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lunedì 29 dicembre 2014

Islam, Giudaismo e Cristianesimo disuniti nella "tentazione"


Salvador Dalì, La tentation de saint'Antoine


Il mondo coranico è meno prono al comico rispetto al Giudaismo. E di conseguenza rispetto al Cristianesimo. La stessa cacciata di Adamo e della sua donna dal Paradiso è nella Lettura dell'Islam un fatto di pura spiritualità: per l'ammiccante, teatrale serpente, trasformato in seguito dall'esegesi ebraica in "portatore" di Satana, quasi fosse un carro, non c'è spazio. Così almeno nella seconda sura:

فَأَزَلَّهُمَا الشَّيْطَانُ عَنْهَا فَأَخْرَجَهُمَا مِمَّا كَانَا فِيهِ  (fa azallahuma l-shaytanu 'anha fa-akhrajahuma)

e li fece scivolare il Maligno da quel posto e  l i   p o r t ò  fuori da ciò in cui si trovavano (la loro condizione di felicità)

(Il verbo أَخْرَجَ (akhraja), nella forma IV, è usato invece in questa stessa sura al versetto 22 in un'accezione positiva (vedi quanto ho scritto nel Grado quarto della libertà), dovendosi riferire a Dio che fa della terra un giaciglio per l'uomo e del cielo un tetto (una volta) e manda giù pioggia che farà poi crescere il suo nutrimento:

فَأَخْرَجَ بِهِ مِنَ الثَّمَرَاتِ رِزْقًا لَّكُمْ  (fa-akraja bihi mina l-thamarati riz'qan lakum):

e  p o r t ò  perciò frutti quale vostro sostentamento).

In questo senso l'Islam rappresenta - almeno in questo passo dell'Eden teologicamente fondante (il riferimento al primo peccato, alla trasgressione degli ordini divini) - un abbandono del concreto, un'elevamento in termini astratti e spirituali rispetto al Giudaismo e al  Cristianesimo (mi pare sia stato Gore Vidal a dire una volta in una trasmissione qualcosa di simile: un miglioramento, an improvement, rispetto alle altre due grandi religioni, anche se non ricordo in che contesto vedeva lo vedeva, e riteneva comunque che anche l'Islam, come il Giudaismo e il Cristianesimo, avesse fallito). E non fa nessuna differenza il fatto che nelle varie tradizioni demonologiche musulmane Shaytan (il Maligno, in questo caso Iblis) possa assumere la forma di ogni creatura vivente: il cane, la iena, il serpente, perfino un aspetto umano: è in questo versetto 36 che non si fa menzione di zoomorfismi.

Il Cristianesimo, erede del Giudaismo, ha d'altronde sempre preferito un più prossimo contatto con la terra, e con le sue creature, soprattutto in situazioni estreme, dove però l'ascesi dovrebbe indicare più che un desiderio della terra tout court (come era per esempio nel caso delle sacerdotesse di Dodona) un suo immediato uso, uno strumento di elevazione, con tutti i rischi che questo comporta, anche di caduta nel comico, come nel caso dei primi asceti, che si sceglievano per dimora il deserto, notoriamente popolato da serpenti anche piuttosto pericolosi.

Credo che su questa questione del comico nel Giudaismo e nel Cristianesimo (o meglio nelle Scritture), di una sua certa continua teatralità, abbia giocato Flaubert nella Tentation de saint'Antoine. E' difficile leggere quel libro senza scoppiare a ridere, nonostante i lunghi passaggi descrittivi (ma forse anche a motivo di questo), deliranti per ricchezza ideativa e lessicale. Vedi ad esempio una delle allucinazioni di sant'Antonio, l'arrivo della carovana della Regina di Saba alla sua capanna nella Tebaide, carica di doni preziosi di ogni genere, che gli si getta al collo follemente innamorata. E' la continuazione di Eva che coglie il frutto dall'albero e porta tentazioni all'uomo - tanto più ridicola, la situazione, quanto più l'uomo sarà un eremita che da trent'anni vive solo e isolato dal resto del mondo.



















mercoledì 12 novembre 2014

dell'umorismo

C'è un umorismo che nasce dall'affetto e un umorismo sgraziato. E quest'ultimo può nascere o essere innescato da un'infinità di sentimenti negativizzanti: astio, rancore, insoddisfazione, rabbia ecc., o anche dal comprensibile bisogno di brillare. In tutti questi casi di umorismo negativo e per così dire "innaturale" non si fa altro che salire su un palcoscenico reale o ideale. E questa è senz'altro la ragione per cui provo sempre poco interesse per i comici di professione: non mi interessa vederli brillare, non mi riguarda, non mi presto a fare da pubblico di nessuno e col tempo mi sottraggo sempre di più a qualsiasi forma di spettacolo: ci vedo semplicemente la messa in scena e l'isterizzazione dell'amor proprio.

Al contrario, l'umorismo carico di affetto scorre sempre con naturalezza e raramente è sprovvisto di charme. Nonostante i casi in cui può trasformarsi nel tipo di umorismo negativo, ad esempio sotto la spinta di un amore ostacolato da terzi. Come capita al gioviale Edoardo nelle Affinità elettive di Goethe:

Die freundliche Geselligkeit verlor sich. Sein Herz war verschlossen, und wenn er mit Freund und Frau zusammenzusein genötigt war, so gelang es ihm nicht, seine frühere Neigung zu ihnen in seinem Busen wieder aufzufinden, zu beleben. Der stille Vorwurf, den er sich selbst hierüber machen mußte, war ihm unbequem, und er suchte sich durch eine Art von Humor zu helfen, der aber, weil er ohne Liebe war, auch der gewohnten Anmut ermangelte. [XIII]

La sua socievole cordialità andò perduta. Il suo cuore era chiuso; e se per necessità era insieme alla moglie e all'amico non riusciva a ritrovare l'affettuosità di un tempo, a ravvivarla. Rimproverare segretamente se stesso gli diventava molesto, e provava ad aiutarsi con una sorta di umorismo a cui tuttavia, poiché era sprovvisto di amore, veniva a mancare pure la consueta grazia.

venerdì 26 settembre 2014

Demostene ovvero il comico inconsapevole

Il comico inconsapevole nasce sempre dal rapido contrastarsi di due diverse nature in una stessa persona, o di due diverse situazioni quando una prende improvvisamente il posto dell'altra - differente da umorismo e dalla comicità di chi vuol far ridere, il quale comunque è sempre debitore, imitatore del comico inconsapevole, obbligato al contrasto, se non al contratto.

Così Demostene, che si leggano le sue orazioni e discorsi tra le righe, o si legga quello che altri hanno scritto di lui, appare sempre e comunque un comico inconsapevole. La sua inconsapevole comicità (a parte i sassolini che infilava sotto la lingua per correggere i difetti di pronuncia e altre varie amenità - il rafforzare la voce e i polmoni pronunciando un discorso o conversando mentre correva, costringendo quindi anche il povero interlocutore a correre), lo studiolo che s'era fatto costruire sotto terra per potersi esercitare più tranquillamente, il radersi i capelli per costringersi a non uscire di casa per mesi - la testa rasata era segno di effeminatezza), la sua inconsapevole comicità nasce però più propriamente dal contrasto o conflitto di due nature: da una parte il coraggio della parola, che non aveva eguali (non avrebbe temuto, in questo senso, nemmeno Giove ottimo massimo), dall'altra la facilità con cui al più piccolo pericolo fisico se la faceva addosso. Cosa che aveva in comune con Cicerone, e forse con Cicerone aveva in comune quasi tutto, salvo il significato che ciascuno dava al denaro, più concreto in Cicerone (i soldi per Cicerone avevano il valore che avevano: servivano semplicemente a ottenere oggetti piacevoli: bei mobili, libri, opere d'arte - natura più generosa, a differenza di quanto si dice di Demostene, del suo essere avido).

Non è quindi un caso che dopo essersi ringalluzztio alla morte di Filippo, dopo aver tuonato e essere stato unico, per così dire, e incontrastato attore sulla tribuna del'assemblea del popolo, dopo essere riuscito a rinfocolare gli animi di tutta l'Ellade contro Alessandro, che chiamava sprezzantemente il "ragazzino", dopo aver ottenuto i soldi da Dario per finanziare i tebani contro la macchina bellica macedone, si affloscia in un attimo non appena giungono le prime avvisaglie che Alessandro sta marciando verso Tebe:

ἐπεὶ μέντοι τὰ περὶ τὴν χώραν θέμενος, παρῆν αὐτὸς μετὰ τῆς δυνάμεως εἰς τὴν Βοιωτίαν, ἐξεκέκοπτο μὲν ἡ θρασύτης τῶν Ἀθηναίων, καὶ ὁ Δημοσθένης ἀπεσβήκει, Θηβαῖοι δὲ προδοθέντες ὑπ' ἐκείνων ἠγωνίσαντο καθ' αὑτοὺς καὶ τὴν πόλιν ἀπέβαλον. (Plut., Dem., 23,2) 

Dopo aver sistemato gli affari domestici, (Alessandro)  apparve con le sue forze in marcia per la Beozia, e l'ardore degli ateniesi s'era già spezzato, e Demostene s'era afflosciato (spento): i tebani, traditi così dagli ateniesi, combatterono contro i macedoni e persero la città.

E giustamente Plutarco usa qui il piuccheperfetto, l'ardore degli ateniesi s'era spezzato, e Demostene s'era afflosciato: non c'era stato nemmeno bisogno di trovarselo davanti, Alessandro, di vederlo: era bastata la notizia che s'era mosso.