lunedì 29 settembre 2014

l'articolo 18 e il pupazzo nella storia italiana

C'è un posto dove vado ogni tanto, è piena campagna, si cammina tranquillamente lungo sentieri che tagliano folti querceti, e c'è ancora, a ricordarsi bene i posti, qualche sorgente d'acqua purissima. Incontri solo, lungo questi tratturi, vecchi contadini, o vecchie braccianti che ormai si muovono solo per farsi visita reciprocamente. E ti ci fermi a parlare, si ricordano di te, di quando eri ragazzino e ti arrampicavi sugli alberi, e ti invitano a casa, e  ti regalano qualcosa dal loro orto, e resta sempre quel pudore, quella modestia che in effetti avevo conosciuto in loro quando ero piccolo.  Un pudore e una modestia codificati, si capisce.

L'esatto contrario dell'immodestia farcita d'ignoranza e incultura che si legge sul volto (ma dovrei dire sulla maschera tetra) di Matteo Renzi, un semplice figlietto di papà che non ha mai conosciuto il lavoro duro dei braccianti, dei contadini e contadine, e degli operai, non ci ha riflettuto, che non si è mai fermato a osservare la mano di un operaio che si è visto tranciare tre dita in fabbrica. Insomma, gente che al contrario di lui (o di personaggi come Ferrara, Mentana, Annunziata, Floris eccetera)  per vivere ha dovuto sputare sangue. Conosce solo gli studi televisivi. E questo squallido personaggio del tipo "son tutto mi", con il suo dinamismo da tre soldi che lo rende non giovane ma vecchio come una statua di gesso, come il mondo della retorica a cui appartiene, riverito e servito sicuramente fino a trent'anni da buon bamboccione a casa di papà e mammà, tutto quello che può fare, ignorando i presupposti, è mettere mano, spacciandosi per riformista dell'ultima ora, all'articolo 18, conquista sacra dei lavoratori. Delle lotte dei lavoratori.

C'è un personaggio di un mio romanzo, un poliziotto, che un attimo prima di essere arrestato, incastrato da un manipolo di magistrati e comorristi, disilluso, sta leggendo un libro, un saggio: Il pupazzo nella storia italiana.

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