mercoledì 24 dicembre 2014

il pellicano e il destino dell'uomo. dal deserto alla piscanalisi




foto Yuru Belyaev


Il pellicano, detto anche spatola, è sicuramente, nel bene o nel male, uno di quegli uccelli che in ogni tempo, per la curiosa forma che può assumere il becco, si presta meglio di altre creature a rappresentare l'uomo, anche se poi, nelle diverse culture, ciò avviene secondo rappresentazioni differenti e diverse - ad esempio nei salmi è l'immagine  dell'uomo sofferente, abbandonato da Dio:


דמיתי לקאת מדבר  (damithi liq'ath midhbar)

 somiglio a un pellicano del deserto (102, 6)

קאת (qe'ath) - pellicano - viene da alcuni collegato a קיא (qi') vomitare (così almeno il Brown-Driver-Briggs, per il quale il pellicano vomiterebbe dal gozzo il cibo per i suoi pulcini) ma forte è il sospetto che sia invece da unirsi a  קבב (kabab - pronunciato kavàv): rendere cavo, formare, costruire una volta, un arco, con riferimento a una tenda e quindi, credo, al gozzo; ma il verbo vale anche metaforicamente: maledire, esecrare - propriamente: perforare: col che si  ritorna all'idea del lungo becco appuntito. Insomma tutte immagini che in qualche modo, in ogni epoca, si adattano all'uomo e al suo continuo movimento interno/esterno, così come nel tardo ebraico si trova per esempio, sempre agganciato a questa radice, קוּבה, (qubba) lupanare, evidentemente prossimo all'arabo قبة  - qubba (alcova) [e tuttavia la "u" è lunga in ebraico e breve in arabo], comunque luogo chiuso e provvisto di volta (vedi anche l'italiano case chiuse ma anche l'idea del letto a baldacchino).

Nel mondo cristiano il pellicano (termone che tra l'altro proviene dal greco πέλεκυς, ascia - la forma del becco in certi momenti) non vomita il cibo per i suoi piccoli: si apre direttamente il petto, il costato, e offre qualcosa di pù prezioso, come nei due noti versi del Morgante del Pulci:

Quivi si cava il pellican dal petto
Il sangue, e rende la vita a’ suoi figli (14,51)

che dipende sicuramente, e in via diretta, dal Buti, e dal suo commento a Dante.

E sembrerebbe paradossale citare in mezzo a tanta prosaicità e ferocia proprio quei versi del Paradiso:

Questi è colui che giacque sopra ’l petto
Del nostro pellicano (25,2)

la dolcezza di Giovanni che posa la testa sul petto del suo amato Cristo, versi interpretati in effetti da Francesco da Buti in modo alquanto curioso: 

Pellicano è uno uccello, che nasce nell'Egitto, ed è bianco, e poichè ha allevato li figliuoli, e sono cresciuti, si levano li figliuoli contra lo padre, e la madre, e combattono con loro percotendoli nel volto, tantochè lo padre, e la madre gli uccide; e poi lo padre sta sopra li figliuoli, e dassi nel petto suo col becco, tantochè n'esce lo sangue, e spargelo sopra loro, e così li risuscita.

Curioso se si pensa che Cristo, in quanto pellicano, avrebbe i questo modo in un primo tempo ammazzato i  figli e poi col suo stesso sangue li avrebbe resuscitati. Meno curioso se si pensa ai sensi di colpa, nei quali affoga comunemente l'umano. Senmpre che non si voglia intendere per pellicano direttamente Dio: che fosse stato Dio Padre a "uccidere" l'uomo (a farlo precipitare nella dannazione). Un capovolgimento comunque rispetto all'immagine dei salmi da cui si è partiti, dove il pellicano è sempre è soltanto l'uomo (tra l'altro, il deserto di cui si parla nel salmo 102 è in ebraico מדבר (midhbar), che significa anche bocca, e se la bocca dell'uomo la si paragona a un deserto, non si direbbe niente di nuovo, e in tutti i sensi: sia per la sua aridità, per l'inutilità della sua parola (di cui è un esempio, oggi più che ieri, lo sciocchezzaio vomitato da politici, giornalisti, televisioni, internet, ma anche nel privato) sia per la sua effettiva grandezza, voracità infinita (bocca de ciavatta, a Roma, in inglese shut your big mouth) .



 

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