone significa appunto germoglio.
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