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venerdì 29 maggio 2015

Man's journey towards ease and grace

The majority is always wrong. It is the most attractive aspect of democracy. Bad rulers are reelected, after all. The crowd waffles, cheers for one and then switches sides and root for the other. Such flagging has no effect on one's journey towards social and personal betterment, every scum politician knows itThis dialectical exchange of views may be compared with the disposition in prose or poetry of a single colon into two commata of approximately equal length (see Denniston). There’s barely a perceptible pause between them. It makes for ease and grace.




giovedì 26 marzo 2015

democracy vs democracy

Stifling one's disagreement, or worse yet getting lured into the views of an insane morality, since those are the only ideas allowed, and no alternative views are aired, would be a suitable definition of current “selling democracy”. If you voice your disagreement in a “sell” thread you will be warned for it immediately.

lunedì 29 dicembre 2014

"sono un berlinese" se ho la pancia piena. "Te Deum" della democrazia

Repubblica Democratica Italiana - Secondigliano


 L'idea dell'esistenza per il cittadino qualsiasi di parità di condizioni in un regime democratico liberista (vedi Toqueville, l'Introduzione del suo Denocrazia in America) trae origine ovviamente da un'assunzione di principio, da un partito preso (l'insindacabilità della libera iniziativa). Quindi la sua difesa in quanto modello deterministico della Natura o di Dio è indicativa di una posizione fortemente ideologizzata. Difatti le condizioni dei singoli in un regime democratico liberista non si rivelano mai di parità se non sulla carta, essendo una simile democrazia trainata e determinata unicamente (anche per definizione) dalla forza logistica del denaro. Il denaro, in discrete quantità, raggiunge e ottiene tutto, passa da un luogo sociale all'altro: dalla sanità alla giustizia al potere fino a insidiare le difese più vulnerabili e fragili del campo nemico. Così quando Jack Kennedy visitò nel 1963 Berlino Ovest, e pronunciò il suo famoso (dettato dall'alto, dalle grandi industrie) "Ich bin ein Berliner", e fu ripreso da tutte le televisioni davanti alla Porta di Brandeburgo, un entusiasta commentatore americano, con un timbro che a suo modo ricalcava gli entusiasmi dei colleghi italiani dell'Istituto Luce durante il Fascismo, disse che quella porta, che impediva il libero passaggio degli uomini (cioè delle merci) era l'immagine della degradazione dell'uomo sotto il comunismo, dimenticandosi, da superpagato megafono di regime, del degrado dei quartieri più socialmente insalubri delle grandi città americane, nei quali, anche ai suoi tempi, e anche volendo, non si poteva entrare se eri un outsider o se non c'eri nato.

La stessa cosa si può dire dei superpagati megafoni che popolano tanto più oggi i telegiornali di ogni regime democratico liberista (la totalità), con i loro Magnificat e i loro Te Deum "mitragliati" ininterrottamente dalla mattina alla sera e perfino la notte (il Te Deum laudamus viene stranamente cantato nella liturgia cattolica non continuamente, ma solo alla fine dell'Ufficio delle letture, in effetti prima delle Lodi vere e proprie, e non tutti i giorni, ma solo nelle festività, Quaresima esclusa, comprensibilmente).

sabato 11 ottobre 2014

Quel traditore di Ottaviano Augusto e gli scrittori di regime

Se l'orgoglioso Dante non si fosse fatto guidare dalla sua ideologia fondamentalista e teocratica (che una critica ridicola chiama "dottrina storica") e al posto di Cassio e Bruto avesse meso nelle fauci di Lucifero Ottaviano Augusto e Marco Antonio avrebbe fatto migliore e più giusta scelta, perché se ci furono traditori negli anni in cui cadeva la Repubblica (strumento, a sua volta, di latifondisti dallo stomaco senza fondo) proprio questi due furono i sommi, insieme ovviamente a Giulio Cesare - in epoca, oggi, in cui ognuno si riempie la bocca (e a vanvera) del termine democrazia (in termini moderni aveva iniziato Toqueville, con la sua convinzione di una, verrebbero accusati tutti e tre di attentato alla Costituzione e alto tradimento e se acciuffati prima di un capovolgimento delle sorti verrebbero in alcuni paesi perfino impiccati o fucilati. Così, il comune di Roma farebbe bene a cambiare il nome a piazza Augusto Imperatore e operare finalmente, su questa figura di bigotto ipocrita oltre che di feroce assassino, quella damnatio memoriae eterna che da due millenni le vittime dell'arbitrio si attendono; e la stessa cosa dovrebbe fare qualsiasi altra città nella cui toponomastica ricorre il nome di questo grissino erede di Cesare, il quale deve il potere unicamente a un attimo di stupidità di un Cicerone ormai provato e vecchio. Va da sé che insieme a lui cadrebbero anche Virgilio e Orazio, visto che la loro opera, la conoscenza della loro opera, è dipesa unicamente dal megafono di regime di questo traditore della sua patria.

Fece perciò bene questo sommo traditore a dire al nipote che di nascosto leggeva Cicerone - se l'aneddoto narrato da Plutarco è vero - che non c'era da vergognarsi, perché "era un uomo intelligente e amante della patria". Tanto amante della patria che lo fece ammazzare senza pietà e permise che i sicari di Marco Antonio, il suo degno e avvinazzato compare, gli mozzassero la testa e le mani, che facessero scempio di quel povero vecchio corpo. Tutte le altre fandonie, riportate anche da Plutarco, che Ottaviano avesse tentato per tre giorni (contrastando Marco Antonio) di salvargli la vita è tutta robaccia retorica che non è nemmeno degna di essere presa in considerazione da una qualsiasi storiografia che si rispetti.

E peccato ancora che Dante non abbia potuto citare proprio il Plutarco della Vita di Cicerone, la pagina finale in cui si commenta il modo disgustoso in cui Ottaviano, Marco Antonio e quel terzo pupazzo di Lepido si spartirono il potere con quelle loro private liste di proscrizione (l'edizione di Plutarco di Massimo Planude era proprio degli anni in cui veniva scritta la la Divina Commedia, e comuqnue Dante non conosceva il greco) e se l'avesse letta, fosse anche in latino, avrebbe comunque strappato quella pagina che non sarebbe tornata comoda alla sua delirante ideologia delle due massime potestà preordinate da Dio e di cui Cesare sarebbe stato l'incarnazione di quella imperiale:

Così per la rabbbia e il furore caddero fuori dalla ragione umana, e piuttosto dimostrarono come non vi sia belva più selvaggia dell'uomo quando alla passione aggiunge il potere.

(οὕτως ἐξέπεσον ὑπὸ θυμοῦ καὶ λύσσης τῶν ἀνθρωπίνων λογισμῶν, μᾶλλον δ' ἀπέδειξαν ὡς οὐδὲν ἀνθρώπου θηρίον ἐστὶν ἀγριώτερον ἐξουσίαν πάθει προσλαβόντος. Plu., Cic., 46,6)










mercoledì 24 settembre 2014

il giuramento di Ippocrate e i cinque e più traditori

Il bollettino medico con cui si annunciava la morte di una delle più sanguinarie fecce della storia recitava testualmente:

"Comunichiamo la dolorosa morte dell'ex presidente della repubblica ed ex comandante in capo dell'esercito eccetera" (sedicente presidente della repubblica e automaticamente decaduto dalla carica di comandante in capo dell'esercito nel momento stesso in cui insieme agli altri tre supremi vigliacchi traditori del suo paese tradì il giuramento di fedeltà fatto nelle mani dell'ultimo legittimo presidente che quel paese abbia avuto prima delle nuove, chiamiamole così, democratiche elezioni).

E sarà stata una morte anche più che dolorosa per questo medico che, prestato in gioventù un altro universale giuramento, quello di Ippocrate - "vivrò per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio..." - non poté non redigere il triste bollettino annacquandolo delle private lacrime del suo libero arbitrio - molto meno penosa per i parenti delle migliaia di desaparecidos e vittime di un regime che godeva (come sempre ogni regime capitalistico e fascista) del beneplacito della Chiesa Cattolica (se si escludono le eroiche frange della Teologia della Liberazione ampiamente avversate dall'allora papa e dalla sua curia o cricca, soprattutto da un certo segretario di stato traditore della lettera evangelica e a cui Dante avrebbe riservato il posto che riservava tutti i traditori di qualsiasi risma).

E non solo i parenti, ma una grossa porzione del paese avrà festeggiato in quel triste nero luttuoso giorno per i carnefici. Così come alla morte di Filippo gli ateniesi (anche coloro che con Filippo in vita non gli erano avversi e contro la viltà dei quali si scaglia Pluatrco) festeggiarono con a capo l'unico vero nemico e avversario di Filippo, Demostene, che si presentò alle celebrazioni per ringraziare gli dei tutto in ghingheri e con una bella veste sgargiante e inghirlandato (ἔχων λαμπρὸν ἱμάτιον ἐστεφανωμένος).

Quello che invece non si capisce è come abbia fatto, alla morte di quella sanguinaria canaglia, l'allora presidente socialista, che assieme ai suoi familiari venne sottoposto per ordine di quegli infami traditori alle più abbiette torture, a cedere a pressioni esterne e a far presenziare ai funerali di questo assassino e genocida il ministro della difesa del suo governo. Il quale venne poi giustamente fischiato da bande di migliaia di fascisti arricchitisi negli anni della dittaura e radunati a dare l'estremo saluto alla canaglia delle canaglie.


lunedì 8 luglio 2013

Tacita democrazia, ellissi e manipolazione



Dice Tacito, nel libro quindicesimo degli Annali, che le persecuzioni dei cristiani volute da Nerone (usati anche come torce umane) facevano nascere nella cittadinanza un nuovo sentimento di

martedì 16 aprile 2013

Elezioni on-line e il Cimitero dei grillini


                                         Cimitero degli Inglesi a Roma - foto di LuciusCommons


Dice Grillo che “Roma è il cimitero della democrazia”. Mi pare che abbia detto proprio così, superando in inventiva e brio perfino la famosa guida turistica del Time Out, che se in passato arrivò a maltrattare brutalmente Roma, a chiamarla senza mezzi termini città di vecchi e di giovani nati già vecchi, non si era però ancora spinta a tanto ... Non che la guida del Time Out pisciasse fuori del vaso, ma poi, vuoi perché Roma è sempre Roma, vuoi perché adesso, oltre all'Auditoriun di Renzo Piano, c'è pure il MAXII di Zaha Hadid, l'architetto anglo iracheno, e la Teca d Richard Meier, Time Out alla fine ha dovuto per forza far marcia indietro, e nella seconda recente edizione ha finito per parlare di Roma con molta meno acrimonia e perfidia.

A Roma in realtà ci sarebbero tre distinti cimiteri: il Verano, che è quello storico, monumentale, tipica città nella città; c'è Prima Porta, che è la vera città dei morti, e che un mio amico, guardandola una sera dal suo attico a Settebagni, osservando a distanza le palazzine coi loculi mentre eravamo a cena qualche anno prima che morisse, definì "un vero obbrobrio" - e almeno sono contento che non ci sia finito anche lui, che sia stato portato in un cimitero di paese, in un’antica tomba di famiglia - dovettero tra l’altro allungare il loculo per farci entrare la bara. Un po’ come ai tempi di Keats, che aveva una delle sue case a Londra, in Keats Drove, a Highgate, non mi ricordo se la sua casa natale. E entrando a visitare la camera da letto, mi ricordo ci trovai due simpatiche turiste leccesi, due professoresse, che sembravano impressionate dalle dimesnioni del letto, "sembra il letto di uno dei sette nani". Lo chiamarono pure "tisico", il povero Keats. E fecero, alla fine, anche commenti sulle sue "dubbie capacità amatorie". Siccome questa non l'avevo capita, mi informai e una delle due mi disse: "ah , italiano?" e tutti e tre scoppiammo a ridere.

C’è poi a Roma il piccolo grazioso “Cimitero degli inglesi”, dove appunto è sepolto Keats e dove ci sono anche le ceneri di Gramsci ... 

Riconosco di non aver capito il senso della metafora di Grillo. Sono duro di comprendonio. Non capisco in che modo la intenda. Se voglia dire che Roma è un cimitero nel senso di luogo, dove ci sono tutti i morti prodotti dalla democrazia; oppure se la intenda in senso soggettivo: dove si trovano cioè le spoglie della democrazia (in questo caso quindi anche le sue e dei suoi); oppure se voleva dire che a Roma è impossibile che la democrazia possa funzionare. Ma sì, forse vuoleva dire questo. Quello che è certo è che Roma, come mi diceva un amico neozelandese in un pub di Londra, è la città del compromesso, della politica per eccellenza. E dell’accettazione di tutto e tutti. Anzi è una città di tutti. Quindi non mi meraviglierei se un giorno, facendone i grillini richiesta, il consiglio comunale dovesse votare all'unanimità (come è tipico di questa generosa città) la concessione di un qualche lotto o appezzamento di terra, che loro stessi, i grillini, a quel punto immagino vorranno chiamare Albergo a cinque stelle: cimitero dei grilli e delle cavallette. In fondo se Roma ha dato un cimitero agli inglesi non vedo perché non debba darne uno anche a chi si definisce, nel proprio statuto, italiano. E in effetti il cri cri dei grilli c'era anche in una famosa canzone romana. E visto poi che il comune di Roma in questi giorni sta implementando il servizio Wi-Fi sugli autobus, sui tram e sui treni della metro, prima o poi finirà per autorizzarlo pure nei cimiteri. Perché sembra impossibile immaginare un cimitero dei grillini dove le tombe siano sprovviste di notebook per gli amici e familiari che vanno a far visita agli estinti, che si vedano negati il diritto di far eleggere on line i loro rappresentanti dell’oltretomba.