mercoledì 29 maggio 2013

L'ossimoro



Dice Plutarco, descrivendo l'aspetto di Alessandro il Grande, che le statue di Lisippo lo ritraevano con quelle stesse caratteristiche che a detta di chi l'aveva conosciuto saltavano immediatamente agli occhi: “la testa (il collo, dice Plutarco) leggermente inclinata a sinistra e poi la dolcezza degli occhi” (tin t‘anàtasin tu afchénos is evònimon isichì kekliménu kè tin higròtita ton ommàton – trascrivo il greco di Plutarco seguendo pronuncia del greco moderno, considerando priva di ogni fondamento epigrafico e filologico la pronuncia erasmiana, quella insegnata ancora oggi nelle scuole). Alessandro si presenterebbe quindi, ai noi lettori della Vite, come un ossimoro: una contraddizione in termini, un sorta clash delle sue parti costituenti: l’aspetto fisico e quello quello morale: dolcezza e abbandono da un lato, valentia militare dall'altro.


Non saprei dire se avevo in mente proprio Plutarco quando a un giudice della Procura di Venezia facevo descrivere per la prima volta Marco Noto, il poliziotto a capo della mobile di quella città nel mio Un valzer per Alfredo. In effetti, anche Marco Noto è personaggio eroico, e quando cammina piega leggermente la testa di lato, un po' come sua madre. Gli manca soltanto l'amabilità degli occhi, anche se un lettore ha definito l'insensibilità di questo personaggio soltanto apparente e sarebbe al contrario presente in un certo sguardo che porta sulle cose, sulle persone. Inoltre è strabico: uno strabismo divergente, cosa che tiene il posto di una non voluta ambiguità, e forse dolcezza. Per non parlare dei capelli, che a trentacinque anni ha bianchi e neri, sale e pepe. Ma basterebbero solo questi occhi che divergono a introdurre anche qui il concetto di ossimoro. 

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