lunedì 1 settembre 2014

fama contro fama

Si potrebbe confrontare il concetto odierno di fama - fosse anche una fama planetaria ottenuta con un semplice click - con quello a cui sembra accennare Nestore nel primo libro dell'Iliade, quando parla di quei re che lo vollero come alleato (e non erano re da poco, come dice Nestore stesso, segno che il problema del valore della fama era avvertito già allora, quando si formava il nucleo della tradizione epica):

καὶ μὲν τοῖσιν ἐγὼ μεθομίλεον ἐκ Πύλου ἐλθὼν
τηλόθεν ἐξ ἀπίης γαίης: καλέσαντο γὰρ αὐτοί (269-70)

e con questi ho vissuto arrivando da Pilo
lontana, da terra remota: furono loro a chiamarmi

e in quel "remota" (ἀπίης) e in quel "mi chiamarono loro", c'è tutto il senso del valore di fama per i tempi già leggendari di Nestore, ma anche per l'epoca in cui si forma la tradizione epica e anche in seguito e comunque fino a tutto l'Ottocento e all'epoca di riproduzione industriale dell'immagine. Il che significa anche, a spingersi su questa strada, che Nestore era famoso per quei re come lo sarebbe un uomo oggi che fosse conosciuto nella galassia di Andromeda. In realtà nessun paragone possibile con la scalzacanaggine televisiva e cinematografica di oggi. Col tappeto rosso. Con il vippismo. Niente di omologo, di proporzionale.

Su questi due versi e sulla leggittimità dell'autoelogiarsi quando si è consapevoli delle proprie forze vedi anche quanto dice Elio Aristide nenl'orazione Sull'osservazione a margine (περὶ τοῦ παραφθέγματος).

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