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giovedì 23 ottobre 2014

mancata autopsia. Un motivo in Menandro

[       ]ιν λέγεις, Δε, το τ' μο τρόπου (Asp., 368)

Così Cherestrato, nello Scudo di Menandro; la lacuna del papiro da integrare anche a mio avviso molto semplicemente come altri hanno proposto:

<εὖ γ᾿ ἐστ>ν λέγεις, Δε, το τ' μο τρόπου:

 dici bene, o Davo, e mi va benissimo

Si tratta della messa in scena architettata dallo schiavo Davo della morte di Cherestrato, che potrà così farsi gioco dell’avido fratello Smicrine; un tema, quello della simulazione della propria morte, utilizzato per le stesse ragioni (avidità di un familiare o di un creditore) almeno fino ai tempi di Edoardo e Totò, sicuramente meno praticabile oggi (il morto è morto e basta!) a causa di una sovraesposizione del pubblico a una estetica della pseudoscienza dei laboratori della polizia scientifica, e dei medici legali – vedi per esempio tutto il problema di un’autopsia condotta superficialmente sul corpo dell’uomo ritrovato nella laguna veneziana nei primi capitoli del mio Un valzer per Alfredo.  

mercoledì 30 luglio 2014

ancora su Eraclito: fratelli coltelli

Se grazie a film e a fiction sempre più allegre la civiltà  attuale è tutta incartata e rinserrata dentro sale operatorie e sale autoptiche e settorie, allora con questo gusto delle autopsie (ma appartiene a un più generale gusto dell'orrore e delle morti in diretta: di stragi, impiccaggioni, incidenti, omicidi, rapine, aggressioni, stupri: tutto mostrato in diretta)  se è concreto  questo gusto della autopsie guardate a colazione e a pranzo e a cena, seduti a tavola in famiglia, non suonerebbe più troppo strano (metafora originariamente ardita) il sentir paragonare da una colf la capacità critica di qualcuno, la sua intelligenza nel penetrare cose e concetti, a un bisturi, per quanto ci siano appunto sulla tavola oggetti più immediati e più facilmente utilizzabili per questo tipo di immagini, forchette e coltelli, ormai anche raffinati, meno impegnativi da maneggiare, da tenere in mano o stringere.

Così fratellli coltelli, anche nel caso della filosofia, delle lotte intestine tra scuole filosofiche, non vale più. Semmai fratelli bisturi, e anche se si perde la rima si acquista in ulteriore precisione - vedi le sottigliezze sempre più analitiche del contemporaneo filosofico. La grossolanità, dai convegni, è esclusa. La parola d'ordine, che ci si lancia da una cattedra all'altra è che l'analisi, il taglio, deve essere così continuo e preciso che nessuno deve capire più niente di niente. Tanto meno gli studenti, che d'altronde non hanno mai capito niente. E che si è intelligenti se non si è compresi, dimenticandosi che per essere Aristotele o Husserl o Kant non basta essere qui e lì incomprensibili - d'altronde tutta la Fenomenologia dello spirito di Hegel passa per opera altamente incomprensibile, da sbatterci la testa per anni e anni.

Ma vedi in Eraclito un gusto di veder tagliare ancora i concetti col bel coltellone da macellaio - il fendente menato a Pitagora con lo stesso coltello di cui l'accusa di farsi grande:

κοπίδων ἐστὶν ἀρχηγός (fr.81)

l'inventore dei coltelli!

mercoledì 9 luglio 2014

i sessantottini e l'epistassi



Il direttore di un giornale italiano on line, un ex sessantottina che adesso va giustamente a braccetto con i potenti della terra (leggi Arianna Huffington), vuol far capire al suo pubblico di twittisti e feisbucchisti, che lei è colta, che il suo giornaletto usa termini difficili, che il livello del suo impegno insomma è più elevato di quello che ci si era sempre immaginati, considerate tutte le foto di Belen e robaccia simile che ha fatto pubblicare fin qui. Utilizza, già nel titolo, a proposito dell’ispezione sul cadavere della povera Yara, il termine epistassi - da non confondersi con epistasi, che non c'azzecca niente, o, per restare in campo ematico e tanatologico, da non confondere con ipostasi, quegli arrossamenti dell'epidermide che incuriosiscono e inquietano chi per la prima volta assiste a un esame autoptico, o per dirla più volgarmente a un’autopsia. A differenza di lei, che un’autopsia non l’ha mai vista eseguire, che se ne sta a pontificare tutto il giorno dal suo ufficio, a dare e darsi l’impressione di essere intelligente, a illudersi di sapere qualcosa della vita. Che, duole dirlo - dirlo a me stesso, che sono molto più giovane - alla sua veneranda età non sa ancora cosa sia. E si serve, di conseguenza, di questi termini non tanto difficili quanto immemorabili, e lo fa sempre spiaccicandoti in faccia questi titoloni a caratteri cubitali, che di questo giornale sono il segno più evidente del ruolo etico che s'è scelto.

E in effetti, leggere epistassi, e leggerlo a caratteri giganteschi, bisogna ammettere che fa una certa impressione, e la fa senz'altro a me, che ormai qualcosina di greco dovrei masticare (anche se poi non mi pare si conoscano esempi di questo composto nell’antichità, quando sicuramente si sarebbe usato il più concreto στάξις ἀπὸ ῥινῶν αἵματος, cioè gocciolamento dal naso, come fa Ippocrate qui e lì nei suoi testi, e come farebbero ancora tutte le persone di buon senso). E’ quindi questa epistassi, questa brutta formazione del latino medievale (che a vederla stampata così in grande mi fa sorridere) non è altro, alla fine, che un urlo sterile lanciato da un compartimento stagno all'altro: gli strilloni e megafonisti di un tempo promossi ai piani alti: CI SONO ANCH’IO COL MIO GIORNALE! CI SONO ANCH’IO, GIULIANO!