L'essere da sempre dislessico in fondo mi ha dato un male e un bene: l'aver dovuto
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lunedì 26 gennaio 2015
lunedì 25 agosto 2014
Nietzsche e i farisei delle interpretazioni arbitrarie
Internet, il gran mercato di Internet, è pieno di siti (di luoghi?) e di blog in cui ci si domanda se il pensiero di Nietzsche deve essere associato al Nazismo in un rapporto di filiazione. Il pensiero, quando è pensiero, a maggior ragione quando è pensiero per antonomasia, come è il caso di Nietzsche, non può essere associato a niente altro che a se stesso. Quindi la migliore risposta si troverà nella lettura delle sue opere e scritti piuttosto che in questo o quest'altro blog a favore o contro, e certamente non in aritcoli di giornali, riviste, saggi di professori, interviste a traduttori, editori eccetera, e nemmeno nei libri di lettori di Nietzsche, siano anche illuminati e amorevoli alla maniera di Bataille. Nietzsche rivelò sempre (ed è assurdo che ancora circolino tali miti) un tale disgusto per l'antisemitismo e il "mettere a soqquadro le razze" che la cosa è palpabile tra le righe di quasi ogni sua pagina. Si potrebbe anzi dire, e per assurdo, che se la polizia nazista avesse fermato un Nietzsche redivivo lo avrebbe spedito direttamente a Dachau o in qualche altro luogo in cui si compiaceva in quegli anni il nichilismo delle masse malate, robotizzate e teleguidate da psicopatici nel cui cervello si sarebbe trovata soltanto segatura (proprio il contrario del senso dell'individuo sano propugnato e indicato da Nietzsche: un individuo che dovrebbe riacquistare piena potenza di sé in opposizione a qualsiasi tentativo di asservimento e trasformazione in macchina, cosa che hanno sempre voluto e continuano a volere tutti i fascismi di questo mondo, la cui immagine dell'uomo sano e forte è pura e criminale retorica, maschera grottesca dell'umano: prodotto dei vari idealismi, compreso, anzi soprattutto, quello hegeliano, con la sua fanatica visione della necessità storica.)
Che Nietzsche prevedesse un'mmediata e futura manipolazione di ogni sua parola virgola e punto, e che si facesse beffa di contemporanei e futuri farisei delle interpretazioni arbitrarie, è un fatto che va di pari passo con lo stesso svolgersi del suo pensiero, con le sue stesse cadenze: e avrebbe preferito sicuramente non essere capito che trovarsi davanti a chi pretendeva di averlo capito :
"Chi credeva di aver capito 'qualcosa' di me si è costruito questo 'qualcosa di me' a sua somiglianza - non di rado proprio l'opposto di me, ad esempio che io sia un idealista; chi non aveva capito niente di me, negava che io dovessi soprattutto essere preso in considerazione".
("Wer Etwas von mir verstanden zu haben glaubte, hat sich Etwas aus mir zurecht gemacht, nach seinem Bilde, - nicht selten einen Gegensatz von mir, zum Beispiel einen „Idealisten“; wer Nichts von mir verstanden hatte, leugnete, dass ich überhaupt in Betracht käme". [Ecce Homo. Warum ich so gute Bücher schreibe]).
La scelta, quindi, se mettersi nell'una o nell'altra categoria, è lasciata, come sempre, al lettore: tra il credere di aver capito e il non aver capito affatto. Anche perché l'aver capito non necessita mai esplicitazione. Opera il silenzio. Non senza un pizzico di delusione, perché con la comprensione se ne va un po' del fascino della cosciente incomprensione.
Che Nietzsche prevedesse un'mmediata e futura manipolazione di ogni sua parola virgola e punto, e che si facesse beffa di contemporanei e futuri farisei delle interpretazioni arbitrarie, è un fatto che va di pari passo con lo stesso svolgersi del suo pensiero, con le sue stesse cadenze: e avrebbe preferito sicuramente non essere capito che trovarsi davanti a chi pretendeva di averlo capito :
"Chi credeva di aver capito 'qualcosa' di me si è costruito questo 'qualcosa di me' a sua somiglianza - non di rado proprio l'opposto di me, ad esempio che io sia un idealista; chi non aveva capito niente di me, negava che io dovessi soprattutto essere preso in considerazione".
("Wer Etwas von mir verstanden zu haben glaubte, hat sich Etwas aus mir zurecht gemacht, nach seinem Bilde, - nicht selten einen Gegensatz von mir, zum Beispiel einen „Idealisten“; wer Nichts von mir verstanden hatte, leugnete, dass ich überhaupt in Betracht käme". [Ecce Homo. Warum ich so gute Bücher schreibe]).
La scelta, quindi, se mettersi nell'una o nell'altra categoria, è lasciata, come sempre, al lettore: tra il credere di aver capito e il non aver capito affatto. Anche perché l'aver capito non necessita mai esplicitazione. Opera il silenzio. Non senza un pizzico di delusione, perché con la comprensione se ne va un po' del fascino della cosciente incomprensione.
sabato 16 agosto 2014
scontro tra generazioni e mistificazione della dialettica
Ci sarebbe da chiedersi a che punto si sia nella cosiddetta dialettica generazionale, comunemente intesa come scontro tra generazioni. E anche dialettica è termine che pure nel linguaggio comune è più o meno correttamente inteso, anche se usato a sproposito - la dialettica, nelle filosofie idealiste, presuppone sempre una avvenuta scissione di cui l'intelletto è causa e che anzi l'intelletto non fa che moltiplicare, stabilire all'infinito attraverso le opposizioni, in un suo tentativo, anzi in uno sforzo sovrumano di comprendere il reale - così certamente in Hegel; opposizioni che all'intelletto si presentano apparentemente come caratteristica più propria delle cose (a partire dall'opposizione del giorno e dalla notte: luce assenza di luce - con la forzatura che hanno sempre operato tutte quelle religioni che vedono invece la luce nascere dal buio, essere successiva al buio; e così anche il caldo e il freddo, il dolore e il piacere, la fame e la sazietà, la sete e la mancanza di sete).
Ma ovviamente la scissione è presente anche già in Platone: la descrizione dell'anima nel Fedro, l'immagine dei due cavalli, il cavallo nero e quello bianco, le sue due nature, quella che fa gravare verso terra e l'altra che spinge verso il cielo, verso l'iperuranio. In fondo non si tratta che di riconquistare, in questa visione delle cose, una supposta armonia preesistente che sembra offuscarsi per colpa del processo conoscitivo, il quale opera per opposizioni: una ricomposizione che secondo l'assolutismo di Hegel sarebbe possibile soltanto per mezzo della Ragione, non certo con l'intelletto, che continua a scindere il reale all'infinito. E tutto questo ovviamente attraverso un necessario processo storico (ci sarebbe da chiedersi anche come sia potuto avvenire che Nietzsche - nelle cui pagine non si trova mai un singolo punto di esaltazione del concetto di assolutismo, semmai il contrario - come sia stato possibile associare (anche ammettendo le colpe della sua odiata sorella, l'antisemita e nazista Elisabeth Förster, la manipolazione dei suoi scritti) come sia stato possibile anche lontanamente associarlo al Nazismo, dal momento che la sua opera non è altro che una condanna senza eccezioni di ogni futuro nazismo, e non si sia invece associato al Nasizmo proprio Hegel, la cui idea di Storia quale tribunale del mondo (vedi il la sua filosofia del diritto) non può che portare, nelle sue conseguenze politiche, alla giustificazione di tutti i genocidi di questo mondo, a far riconoscere come necessità tutti gli assolutismi: non può che portare, l'idealismo di Hegel, alla giustificazione di tutte le Hiroshima e Nagasaki, a rendere giustificabile e incontrovertibile l'idea che nel mondo ci saranno sempre desaparecidos - e in effetti quale sentenza di condanna avrebbe emesso questo fantomatico tribunale della Storia nel caso di Hiroshima e Nagasaki?). D'altra parte, la stessa Fenomenologia dello Spirito di Hegel è un delirio di onnipotenza del pensiero: è un perfetto delirio intellettualistico nel quale lo stesso fascinoso movimento della sua scrittura non fa che imitare un immaginato movimento dialettico che la coscienza naturale metterebbe in scena per arrivare a fare piena esperienza di sé come coscienza vera - e il punto dolente della dialettica di Hegel non è altro che questa concezione di una coscienza unica.
Ma anche ipotizzando la verità di un movimento dialettico della Storia, l'applicazione del termine dialettica allo scontro tra generazioni non sarebbe che un errore metodologico, di chi non comprende come funziona l'oggetto che a messo a punto, o di chi se ne serve senza sapere quando utilizzarlo. E' l'equivalente di un abuso ideologico. Questo scontro tra generazioni non si origina mai da un'armonia iniziale ( lo scontro tra generazioni si è tra l'altro oggi più che mai appiattito: il figlio non contesta più nemmeno il padre, che avrebbe capito come tenersi buono il figlio servendosi dei buoni auspici di uno sviluppo tecnologico sempre più accelerato: basta, a comprarsi il figlio, comprargli l'ultimo cellulare presente sul mercato, che non a caso avrà un tasso di obsolescenza elevatissimo). Permanendo tuttavia l'errore di considerare storicamente lo scontro tra generazioni come una dialettica, postulando il recupero di una supposta e inesistente armonia iniziale (non a caso la natura - a parte le eccezioni che confermano la regola - ha posto la femmina a protezione della prole: a proteggerla da un padre fagocitante) non si riuscirà a esplicare la sostanza di questo conflitto nella forma più giusta, cioè di una equazione: di un'identità (non armonia). Passati gli anni della contestazione, il figlio si fa sempre più simile al padre anche fenomenicamente (tale padre tale figlio): ne eredita gli strumenti di coercizione e dominio. In altri termini, questo supposto scontro generazionale, lungi dall'avere come scopo un recupero armonico attraverso il superamento nella storia di una posizione preesistente, è la riproposizione della stessa identità iniziale: la distruzione del padre per prenderne il posto non è altro che la conferma di un'assenza totale di movimento, di progresso (progredior - vado avanti). Tanto che per provare nella storia l'inesistenza di un qualsiasi movimento dialettico, di sviluppo, di superamento di una vecchia posizione assimilandola, basterebbe chiedere, a un qualsiasi ragazzo che vent'anni fa contestava il padre: voglio vedere da che parte stai oggi: se non stai esattamente dalla parte dalla quale non ti sei mai mosso (non solo non si è realizzata nessuna armonia ma permane lo stesso rapporto, la stessa identità di intenti di sempre, tra te che sei a tua volta diventato padre e vuoi mangiarti tuo figlio e tuo figlio che attende il momento più opportuno per ingoiare te - tutto questo ancora al di qua di una coincidenza degli opposti, visto che Cusano intende questa espressione teologicamente al di là del principio di identità).
Lo stesso d'altronde si potrebbe dire della opposizione che per esempio Cacciari vedrebbe alle origini della civiltà Europea: quella coscienza geografica di sé che si originerebbe nel sesto secolo dell'era pagana: lo scontro con l'Asia (la nascita della coscienza, anche geografica, in realtà non può essere così tarda: la coscienza si realizza nel momento in cui l'individuo inizia a percepire un qualsiasi confine: la separazione dall'altro o dalle cose). Anche qui non c'è nessuna scissione né armonia iniziale: c'è immediata comunanza di intenti espressa da posizioni apparentemente contrapposte, come in uno specchio: e c'è la spinta all'accumulo: il concetto di accumulo mediato dalla violenza della natura, quello che io chiamo il capitale in un'accezione allargata rispetto alla visione marxiana: sia che si guardi questo concetto di accumulo dal punto di vista degli europei sia che lo si guardi da quello degli asiatici. Vedi anche quanto ho scritto nel post intitolato Storia del mondo in mezza pagina.
Ma ovviamente la scissione è presente anche già in Platone: la descrizione dell'anima nel Fedro, l'immagine dei due cavalli, il cavallo nero e quello bianco, le sue due nature, quella che fa gravare verso terra e l'altra che spinge verso il cielo, verso l'iperuranio. In fondo non si tratta che di riconquistare, in questa visione delle cose, una supposta armonia preesistente che sembra offuscarsi per colpa del processo conoscitivo, il quale opera per opposizioni: una ricomposizione che secondo l'assolutismo di Hegel sarebbe possibile soltanto per mezzo della Ragione, non certo con l'intelletto, che continua a scindere il reale all'infinito. E tutto questo ovviamente attraverso un necessario processo storico (ci sarebbe da chiedersi anche come sia potuto avvenire che Nietzsche - nelle cui pagine non si trova mai un singolo punto di esaltazione del concetto di assolutismo, semmai il contrario - come sia stato possibile associare (anche ammettendo le colpe della sua odiata sorella, l'antisemita e nazista Elisabeth Förster, la manipolazione dei suoi scritti) come sia stato possibile anche lontanamente associarlo al Nazismo, dal momento che la sua opera non è altro che una condanna senza eccezioni di ogni futuro nazismo, e non si sia invece associato al Nasizmo proprio Hegel, la cui idea di Storia quale tribunale del mondo (vedi il la sua filosofia del diritto) non può che portare, nelle sue conseguenze politiche, alla giustificazione di tutti i genocidi di questo mondo, a far riconoscere come necessità tutti gli assolutismi: non può che portare, l'idealismo di Hegel, alla giustificazione di tutte le Hiroshima e Nagasaki, a rendere giustificabile e incontrovertibile l'idea che nel mondo ci saranno sempre desaparecidos - e in effetti quale sentenza di condanna avrebbe emesso questo fantomatico tribunale della Storia nel caso di Hiroshima e Nagasaki?). D'altra parte, la stessa Fenomenologia dello Spirito di Hegel è un delirio di onnipotenza del pensiero: è un perfetto delirio intellettualistico nel quale lo stesso fascinoso movimento della sua scrittura non fa che imitare un immaginato movimento dialettico che la coscienza naturale metterebbe in scena per arrivare a fare piena esperienza di sé come coscienza vera - e il punto dolente della dialettica di Hegel non è altro che questa concezione di una coscienza unica.
Ma anche ipotizzando la verità di un movimento dialettico della Storia, l'applicazione del termine dialettica allo scontro tra generazioni non sarebbe che un errore metodologico, di chi non comprende come funziona l'oggetto che a messo a punto, o di chi se ne serve senza sapere quando utilizzarlo. E' l'equivalente di un abuso ideologico. Questo scontro tra generazioni non si origina mai da un'armonia iniziale ( lo scontro tra generazioni si è tra l'altro oggi più che mai appiattito: il figlio non contesta più nemmeno il padre, che avrebbe capito come tenersi buono il figlio servendosi dei buoni auspici di uno sviluppo tecnologico sempre più accelerato: basta, a comprarsi il figlio, comprargli l'ultimo cellulare presente sul mercato, che non a caso avrà un tasso di obsolescenza elevatissimo). Permanendo tuttavia l'errore di considerare storicamente lo scontro tra generazioni come una dialettica, postulando il recupero di una supposta e inesistente armonia iniziale (non a caso la natura - a parte le eccezioni che confermano la regola - ha posto la femmina a protezione della prole: a proteggerla da un padre fagocitante) non si riuscirà a esplicare la sostanza di questo conflitto nella forma più giusta, cioè di una equazione: di un'identità (non armonia). Passati gli anni della contestazione, il figlio si fa sempre più simile al padre anche fenomenicamente (tale padre tale figlio): ne eredita gli strumenti di coercizione e dominio. In altri termini, questo supposto scontro generazionale, lungi dall'avere come scopo un recupero armonico attraverso il superamento nella storia di una posizione preesistente, è la riproposizione della stessa identità iniziale: la distruzione del padre per prenderne il posto non è altro che la conferma di un'assenza totale di movimento, di progresso (progredior - vado avanti). Tanto che per provare nella storia l'inesistenza di un qualsiasi movimento dialettico, di sviluppo, di superamento di una vecchia posizione assimilandola, basterebbe chiedere, a un qualsiasi ragazzo che vent'anni fa contestava il padre: voglio vedere da che parte stai oggi: se non stai esattamente dalla parte dalla quale non ti sei mai mosso (non solo non si è realizzata nessuna armonia ma permane lo stesso rapporto, la stessa identità di intenti di sempre, tra te che sei a tua volta diventato padre e vuoi mangiarti tuo figlio e tuo figlio che attende il momento più opportuno per ingoiare te - tutto questo ancora al di qua di una coincidenza degli opposti, visto che Cusano intende questa espressione teologicamente al di là del principio di identità).
Lo stesso d'altronde si potrebbe dire della opposizione che per esempio Cacciari vedrebbe alle origini della civiltà Europea: quella coscienza geografica di sé che si originerebbe nel sesto secolo dell'era pagana: lo scontro con l'Asia (la nascita della coscienza, anche geografica, in realtà non può essere così tarda: la coscienza si realizza nel momento in cui l'individuo inizia a percepire un qualsiasi confine: la separazione dall'altro o dalle cose). Anche qui non c'è nessuna scissione né armonia iniziale: c'è immediata comunanza di intenti espressa da posizioni apparentemente contrapposte, come in uno specchio: e c'è la spinta all'accumulo: il concetto di accumulo mediato dalla violenza della natura, quello che io chiamo il capitale in un'accezione allargata rispetto alla visione marxiana: sia che si guardi questo concetto di accumulo dal punto di vista degli europei sia che lo si guardi da quello degli asiatici. Vedi anche quanto ho scritto nel post intitolato Storia del mondo in mezza pagina.
sabato 26 luglio 2014
La macchina dello Stato e i benemeriti artisti. Nota su Nietzsche
La tragedia antica
come educatrice del popolo poteva formarsi solo al servizio dello Stato.
(Die antike Tragödie als Volkslehrerin konnte
nur im Dienste des Staates zu Stande kommen. Nachgelassene Fragmente Ende
1870 — April 1871, 7 [23])
Questa affermazione di Nietzsche, contenuta in uno dei frammenti cosiddetti postumi, potrebbe apparire, come ogni giudizio umano non ancora analizzato con gli strumenti della logica informale, apodittica, di
principio, creatura di un possibile ideologismo. Ma è il giudizio di una voce particolarmente autorevole, difficilmente quindi ribaltabile. Intanto ci si dovrebbe piuttosto domandare per quale ragione
la tragedia antica, nella sua funzione educativa, non debba o non possa invece formarsi al di fuori dello Stato; oppure, che equivale allo stesso, per quale
ragione lo Stato debba profondere così tanti mezzi quanti sono
quelli necessari all’allestimento di così tante tragedie in concorso ogni anno
nei vari festival (ogni autore ne
presentava tre più un dramma satiresco, la cosiddetta tetralogia). Oppure ci si può chiedere per quale ragione la stessa
cosa, la profusione di così tanti mezzi, non possa immaginarsi come fatta da una
singola famiglia che voglia celebrare se stessa, la propria schiatta. Oppure: a
cosa porterebbe immaginare una singola famiglia o anche più di una – il che
rientrerebbe comunque in una concezione di Stato - che si faccia promotrice del
“bene” estetico pubblico?
Porterebbe, è ovvio, in primo luogo, al concetto di noia e quindi, dato un certo esiguo numero di anni, all’abbattimento del sistema del singolo. Dice Nietzsche nello stesso
frammento:
Con il suo
elevatissimo egoismo il singolo essere non arriverebbe mai a promuovere la
civiltà. Per questo si dà l’impulso politico, nel quale in un primo momento l’egoismo
se ne sta tranquillo.
(Das einzelne höchst
selbstsüchtige Wesen würde nie dazu kommen, die Kultur zu fördern. Darum giebt es den politischen Trieb, bei dem zunächst der Egoismus beruhigt ist.)
E ancora prima:
Per questa ragione
[la tragedia antica come educatrice all’interno dello Stato] il livello della vita politica e la dedizione
allo Stato si era così accresciuto che anche gli artisti pensavano soprattutto
allo Stato. Lo Stato era” strumento
della realtà artistica”. Per questo
la più alta aspirazione allo Stato doveva trovarsi proprio in quelle
cerchie che avevano bisogno dell’arte. Tutto ciò era possibile solo se lo Stato
si reggeva da sé, cosa che è pensabile solo se un esiguo numero di cittadini
accede al potere.
(Darum war das politische Leben und die
Ergebenheit für den Staat so gesteigert, daß auch die Künstler an ihn vor allem
dachten. Der Staat war ein “Mittel der Kunstwirklichkeit”:
deshalb mußte die Gier zum Staate in den kunstbedürftigen Kreisen die
allerhöchste sein. Dies war nur möglich durch Selbstregierung, diese aber ist
nur denkbar bei geringer Zahl von regierungsbefähigten Bürgern.)
In realtà non sarebbe difficile assegnare il "valore di verità del vero" a questa funzione ideologico-educativa del prodotto estetico pure nel caso dell’uomo
e della donna di oggi: della televisione, del cinema, delle università, dei giornali
finanziati dallo Stato. L’artista, l’intellettuale, che si pone anche in una netta
posizione di critica sociale o del potere [vedi La grande bellezza, che raggiunge addirittura gli Oscar] è a tutti gli effetti lui l’inconsapevole reggitore interno, il reggitore dello Stato: di questa spaventosa macchina senza
altro nocchiero se non la “potente”
propaganda delle immagini e delle parole. Il capitale, la finanza hanno ben
poco da preoccuparsi, così come una mamma non si preoccupa affatto di lasciare
i pargoli nelle mani di una fidata babysitter. Il lavoro che dovrebbero fare
loro, il capitale e la finanza, viene tranquillamente delegato a questo esercito (pur
sempre sparuto) di immaginifici e parolai. È interesse, cioè, dei singoli
pifferai non tirare la corda oltre un certo limite, pena – oltre la rottura
della corda – l’annullamento di sé.
Dice Nietzsche:
L’immane spiegamento di
istituzioni politiche e sociali veniva in fin dei conti effettuato a vantaggio
di pochi: cioè dei grandi artisti e filosofi – che però non debbono avere la
pretesa di entrare nella vita politica, come richiede invece lo Stato
platonico. Per loro la natura impiega le altissime e illusorie immagini, mentre
per la massa bastano gli scarti del genio.
(Der ungeheure Aufwand des Staats- und Gesellschaftswesens
wird schließlich doch nur für einige Wenige aufgeführt: dies sind die großen
Künstler und Philosophen — die nur nicht beanspruchen sollen, mit hinein zu
treten in das politische Wesen, wie es Plato’s Staat fordert. Für sie braucht
die Natur die höchsten Wahngebilde, während für die Masse nur die Abfälle des
Genius ausreichen.)
Il paradosso,
molla fascinosa e fondamentale di un potere che è dovunque e in nessun luogo, è d’altronde sempre ben oliata e
funzionante:
Lo Stato sorge in modo
crudelissimo dalla sottomissione, dalla generazione [aggiungerei continua] di una schiatta di fuchi. La sua superiore
vocazione consiste nel far crescere [aggiungerei: e far preservare] da questi fuchi una civiltà. L’impulso politico
tende alla conservazione della civiltà, così che non si debba ricominciare in
continuazione daccapo.
(Der Staat entsteht auf die grausamste Weise
durch Unterwerfung, durch die Erzeugung eines Drohnengeschlechts. Seine höhere
Bestimmung nun ist, aus diesen Drohnen eine Kultur erwachsen zu lassen. Der politische Trieb geht auf
Erhaltung der Kultur, damit nicht fortwährend von vorn angefangen werden muß.)
È uno Stato illusorio ma in fin dei conti benemerito, che ha pensato
anche a uno smaltimento indolore di ciò che non è, via via, necessario:
Vale lo stesso,
dice infatti Nietzsche, per il linguaggio:
è il parto degli esseri più geniali,
mentre il popolo ne utilizza solo la minima parte, e in certo qual modo soltanto
i rifiuti.
(Es verhält sich mit
der Sprache ähnlich: sie ist die Geburt der genialsten Wesen, zum Gebrauch für
die genialsten Wesen, während das Volk sie zum geringsten Theile braucht und
gleichsam nur die Abfälle benutzt.)
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giovedì 24 luglio 2014
Cacciari a caccia di Cacciari
Vi sono accademici, universitari, che si innalzano ben al di sopra della mediocrità dei loro colleghi ma che almeno agli inizi, o intorno agli inizi della loro carriera, e poi, di tanto in tanto, anche in seguito, sentono il bisogno (che non fa onore) di produrre lavori che posseggano i crismi (cioè i balsami) del "metodo", del metodo accademico, tali cioè da poter essere riconosciuti e accettati dai propri pari, che appunto, data la mediocrità che contraddistingue questi pari, non sarebbero per niente dei pari: sentono insomma, questi pochi grandi intellettuali vissuti all'ombra del mondo universitario (e che coniugano sempre precisione e sensibilità), il bisogno di essere giudicati da chi dovrebbero invece essere loro a giudicare ignorandoli. E mettono in atto, in alcune di queste loro opere, una potenza e tensione teoretica davvero ammirevoli - vedi per esempio il primo capitolo dell'antico Krisis di Cacciari, ma in generale tutto il saggio. Il quale però non è per niente opera filosofica - o lo sarebbe se fosse la parte che resta di un sistema (così come nel Cielo, Aristotele trova il tempo di passare criticamente in rassegna le posizioni dei filosofi che l'hanno preceduto o contemporanei). Eppure Massimo Cacciari è un filosofo: cioè un pensatore con la "p" maiuscola, e lo è non in questi primi o anche successivi lavori di critica ideologica, come Dell'Inizio, Della cosa ultima, che in fondo non sono altro che opere di storiografia filosofica (come lo possono essere il Sofista di Platone, i Physicorum placita di Teofrasto) ma lo è in alcuni suoi lavori di mezzo, nei quali la voce diventa finalmente magistrale: è la voce senza incertezze del maestro, ad esempio in quello che considero il suo libro più filosofico: Dallo Steinhof; quella voce del vero pensatore che a tratti si sente anche in Icone della legge:
La ricerca è l’esperienza continua della impossibilità della risposta – ovvero: che la risposta non-è-che-possibile. E come potrebbe darsi piena risposta, se un’essenziale, irriducibile dimenticanza fonda lo stesso domandare? (p. 91)
oppure in Geofilosofia dell'Europa, lì dove ad esempio discute della tolleranza nella tradizione umanistica del de pace fidei (dialogo tra religioni quale premessa della pace):
... non appena l’idea della tolleranza viene affrontata con la necessaria coerenza, essa non può che riuscire di nuovo in quella di armonia.
Una stessa voce che si ritrova a tratti anche in un lavoro apparentemente più esegetico, L'Angelo necessario, opere la cui impostazione è quella di un grande sapere e di una grande erudizione che si abbandonano all'imprevedibile rimaneggiamento e riattualizzazione suscitato di necessità dal loro conflitto con l'esperienza. Ciò che si chiama, se sostenuto da tensione analitica e sintetica, sapienza, e che si ritrova, spesso in forma di brevi aforismi (il frammento che torna caro ai romantici e a Leopardi, e che permette sempre e nuovamente di ricominciare ed eleudere la noia di produrre un lungo testo) in opere come la Gaia Scienza e Aurora di Nietzsche.
La ricerca è l’esperienza continua della impossibilità della risposta – ovvero: che la risposta non-è-che-possibile. E come potrebbe darsi piena risposta, se un’essenziale, irriducibile dimenticanza fonda lo stesso domandare? (p. 91)
oppure in Geofilosofia dell'Europa, lì dove ad esempio discute della tolleranza nella tradizione umanistica del de pace fidei (dialogo tra religioni quale premessa della pace):
... non appena l’idea della tolleranza viene affrontata con la necessaria coerenza, essa non può che riuscire di nuovo in quella di armonia.
Quali vie tentare,
allora? Possiamo forse pensare la pace al di fuori dell’idea di armonia e di
connessione? Ma proprio questo è il tentativo che, al fondo, è stato operato
dall’idea di tolleranza. Possiamo indebolire all’infinito quest’idea, senza per
ciò superare le sue aporie; anche se tolleranza per noi si riduce a vago
sentimento di affinità, a incerta, eclettica ‘simpatia’ col diverso, non è neppure concepibile il tollerare, se non nei
confronti di ciò che in nessun modo si ritiene espressione di verità. (p. 146).
Una stessa voce che si ritrova a tratti anche in un lavoro apparentemente più esegetico, L'Angelo necessario, opere la cui impostazione è quella di un grande sapere e di una grande erudizione che si abbandonano all'imprevedibile rimaneggiamento e riattualizzazione suscitato di necessità dal loro conflitto con l'esperienza. Ciò che si chiama, se sostenuto da tensione analitica e sintetica, sapienza, e che si ritrova, spesso in forma di brevi aforismi (il frammento che torna caro ai romantici e a Leopardi, e che permette sempre e nuovamente di ricominciare ed eleudere la noia di produrre un lungo testo) in opere come la Gaia Scienza e Aurora di Nietzsche.
martedì 22 luglio 2014
il grande teatro e il non teatro. Cinema televisione e radio
Il teatro greco è agli antipodi delle rappresentazioni nel XXI secolo (televisione, cinema). Si domanda Nietzsche, in uno dei frammenti postumi, se non sia per un sentimento di sconvenienza che i greci non rappresentano l'azione. In effetti nel teatro greco sembra non avvenire quasi niente materialmente sulla scena. Edipo che entra accompagnato da sua figlia Antigone ma poi si siede nel recinto sacro e da quel momento s'intrecciano monologhi e dialoghi a non finire; oppure Filottete che riesce a trascinarsi appena sulla scena, la gamba piagata, che incontra Neottolemo e Ulisse e per centinaia di versi non c'è movimento fisico o quasi. E' il coro a muoversi soprattutto nel teatro greco, che sfila come in processione: la sua prima entrata in scena, la parodo, poteva, dovendosi a volte recitare alcune centinaia di versi, durare anche una ventina di minuti.
Il teatro greco è in realtà un teatro di pura parola. Ma è una parola, quella dei grandi autori, che ha il senso dello spazio, e in questo spazio la nuda parola sa come farti vedere gli oggetti, gli atti, i movimenti di chi è assente (funzione narrativa), sa far muovere soprattutto cio che non è presente, come è sempre stato tipico del grande teatro, pure in tempi più recenti - al contrario di tanto non teatro dentro il "teatro" (Alfieri, Manzoni, Baudelaire ecc., la ragione del loro fallimento). E' così che può giustamente dire Edipo a Antigone:
figlia del vecchio c i e c o, Antigone, in quale
terre s i a m o g i u n t i o nella città di quali uomini?
chi riceverà l' e r r a b o n d o Edipo in questo giorno
con quali misere offerte? ...
.......
Piuttosto, o figlia, se v e d i u n p o s t o
che sia un luogo profano o un v e r d e r e c i n t o s a c r o,
f a c h e i o allora m i f e rm i e m i s i e d a ...
Cioè lo "spettatore" ascolta quello che farà Edipo: lo vedrà sedersi prima ancora di vederglielo effettivamente fare.
E Antigone potrà perciò essere figura centrale, giustificata:
Padre misero, Edipo, t o r r i
p r o t e g g o n o l a c i t t à, a q u a n t o i o v e d o
ed è con gli occhi di Antigone che lo "spettatore" vede non solo la città ma un luogo che
sembra sacro, lussureggiante
di a l l o r o, u l i v i e v i t i, e fittissimi
dentro vi c a n t a n o usignoli
naturalmente Edipo è solo cieco, non è sordo, gli usignoli può sentirli benissimo: chi non può sentirli, o meglio, chi può sentirli soltanto attraverso la parola è lo "spettatore". Che bisogno avrebbe, d'altronde, un teatro del genere, di scenografia, di azione in termini moderni?
Mi raccontava mio padre che c'erano dei radiocronisti che sapevano farti vedere la partita (i recenti Mondiali invece, pur vedendoli in televisione, ogni tanto dovevo togliere l'audio, talmente sentivo soltanto il monotono accento del telecronista). E questo è vero in generale delle buone trasmissioni alla radio: la capacità, di chi conduce un programma, di farti visualizzare un evento, un'azione, dei personaggi dentro un aneddoto (a parte i programmi più idioti, prolissi, parolieri, incolti, che riconosci immediatamente dall'uso di espressioni tipo: "per quanto riguarda" -"e adesso sentiremo, per quanto riguarda i Rolling Stones ..." - programmi che vengono seguiti unicamente da chi nell'idiozia paroliera si rispecchia).
Il teatro greco è in realtà un teatro di pura parola. Ma è una parola, quella dei grandi autori, che ha il senso dello spazio, e in questo spazio la nuda parola sa come farti vedere gli oggetti, gli atti, i movimenti di chi è assente (funzione narrativa), sa far muovere soprattutto cio che non è presente, come è sempre stato tipico del grande teatro, pure in tempi più recenti - al contrario di tanto non teatro dentro il "teatro" (Alfieri, Manzoni, Baudelaire ecc., la ragione del loro fallimento). E' così che può giustamente dire Edipo a Antigone:
figlia del vecchio c i e c o, Antigone, in quale
terre s i a m o g i u n t i o nella città di quali uomini?
chi riceverà l' e r r a b o n d o Edipo in questo giorno
con quali misere offerte? ...
.......
Piuttosto, o figlia, se v e d i u n p o s t o
che sia un luogo profano o un v e r d e r e c i n t o s a c r o,
f a c h e i o allora m i f e rm i e m i s i e d a ...
Cioè lo "spettatore" ascolta quello che farà Edipo: lo vedrà sedersi prima ancora di vederglielo effettivamente fare.
E Antigone potrà perciò essere figura centrale, giustificata:
Padre misero, Edipo, t o r r i
p r o t e g g o n o l a c i t t à, a q u a n t o i o v e d o
ed è con gli occhi di Antigone che lo "spettatore" vede non solo la città ma un luogo che
sembra sacro, lussureggiante
di a l l o r o, u l i v i e v i t i, e fittissimi
dentro vi c a n t a n o usignoli
naturalmente Edipo è solo cieco, non è sordo, gli usignoli può sentirli benissimo: chi non può sentirli, o meglio, chi può sentirli soltanto attraverso la parola è lo "spettatore". Che bisogno avrebbe, d'altronde, un teatro del genere, di scenografia, di azione in termini moderni?
Mi raccontava mio padre che c'erano dei radiocronisti che sapevano farti vedere la partita (i recenti Mondiali invece, pur vedendoli in televisione, ogni tanto dovevo togliere l'audio, talmente sentivo soltanto il monotono accento del telecronista). E questo è vero in generale delle buone trasmissioni alla radio: la capacità, di chi conduce un programma, di farti visualizzare un evento, un'azione, dei personaggi dentro un aneddoto (a parte i programmi più idioti, prolissi, parolieri, incolti, che riconosci immediatamente dall'uso di espressioni tipo: "per quanto riguarda" -"e adesso sentiremo, per quanto riguarda i Rolling Stones ..." - programmi che vengono seguiti unicamente da chi nell'idiozia paroliera si rispecchia).
domenica 25 maggio 2014
scienza, capitale e l'illusione della felicità
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Totò in La terra vista dalla luna |
Tra il sentimento della felicità e quello del dolore esiste
uno "spazio" che può essere inteso anche logicamente oltre che geograficamente e temporalmente. La scienza e la tecnologia (le due non sono in un rapporto consequenziale univoco, come sembra intendere chi pensa che vi può essere progresso tecnologico soltanto quando vi è progresso scientifico, e anzi sono state spesso proprio alcune scoperte tecnologiche "casuali", al di fuori si ogni elaborata riflessione scientifica, a correre in
aiuto alla scienza galileiana, quella macroscopica) la scienza e la tecnologia si illudono di eliminare
sempre più questo spazio geografico o logico tra dolore e felicità. E in parte per la verità ci
riescono. Ma la più grande illusione che la scienza e la tecnologia regalano all'umanità (oggi in misura più sensibile che in passato)
consiste in questa semplice convinzione:
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giovedì 17 ottobre 2013
Eraclito più moderno di Newton
"Il sole non solo, come dice Eraclito, è nuovo ogni giorno ma è nuovo in continuazione.” (ὁ ἥλιος οὐ μόνον, καθάπερ ὁ Ἡράκλειτός φησι, νέος ἐφ' ἡμέρηι ἐστίν, ἀλλ' ἀεὶ νέος συνεχῶς.)
“Il
mare è la più pura e la più inquinata delle acque: per i pesci è
giovedì 26 settembre 2013
Storia del mondo in mezza pagina. Se la donna dicesse "no".
Se per un eccesso di barbarie tutte le
acquisizioni tecnologiche e intellettuali venissero di colpo abolite e l’uomo e
la donna si ritrovassero al semplice stato di natura e a non avere come unico possesso se non se stessi, che altro potrebbe ancora succedere? Per parecchio tempo
lunedì 24 giugno 2013
il successo e la mediocrità
"La conseguenza è un ingrediente. Una volta si credeva che il successo di una determinata azione non fosse la conseguenza di questa azione ma un semplice ingrediente arbitrario, cioè messo da Dio. Si può concepire una confusione più grande di questa? Allora ci si doveva dar da fare su due strade diverse: per l'azione e poi per ottenere il successo, utilizzando i mezzi più disparati."
Questo (la traduzione dal tedesco è mia) lo scriveva Nietzsche in quel gran libro di frammenti sulla morale che è Aurora. Insomma, come dire che ai suoi tempi si era reintrodotto il concetto del valore di qualcosa, e che una qualsiasi azione o produzione meritoria avrebbe avuto successo indipendentemente da tutto il resto. Oggi Nietzsche sorriderebbe nel vedere come il successo di tanta odierna insulsaggine sia di nuovo l'altra faccia di un'entità schizofrenica: da una parte ci si dà da fare per produrre questa mediocrità senza pensare ancora al futuro; poi una volta ottenuta questa mediocrità si comincia a pensare a come far arrivare quel successo che si è consapevoli non verrebbe mai senza sgomitare o mettere in atto tutta una serie di pratiche che offuschino il nulla che si è prodotto.
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