lunedì 25 agosto 2014

Nietzsche e i farisei delle interpretazioni arbitrarie

Internet, il gran mercato di Internet, è pieno di siti (di luoghi?) e di blog in cui ci si domanda se il pensiero di Nietzsche deve essere associato al Nazismo in un rapporto di filiazione. Il pensiero, quando è pensiero, a maggior ragione quando è pensiero per antonomasia, come è il caso di Nietzsche, non può essere associato a niente altro che a se stesso. Quindi la migliore risposta si troverà nella lettura delle sue opere e scritti piuttosto che in questo o quest'altro blog a favore o contro, e certamente non in aritcoli di giornali, riviste, saggi di professori, interviste a traduttori, editori eccetera, e nemmeno nei libri di lettori di Nietzsche, siano anche illuminati e amorevoli alla maniera di Bataille. Nietzsche rivelò sempre (ed è assurdo che ancora circolino tali miti) un tale disgusto per l'antisemitismo e il "mettere a soqquadro le razze" che la cosa è palpabile tra le righe di quasi ogni sua pagina. Si potrebbe anzi dire, e per assurdo, che se la polizia nazista avesse fermato un Nietzsche redivivo lo avrebbe spedito direttamente a Dachau o in qualche altro luogo in cui si compiaceva in quegli anni il nichilismo delle masse malate, robotizzate e teleguidate da psicopatici nel cui cervello si sarebbe trovata soltanto segatura (proprio il contrario del senso dell'individuo sano propugnato e indicato da Nietzsche: un individuo che dovrebbe riacquistare piena potenza di sé in opposizione a qualsiasi tentativo di asservimento e trasformazione in macchina, cosa che hanno sempre voluto e continuano a volere tutti i fascismi di questo mondo, la cui immagine dell'uomo sano e forte è pura e criminale retorica, maschera grottesca dell'umano: prodotto dei vari idealismi, compreso, anzi soprattutto, quello hegeliano, con la sua fanatica visione della necessità storica.)

Che Nietzsche prevedesse un'mmediata e futura manipolazione di ogni sua parola virgola e punto, e che si facesse beffa di contemporanei e futuri farisei delle interpretazioni arbitrarie, è un fatto che va di pari passo con lo stesso svolgersi del suo pensiero, con le sue stesse cadenze: e avrebbe preferito sicuramente non essere capito che trovarsi davanti a chi pretendeva di averlo capito :

"Chi credeva di aver capito 'qualcosa' di me si è costruito questo 'qualcosa di me' a sua somiglianza - non di rado proprio l'opposto di me, ad esempio che io sia un idealista; chi non aveva capito niente di me, negava che io dovessi soprattutto essere preso in considerazione".

("Wer Etwas von mir verstanden zu haben glaubte, hat sich Etwas aus mir zurecht gemacht, nach seinem Bilde, - nicht selten einen Gegensatz von mir, zum Beispiel einen „Idealisten“; wer Nichts von mir verstanden hatte, leugnete, dass ich überhaupt in Betracht käme". [Ecce Homo. Warum ich so gute Bücher schreibe]).

La scelta, quindi, se mettersi nell'una o nell'altra categoria, è lasciata, come sempre, al lettore: tra il credere di aver capito e il non aver capito affatto. Anche perché l'aver capito non necessita mai esplicitazione. Opera il silenzio. Non senza un pizzico di delusione, perché con la comprensione se ne va un po' del fascino della cosciente incomprensione.

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