domenica 19 maggio 2013

thriller e filosofia




Una mia anziana amica che ha la passione dell’approccio fenomenologico alle opere d’arte, un giorno che era a Firenze dentro Santa Maria Novella a osservare non mi ricordo quale affresco - forse la Trinità di Masaccio - si trova improvvisamente accanto una coppia di sposini: lui con la guida aperta tra le mani a leggere alla sua dolce metà la descrizione di quello che hanno davanti, lei a fissare annoiata il pavimento. La cosa va avanti per un po', "la descrizione era lunga, con nomi e date". La mia amica sopporta virtuosamente quel flusso inesauribile di parole, poi perde la concentrazione, alla fine inferocita strappa il libro dalle mani del ragazzo, lo chiude e intima, indicando l'opera, di guardare: “guardi! … guardi!”



L’approccio fenomenologico alle cose, se ho ben capito la spiegazione che mi è stata data, dovrebbe consistere nel porsi davanti a un qualsiasi oggetto e lasciare che l’oggetto ci parli. E un paio di giorni fa, visitando il museo di Palazzo Massimo alle Terme a Roma e mettendomi vicinissimo di fronte al busto di un auriga, fissando quel viso così realistico e soprattutto gli occhi e la bocca, che stavo quasi per baciare, sono dovuto indietreggiare sgomento, tanta era la potenza e il disprezzo che lo sguardo e le labbra esprimevano. Che quella mia amica filosofa abbia ragione lei? sarà per questo che Michelangelo, secondo il noto aneddoto, avrebbe detto al suo Mosè, subito dopo averlo terminato, quelle famose parole, così taglienti e così rabbiose?

Nessun commento:

Posta un commento