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giovedì 24 marzo 2016

La "morte" di una schiava e il cinema degli antichi

Bisognerebbe ammettere che tuttosommato gli ateniesi - e già a partire dal quinto secolo - un qualche sforzo per riconoscere l' "umanita" degli schiavi lo fecero, tanto è vero che quando ne veniva ammazzato uno, un eventuale processo si teneva nel Tribunale del Palladio, lo stesso che per gli stranieri, i metechi, e questo in accordo col sommo disprezzo che gli ateniesi e in generale i greci mostravano per tutto ciò che era estraneo alla purezza della polis. Non si sa quanto tali processi fossero affollati, ma anche lì non doveva mancare il divertimento, i colpi di scena, come si legge per esempio in un'orazione comunemente attribuita a Isocrate, ma sicuramente non sua, dove una schiava di cui si era falsamente denunciato l'omicidio (che fine aveva fatto il corpo?) e nascosta invece dagli accusatori, viene presentata dall'accusato viva e vegeta proprio durante il dibattimento:

Μάχης δ' αὐτοῖς γενομένης, ὑποκρυψάμενοι θεράπαιναν ᾐτιῶντο τὸν Κρατῖνον συντρῖψαι τῆς κεφαλῆς αὐτῆς, ἐκ δὲ τοῦ τραύματος φάσκοντες ἀποθανεῖν τὴν ἄνθρωπον λαγχάνουσιν αὐτῷ φόνου δίκην ἐπὶ Παλλαδίῳ. Πυθόμενος δ' ὁ Κρατῖνος τὰς τούτων ἐπιβουλὰς τὸν μὲν ἄλλον χρόνον ἡσυχίαν ἦγεν, ἵνα μὴ μεταθεῖντο τὸ πρᾶγμα μηδ' ἑτέρους λόγους ἐξευρίσκοιεν, ἀλλ' ἐπ' αὐτοφώρῳ ληφθεῖεν κακουργοῦντες· ἐπειδὴ δ' ὁ κηδεστὴς μὲν ἦν ὁ τούτου κατηγορηκὼς, οὗτος δὲ [ὁ] μεμαρτυρηκὼς ἦ μὴν τεθνάναι τὴν ἄνθρωπον, ἐλθόντες εἰς τὴν οἰκίαν, ἵν' ἦν κεκρυμμένη, βίᾳ λαβόντες αὐτὴν καὶ ἀγαγόντες ἐπὶ τὸ δικαστήριον κτλ. (In Cal., 52-53)

Essendo seguita una rissa [era questione di un terreno] nascosero una schiava e accusarono Cratino di averle spaccato la testa, e dissero che a causa della ferita la donna era morta. Intentarono perciò causa a Cratino di fronte al tribunale del Palladio. Cratino, avendo saputo delle loro beghe, non disse niente, si mantenne per tutto il tempo tranquillo, in modo che quelli non escogitassero qualcosa [probabilmente che ammazzassero loro la schiava] o inventassero un'altra storia, e in modo da prenderli in flagranza. Poi dopo che il cognato [di Callimaco] ebbe ribadito la sua accusa e che Callimaco ebbe testimoniato che la donna era morta, [Cratino e i suoi] andarono nella casa dove la donna era nascosta, l'afferrarono con la forza e la portarono in tribunale ecc.



sabato 19 marzo 2016

Le eiaculazioni dei castrati del pensiero

Sarebbe difficile dare un senso alle oscene eiaculazioni sinaptiche di tanti esperti e "conoscitori" del mondo antico se non ci si vedesse quella tipica tendenza all'idiozia da cui è affetto da sempre il mondo accademico. L'entusiasmo senza riserve per questo o quest'altro autore a cui si attribusice "profondità" di pensiero è una manifestazione di una idiosincrasia al contrario, di una immoderata simpatia, non potrà mai contare su ragioni obbiettive, non è altro che conseguenza di infatuazioni pseudoideologiche. Leggere e rileggere autori greci e latini va bene finché non ci si dimentica che erano epoche (e autori) che fondavano il loro benessere su un feroce sfruttamento della manodopera schiavistica. Platone o Aristotele, Demostene o Cicerone, Catullo, Cesare, Lisia o Isocrate, Antifonte, Erodoto, Senofonte, Sallustio, Tucidite o Tacito, Pindaro, Alceo, Anacreonte e chi più ne ha ne metta non provavno nessunissima vergogna a utilizzare la parola schiavo, a maneggiare, accettando lo stato di cose, la nozione di non libero. Non se ne salva nessuno. Il Cattolicesimo trae forza unica da Platone e Aristoetle (a entrambi nella storia del pensiero, pone fine soltanto Cartesio), ancora nei Dialoghi e nelle Lettere di Gregorio Magno, che scrive in veste di pontefice, si potrebbero citare decine di riferimenti al patrimonio della Chiesa, al "va bene così", alla sua accettazione di una struttura agraria che si regge sullo stesso tipo di sfruttamento che li aveva preceduti nel mondo pagano. L'ipocrita Agostino non la passa liscia quando in una lettera a Alipio di Tagaste (appartiene all'ultimo periodo) pare soltanto scagliarsi contro i mangones (mercanti di schiavi), in realtà riproponendo da cima a fondo il sistema libero/schiavo:

Nam vix pauci reperiuntur a parentibus venditi quos tamen non ut leges Romanae sinunt ad operas viginti quinque annorum emunt isti, sed  .... (CSEL, 10)

Se ne trovano pochissimi che siano stati venduti (legalmente) dai genitori e che (i mangones) comprano per farli lavorare non venticinque anni, come richiedono le leggi romane ma ...

Basterebbe questo "scambio privato" tra un futuro santo e un vescovo a far apparire la malafede pure in tutte le altre cose che ha scritto (altro che Confessioni), non ci sarebbe nemmeno bisogno di leggere se l'idea è di farne apologia.

Ciò che rese grande la Grecia e grande Roma,e poi il Cattolicesimo, non fu altro che lo stesso meccanismo (più evidente perché più vicino) che ha reso grande la scorreggiante America bianca o che rese ricco lo scorreggiante Sudafrica bianco all'epoca dell'Apartheid. Non c'è semplicemente nessuna ragione "umanistica", di superiorità dell'uomo sulla bestia, nessuna ragione di andare fieri del pensiero antico, di visitare Atene e commuoversi sull'Acropoli perché è lì che si sentono le origini del pensiero occidentale, o andare a Delfi a respirare il soffio magnetico di Apollo, o sedersi su un pezzo di tufo al Foro a Roma e piangere di commozione dentro una confezione di kleenex, così come non c'è nessuna ragione di andare fieri del "pensiero" moderno o contemporaneo, che fonda la sua libertà parolaia sui milioni di morti sul lavoro che si registrano ogni anno in tutto il mondo (circa due milioni, comprese le morti per malattie professionali). Parlare dei quali oltre un certo limite non attirerebbe audience.

L'unico grande evento memorabile nell'antichità fu la rivolta di Spartaco, un gruppo di schiavi che anelarono alla libertà. A parte questo, non successe niente.

mercoledì 30 luglio 2014

ancora su Eraclito: prendere i pidocchi



 Il migliore c’ha la zella, nel senso di sporcizia, tigna, quindi miseria, lo stesso significato a Roma come a Napoli, e a Roma significa anche sfortuna, jellache zella! che sfortuna! Ma a Napoli significa anche calvizie ten a zell! è calvo!

Così, a Roma, vale paradossalmente anche pidocchioso – i capelli sono il posto dove i pidocchi attecchiscono. Con riferimento quindi ancora a testa, capo, non però nel senso che potevano avere anticamente, in Eraclito, per esempio, che rimanda piuttosto alla capacità intellettiva. Vedi il noto frammento in cui è questione di Omero e i pidocchi e l’indovinello che gli posero dei ragazzini: 

e dice (Eraclito) che “s’ingannano gli uomini nella conoscenza delle cose evidenti alla maniera di Omero, che fu il più sapiente tra gli Elleni. Alcuni bambini infatti che stavano uccidendo dei pidocchi lo ingannarono, gli dissero: ciò che sappiamo e prendiamo lo lasciamo, ciò che non sappiamo né prendiamo lo portiamo".

ἐξηπάτηνται>, φησίν, οἱ <ἄνθρωποι πρὸς τὴν γνῶσιν τῶν φανερῶν παραπλησίως Ὁμήρωι, ὃς
ἐγένετο τῶν Ἑλλήνων σοφώτερος πάντων. ἐκεῖνόν τε γὰρ παῖδες φθεῖρας κατακτείνοντες ἐξηπάτησαν εἰπόντες· ὅσα εἴδομεν καὶ ἐλάβομεν, ταῦτα ἀπολείπομεν, ὅσα δὲ οὔτε εἴδομεν οὔτ' ἐλάβομεν, ταῦτα φέρομεν.

“preso”m nel doppio significato di prendere (i pidocchi) e apprendere - e vedi sul relativismo di Eraclito quanto accennato altrove.




giovedì 2 maggio 2013

Amor ch'a nullo amato




Mi viene da pensare che (conoscendo come vanno le cose nel mondo) è sempre vero che in amor vince chi fugge, non c'è possibilità di errore. Che si tratti cioè di una di quelle leggi della psicologia umana che restano oltretutto inalterate nel tempo. Quello che invece non sappiamo è se, parlando dell'amore di Dio, nel senso di amore che si ha per Dio, valga la stessa legge. Chiunque provi questo tipo di amore dovrà aspettare, sperare: e speranza  significa in latino, come anche in greco, attesa; di sicuro al termine di una lunga attesa sarebbe non facile, non bello, dover prendere atto che chi è fuggito dal divino, così come sulla terra, ne abbia al contrario conquistato l'amore e che questa legge non solo è universale ma ci si conforma anche il creatore dell'universo. E si potrebbero far rientrare, nei discorsi sull’amore, anche le tante riflessioni, odierne o passate, sull'amor di patria: il nemo propheta in patria - questione non da poco - è un esempio di come la stessa legge dell'amore dei sensi valga anche nell’etica. Andocide, famoso personaggio dei tempi di Pericle, di qualche anno più giovane di Alcibiade, venne colpito da una serie di disgrazie civili, una dietro l’altra, con vari esili tutti documentati, e ogni volta cercò di rientrare ad Atene, provò a riconquistarsi sempre senza troppo successo l’amore della sua città.

                                          Laocoonte, copia in porcellana - foto LuciusCommons

Devo ammettere non ho mai avuto molta simpatia per questo personaggio - e forse più che per l’uomo, per ciò che ancora oggi il suo più conosciuto gesto può moralmente significare, se è ormai appurato che per salvarsi da una condanna a morte denunciò dei "presunti" colpevoli nel famoso scandalo delle erme. Dice Andocide, nella celebre orazione detta Sopra il suo ritorno, parlando agli ateniesi e tentando di dimostrare che il suo amor di patria era sincero: “mi accorsi a un certo punto che la cosa migliore per me era di restarmene lontano e comportarmi in maniera tale da farmi vedere il meno possibile”. Non gli andò bene. Gli ateniesi fiutarono la malafede, un falso nascondersi, un falso fuggire. Il fatto curioso, nel caso di Andocide, è che se pure lo vediamo nutrire speranze, “aspettative", non doveva mancargli un certo ironico senso del reale. Quel suo farsi vedere il meno possibile si sarebbe rivelato il suo più vero destino; e dopo il definitivo esilio mi pare nel 392 se ne perdono definitivamente le tracce, non si saprà più niente di lui. Così, questo essere fuggito per sempre gli è giustamente valso in seguito, in epoca alessandrina, l’amore e la stima della sua nazione se fu inserito nella lista dei dieci più importanti oratori attici, anche se venne messo all’ultimo posto.