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giovedì 8 gennaio 2015
gli incappucciati e cappuccetto rosso
petit dictionnaire portatif: incapucciato: chiunque si copre la testa o il viso per non farsi riconoscere perché vigliacco o indottrinato da altri vigliacchi che lo spingono a agire per loro conto, o chiunque si copra completamente la testa o il viso in segno di ossequio alla divinità o per ragioni culturali o per ripararsi dalle intemperie. Sinonimi: vigliacco, vile, ideologizzato, macchina, razzista, violento, maschera di carnevale, freddoloso, monaco, donna afghana. Congrega degli incappucciati che operò negli Stati Uniti in semi-clandestinità dal 1945 al 1965 (web). Aggredito a bastonate alla Balduina, presa la gang degli incappucciati (Repubblica). Maschera Halloween di assassino incappucciato (eBay). Undici monaci incappucciati negli stadi d'Europa (Italia24ore) eccetera
sabato 8 novembre 2014
il bene della misoginia, teatro antico, monachesimo
E' un peccato che non esista un termine correlativo di misoginia: si sarebbero scoperte le evoluzioni di un mondo parallelo a quello attuale. La donna in effetti non ha mai odiato l'uomo; è l'uomo che al contrario ha sempre odiato la donna senza poterne nello stesso tempo, affrancarsi, fare a meno: impossibile immaginare una qualsiasi casa senza la sua insostituibile presenza, pure nell'epoca ultimissima dei single: la presenza della donna è costante perfino nella casa di un single inveterato: che sia una madre, una fidanzata o una donna sognata: e l'economia (l'amministrazione della casa) è un fatto puramente femminile. Per questa ragione è incomprensibile che le donne si dian oggio tanto da fare per dimostrare di essere più brave degli uomini in politica o negli affari: la cosa dovrebbe andare da sé.
Così d'altronde gia Susarione, nella commedia aracaica, anzi addritttura l'inventore della commedia, secondo il Marmo Pario:
ascoltate o popoli: è Susarione che parla,
il figlio di Filino di Megara, Tripodiscio:
le donne sono un male e tuttavia, concittadini,
è impossibile abitare in una casa senza una donna:
così è un male sia sposarsi che non sposarsi.
[ἀκούετε λεῴ· Σουσαρίων λέγει τάδε,
υἱὸς Φιλίνου Μεγαρόθεν Τριποδίσκιος·
κακὸν γυναῖκες· ἀλλ' ὅμως, ὦ δημόται,
οὐκ ἔστιν οἰκεῖν οἰκίαν ἄνευ κακοῦ.
καὶ γὰρ τὸ γῆμαι καὶ τὸ μὴ γῆμαι κακόν. (fr. 1)]
Ovviamente ci sarebbe da chiedersi che cosa poteva trovarci di tanto comico uno spettatore ateniese in questi versi di Susarione, ma bisogna andare per associazioni, immaginarlo in quel momento col pensiero a ciò che lo aspetta a casa dopo il divertimento: alla moglie in ciabatte che passa da una stanza all'altra e urla e sbatte porte e sportelli: un pubblico che annuisce e sorride all'attore, lo spettatore che dà di gomito allo spettatore vicino.
Una compartecipazione della donna, anche negli affari più tipicamente maschili, risulta in ogni tempo talmente indispensabile che senza il pensiero di un suo costante ausilio non si possono immaginare nemmeno quelle comunità da sempre le più misogine: le comunita monastiche maschili. Impossibile pensare a un monastero cisterciense che non metta al centro di ogni cosa la Madre di Dio: la Madonna ha per i cisterciensi la stessa funzione che hanno le fondamenta di una casa per chi ci abita, e alle quali un tempo (vedi il discorso del muratore nelle Affinità elettive di Goethe alla posa della prima pietra di un pavillon) si dava un valore rituale che nel mondo del puro affarismo (le spaventose e pericolanti insulae della Roma repubblicana e imperiale e anche le grandi speculazioni edilizie dell'Ottocento) non si sa nemmeno se siano cose da alieni. Gli originari monasteri cisterciensi erano d'altra parte dedicati esclusivamente alla Vergine. E non soltanto i cisterciensi. Non è un caso che in tutto il mondo benedettino la giornata si conclude ancora oggi - a parte rare eccezioni - col Salve Regina cantato in fondo a Compieta. E così fanno ancora i domenicani, che anzi furono i primi a introdurre nella liturgia questa antifona della Beata Vergine.
Così d'altronde gia Susarione, nella commedia aracaica, anzi addritttura l'inventore della commedia, secondo il Marmo Pario:
ascoltate o popoli: è Susarione che parla,
il figlio di Filino di Megara, Tripodiscio:
le donne sono un male e tuttavia, concittadini,
è impossibile abitare in una casa senza una donna:
così è un male sia sposarsi che non sposarsi.
[ἀκούετε λεῴ· Σουσαρίων λέγει τάδε,
υἱὸς Φιλίνου Μεγαρόθεν Τριποδίσκιος·
κακὸν γυναῖκες· ἀλλ' ὅμως, ὦ δημόται,
οὐκ ἔστιν οἰκεῖν οἰκίαν ἄνευ κακοῦ.
καὶ γὰρ τὸ γῆμαι καὶ τὸ μὴ γῆμαι κακόν. (fr. 1)]
Ovviamente ci sarebbe da chiedersi che cosa poteva trovarci di tanto comico uno spettatore ateniese in questi versi di Susarione, ma bisogna andare per associazioni, immaginarlo in quel momento col pensiero a ciò che lo aspetta a casa dopo il divertimento: alla moglie in ciabatte che passa da una stanza all'altra e urla e sbatte porte e sportelli: un pubblico che annuisce e sorride all'attore, lo spettatore che dà di gomito allo spettatore vicino.
Una compartecipazione della donna, anche negli affari più tipicamente maschili, risulta in ogni tempo talmente indispensabile che senza il pensiero di un suo costante ausilio non si possono immaginare nemmeno quelle comunità da sempre le più misogine: le comunita monastiche maschili. Impossibile pensare a un monastero cisterciense che non metta al centro di ogni cosa la Madre di Dio: la Madonna ha per i cisterciensi la stessa funzione che hanno le fondamenta di una casa per chi ci abita, e alle quali un tempo (vedi il discorso del muratore nelle Affinità elettive di Goethe alla posa della prima pietra di un pavillon) si dava un valore rituale che nel mondo del puro affarismo (le spaventose e pericolanti insulae della Roma repubblicana e imperiale e anche le grandi speculazioni edilizie dell'Ottocento) non si sa nemmeno se siano cose da alieni. Gli originari monasteri cisterciensi erano d'altra parte dedicati esclusivamente alla Vergine. E non soltanto i cisterciensi. Non è un caso che in tutto il mondo benedettino la giornata si conclude ancora oggi - a parte rare eccezioni - col Salve Regina cantato in fondo a Compieta. E così fanno ancora i domenicani, che anzi furono i primi a introdurre nella liturgia questa antifona della Beata Vergine.
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martedì 11 giugno 2013
invidia
Più che nei versi 109-111 del primo canto dell’Inferno (o più che altrove in questa stessa cantica), una più realistica descrizione delle alterazioni psico-fisiche che l’invidia produce in un qualsiasi invidioso Dante l'ha data nel Purgatorio, e in particolare in quel passo in cui Guido del Duca con estrema precisione gli descrive ciò che ha potuto di questa affezione osservare in se stesso. È in effetti non facile dover ammettere che all'invidia sia stata riservata - è il senso di questo percorso che Dante le fa fare dall'Inferno al Purgatorio - una specifica forma di espiazione. Non sembrerebbe esistere, infatti, pena sufficientemente grande per chi si abbandona a questa bestia spirituale che modifica l’aspetto esteriore di un uomo o di una donna nel modo che tutti sappiamo:
Fu il sangue mio d'invidia sì riarso
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m'avresti di
livore sparso
Non vi è individuo che fin dalla più tenera età non ne faccia esperienza, se sant'Agostino nelle Confessioni dice di aver visto un bambino guardare con penoso livore un altro bambino, suo fratello; e alberga, questa invidia, più nel mondo intellettuale e degli scrittori e degli artisti che in quello dell’uomo qualunque: le università ne sono pregne e anzi proprio chi nel mondo accademico, a giudicare dalle capacità e dalla non comune qualità del suo lavoro, dovrebbe esserne immune, appare roso dall’invidia fin nel midollo, ne è plasmato nella fisionomia, modificato nel colore, come nei versi di Dante. Lo stesso dicasi di tutti quegli ambienti dove strumento professionale è la parola: giornali e televisioni prima di tutto, ma anche di quei luoghi dove la parola dovrebbe essere preghiera: comunità monastiche, diocesane ecc.
Che l'invidia sia trattata in Dante così contraddittoriamente (una volta le fa infestare l’Inferno un’altra il Purgatorio)
non viene in realtà mai preso in considerazione nei tanti commenti inutili che i ragazzi
nelle scuole sono costretti a leggere. Eppure questa sorta di duplice localizzazione dell'invidia era forse l'unico artificio a cui il buon Dante - che dell'invidia fu vittima - avrebbe potuto ricorrere se voleva che l'intero impianto della Divina Commedia non gli crollasse addosso: perché se l’invidia l'avesse messa soltanto nell’Inferno, non ci sarebbero stati né Purgatorio né Paradiso: avrebbe dovuto fare un unico calderone di anime in pena.
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