giovedì 18 dicembre 2014

il principio di Hamilton, il calcolo delle variazioni e la fisica col calderone

E' difficile immaginare al di fuori del mondo ascetico un'umanita che segua la strada del massimo sforzo. Non c'è niente in natura che non segua un principio economico. E questo dovrebbe indicare che l'umanità porta memoria della sua originaria conformazione, del fatto di essere nient'altro che un ammasso di atomi. E' paradossalmente una delle nozioni più stuzzicanti per lo studente di fisica, di fisica teorica (e lo era anche per me, quella sulla quale confesso di aver battuto la testa per quasi un mese per l'esame di meccanica razionale: se riuscivo a capirlo sul piano matematico, delle integrazioni anche piuttosto banali della lagrangiana, della differenza tra energia cinetica e potenziale, non riuscivo a darmene una ragione ultima: perché dovesse essere proprio così in natura e non l'opposto, perché la natura debba essere così pigra quando invece sulla pigrizia da sempre pesano gli anatemi di morali e civiltà "progressiste", che come la nostra hanno il culto della natura (in questi casi la matematica non mi ha mai aiutato): voglio dire il principio detto di minima azione, il principio di Hamilton, che in fondo non è altro, attraverso una formulazione variazionale delle equazioni lagrangiane, che una generalizzazione delle leggi della dinamica newtoniana, un grosso regalo alla successiva meccanica relativistica e quantistica.

Per comprenderlo oggi lo studente robot può anche fare il consueto salto di astrazione, eliminare qualsiasi necessità di interpretarlo macroscopicamente, di renderselo visibile, di intenderlo indipendentemente dalle nozioni di ricerca di minimo e massimo dei funzionali, di quelle funzioni cioè il cui dominio è un insieme di altre funzioni: tenendosi insomma ben lontano dalla concretezza dell'esperienza (la fisica si faceva un tempo col calderone e ogni formula sembrava essere qualcosa di direttamente visibile, fatto ancora evidente, se vogliamo, quando questi primi problemi variazionali venivano posti, quando Newton si domandava, nei Philosophiae naturalis principia mathematica, che forma dovesse avere il solido di rivoluzione di minor resistenza, un proiettile di fucile eccetera).

E tuttavia, se non ci si volesse limitare alla matematica, del principio di Hamilton (come di altri principi della natura), secondo il quale di ogni sistema meccanico esiste un integrale S, chiamato azione, che risulta minimo per il moto effettivo e la cui variazione δS non può che essere di conseguenza nulla, non si può andare oltre una sua descrizione qualitativa, non si può andare oltre il fatto che in un sistema meccanico conservativo, tra tutte le traiettorie che un corpo in assenza di vincoli ha a disposizione per spostarsi da un punto a un altro, la traiettoria effettivamente seguita sarà quella più economicamente, in termini di trasformazione energetica, appetibile, efficiente. In natura l'azione (un numero che ha la dimensione di un'energia per un tempo) è minimizzata sempre. Perché poi sia effettivamente così lo sa soltanto Dio. Se si lancia un bichiere per aria, questo non si metterà a seguire una serie di traiettorie sul modello montagne russe prima di ricadere per terra, andrà direttamente al sodo. Lo sa soltanto Dio perché la forza di gravità agisce in questo modo. E questo è tutto quello che si può dire.

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