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mercoledì 22 maggio 2013

Strabismo: consigli per gli etero per i gay e per entrambi


                                      Bangor - photo by Velela
                                   
Un’estate di una decina d’anni fa mi trovavo in Galles con un amico italiano a cui piacciono parecchio gli uomini. L’avevo portato a Bangor, a vedere il piccolo Bishop’s Garden, “il giardino del vescovo”, creato da un religioso anglicano con l'idea di farne una sorta di Eden: mettere in quel fazzoletto di terra fuori della Cattedrale di Saint Deiniol tutte le piante nominate nella Bibbia. Quel giorno il giardino era in uno stato pietoso: le piante s’erano seccate per il gran caldo, c’era erba gialla dapertutto e le etichette coi nomi erano sparite. Insomma a tutto veniva da pensare meno che all'Eden. Mentre andiamo verso un pub vedo una coppia sulla trentina che viene nella nostra direzione, un uomo e una donna, che si tenevano teneramente allacciati. Lo sguardo mi va istintivamente all'espressione simpatica di lei, e siccome volevo continuare a guardarla senza provocare il compagno, ho continuato a farlo con la coda dell'occhio, finché a forza di storcere lo sguardo non mi ritrovo a guardare il mio amico, che invece fissava con gli occhi completamente strabuzzati il maschio. Una volta superata la coppia gli dico: “Vabbè, ti interessano gli uomini! non mi dire però che questa non ti piaceva …” “Ma sei fuori?”, fa lui. “E chi l’ha vista, lei?”



Dice Aldo Busi in uno dei suoi tanti libri - mi pare Il manuale del perfetto gentiluomo - che non sta bene che un uomo interessato a un altro uomo si metta a fissarlo senza ritegno quando vede che è in dolce compagnia: in dolce compagnia di una donna, si capisce. Se ricordo bene, ciò che suggerisce Busi è che se proprio non puoi farne a meno il modo migliore, il più educato, è guardare prima di tutto lei e solo allora far scivolare lo sguardo sull'uomo, e tenercelo comunque per pochissimo: comportamento che avrebbe un duplice obbiettivo: dare alla donna ciò che è dovuto e apprezzamento della giusta scelta fatta dal maschio. Il quale se poi rientra nella categoria dei curiosi una chance puoi sempre averla.

Quando ero piccolo (avevo forse sei o sette anni), mio nonno mi disse, dopo avermi visto spingere bruscamente di lato una ragazzina che voleva vedere certe mie figurine: “ricordati che con una donna devi essere sempre gentile, perché se non è bella fai una cosa giusta per lei, se invece è bella fai una cosa giusta per te”. E di questo mi colpì il fatto che non disse “brutta” ma appunto “non bella”, applicando il suo detto in primo luogo a se stesso anche nel momento in cui istruiva l’amato nipote.

Credo di avere in seguito tratto sempre dei grossi benefici da quelle parole sacrosante. Tanto che a volte, ancora oggi, per essere eccessivamente gentile, per mostrare che apprezzo la bellezza come la bruttezza, e a forza di storcere gli occhi per evitare grane con gli altri maschi, continuo a farlo anche quando una donna è sola, e rischio veramente che prima o poi l’asse visivo si scardini del tutto.




Ovviamente tutti i consigli in campo amoroso lasciano il tempo che trovano. E tuttavia credo sia una cosa sensata avere sempre e comunque delle regole quando si guarda inizialmente qualcuno perché si è arrapati: perché il prossimo non è mai un semplice oggetto, nemmeno quando è apparentemente lui stesso a voler essere trattato da oggetto. 

sabato 20 aprile 2013

In Patagonia la leggenda del ritorno. Un flash su Chatwin


                                  Annalisa Parisi - Cavalli al pascolo, Massiccio del Fitz Roy, Patagonia

La berberis buxifolia è un arbusto che supera normalmente i due metri di altezza. È il simbolo della Patagonia, ed è conosciuto volgarmente come calafate, un termine della lingua dei Tehuelche, la lingua Chon. Con i suoi frutti si produce una marmellata che è tra le più gustose. Si dice che chi assaggi una di queste bacche sferiche, che hanno un colore che può andare dal blu al porpora, avrà la certezza di tornare un giorno in Patagonia.

Non ricordo se Bruce Chatwin, di cui è abbastanza conosciuto il diario del suo viaggio in quelle zone, le abbia provate, quelle bacche, e se i versi del poeta svizzero Cendrars ("non c'è che la Patagonia, la Patagonia che si adatti alla mia immensa tristezza") abbiano continuato a tormentarlo. So solo che quando lo vidi in un’ultima intervista alla televisione inglese, un po’ prima che morisse - l’immagine di uno scheletro - non faceva più pensare al Chatwin di cui parla Neville, il misterioso personaggio di un mio romanzo inglese, che lo descrive al giovane narratore in un momento in cui sembra dissolversi una loro precedente tensione (e mi viene da citare le prime righe proprio nell'originale):

   'Oh, yes ... He was a variation of that old type, the English explorer.  A valiant chap.  But he was modern, more sophisticated.  Nonetheless of the same breed.  And then ... he wrote a succession of books ... I think half a dozen.  I read most of them ... But how did I discover him?'
   'Kaleidoscope?'

che poi ho riscritto in italiano :

   “Questo autore”, mi dice Neville, “fu una variante di un vecchio modello già esistente: l’esploratore inglese, uno di quei tipi veramente tosti, anche se lui era già più moderno, più sofisticato. Eppure appartenente alla stessa razza. E poi scrisse una serie di libri, credo una mezza dozzina. Li lessi quasi tutti … Ma come lo scoprii? Questo è il dilemma …”
   “Caleidoscopio?”, faccio.
   “No”, fa lui. “Credo lessi semplicemente un articolo di un vecchio giornale, che avevo usato per incartare alcune tazze ... Fu quando traslocai nel mio nuovo appartamento ... Avevo avvolto tutte le mie poche cose e tutti quei miei insignificanti piattini in alcune pagine di giornale, e quando arrivai nella nuova casa e cominciai a fare un po' d'ordine trovai la foto di questo favoloso personaggio dai lineamenti incredibili: era Bruce Chatwin! E pensai: che cosa inusuale per un uomo così bello chiamarsi Bruce. Tutti i Bruce che avevo conosciuto erano uno più brutto dell'altro. E invece avevo adesso l'immagine di quest’uomo di straordinaria bellezza. E in più era uno scrittore. Così mi dissi: devo assolutamente leggerlo … E comprai Sulla collina nera ...”

Sulla collina nera è solo la storia di due fratelli in un villaggio del Galles, entrambi talmente attaccati l’uno all’altro che nessuno dei due riesce a sposarsi; ma di sicuro il Galles è stato centrale pure nel suo libro sulla  Patagonia, dove si parla di gruppi di agricoltori che emigrarono in quelle lontanissime regioni mi pare nell’Ottocento. Di una di queste sperdute comunità, che ancora parlano gallese, Chatwin andò alla ricerca. 

Non saprei dire se Neville abbia visto giusto riguardo alla bellezza di Chatwin. Resta il fatto che l’immagine pubblica che questo narratore ha lasciato di sé non è certo quella di uno scrittore a cui piacesse far capannello, unirsi coi suoi simili in un salotto o in un ristorante di una grande città. Non che ce ne siano molti di veri scrittori a cui piace incontrarsi nei momenti liberi coi propri pari, così come in fondo è difficile che un carrozziere la sera  preferisca vedersi con altri del mestiere. Chatwin però li riunì un po’ tutti, alla fine. Dice sempre Neville a Fanfan, lanciandosi in un inaspettato viscerale attacco contro un autore caratterialmente e stilisticamente diverso dal suo eroe:

   “È strano come certi scrittori in certe situazioni tendano a socializzare. Salman Rushdie era amico di Bruce Chatwin. E così un bel giorno quell’altro scrittore, come si chiama? … Paul Theroux, mi pare ... sì, si chiama così  … Ecco, Paul Theroux incontrò Salman Rushdie ai funerali di Bruce Chatwin. Erano passati un po' di giorni da quando l’ayatollah aveva pronunciato la famosa fatwa. E Paul Theroux disse: il prossimo funerale sarà il tuo se non ti guardi il sedere. Una frase veramente stupida.”
   “Bè, una frase tanto stupida non mi sembra.”
   “Che cosa?”
   “Era un consiglio amichevole.”
   “Assolutamente da imbecilli! Salman conosce il mondo musulmano molto bene, non ha bisogno di consigli. Questo è un altro motivo per cui non sopporto Paul Theroux”.

C’è da dire che Paul Theroux, che è americano, è scrittore anche lui di diari di viaggio, e se le premesse  sono queste a cui sembra alludere Neville, allora ci si dovrà aspettare un viaggiatore più sul modello statunitense, un tantino cioè ossessionato dal comfort personale - se in una stazione mettiamo del Tashkent ci siano dei gabinetti puliti, o se il bar offre dei sandwich presentabili invece che coloratissime bacche locali, che se non saranno proprio di calafate, ci si immagina comunque di un qualche altro arbusto di quei posti. E magari proprio una variante della berberis buxifolia: ad esempio la berberis buxifolia nana, che è molto più diffusa della prima, e i cui fiori sono gialli invece che arancione.