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giovedì 15 settembre 2016

L'intellettuale e il paradosso del mentitore

Gli intellettuali (le "scienze" umane) hanno tuttosommato poco a che fare col progresso umano, se si escludono quei grandi nomi (compreso Sofocle, che intuiva la questione) a giusto titolo entrati a far parte del novero dei classici - totalmente assenti oggi non perché non sia passato un numero sufficiente di anni per poterli considerare tali (Ars poetica) ma perché per i nomi di oggi, a quello che almeno si vede, non ci sarà nessuna speranza di memoria, se non per qualche futuro database. E si leggono, i classici, non per quello che dicono (si possono contare, anche qui, sulla punta delle dita coloro che hanno detto qualcosa che ha determinato un cambiamento nei modi di vedere di un'epoca) ma per come lo dicono. Inoltre gli intellettuali oggi rientrano quasi tutti nella schiera dei professori universitari. E le idee dei professori universitari non sono mai state di nessuna utilità, come lo è invece il lavoro di un muratore o di un operaio dentro una fabbrica. Non sono utili nemmeno ai loro studenti, che potrebbero trovare meno compromettente tentare di afffinare da subito il senso critico e fare una cernita degli errori contenuti nei libri da portare agli esami. Non è molto interessante sentire un intellettuale in televisione, o leggerne un libro, e non solo perché lo scopo è quello di copiarsi e scopiazzarsi a vicenda senza neanche accorgersi degli errori di coloro che citano. L'importante è che il discorso abbia una coerenza, in nome di quale logica è tuttavia da vedere, dal momento che per esempio una logica fuzzy, una logica polivalente, di origine booleana, sfuggirebbe completamente a questa posizione arcaica (tuttora della televisione, del web) del professore che parla di un certo argomento con cognizione di causa. Il paradosso del mentitore non potrebbero spiegarlo, resta per loro un paradosso, non avrebbe semplicemente, come in una logica fuzzy, un valore medio tra 0 e 1.

mercoledì 24 dicembre 2014

Stendhal, il teorema di Lagrange e i safety tutor sulle autostrade







La questione del successo postumo è strettamente legata al denaro che si può ricavare da un autore, da un pittore eccetera morti in assolutà povertà, in stato di quasi indigenza; per altri invece la questione non cambia: erano comunque ricchi o benestanti, anche se è difficile pensare che chi è poi finito nel calderone dei classici non sputasse costantemente sangue, se si vuole tener fuori il conte Giacomo Leopardi e pochi altri, Proust eccetera. Quando a cinquant'anni Stendhal dice nei Ricordi di egotismo che dieci anni prima gli restavano soltanto 3500 franchi (forse qualcosa come diecimila euro di oggi), e che una volta finiti avrebbe avuto almeno la gioia di farsi saltare le cerevella non immaginava il mare di denaro che gli editori in tutto il mondo avrebbero cominciato a far girare cento anni dopo coi suoi libri. Per altri - e questo è più vero in ambito accademico - la quantità di grana che si sarebbe generata con qualche loro scoperta è talmente incommensurabile che neanche il loro genio avrebbe potuto calcolarla. Che è per esempio il caso di Lagrange e del suo bellissimo teorema o formula sulle funzioni derivabili, quella che stabilisce, se applicata al movimento, che la velocità media che si percorre in un tratto di strada tra un punto a e uno b è uguale alla velocità istantanea calcolata in un punto compreso tra a e b:

                               (f(b)-f(a))/(b-a)=f '(x)

Che è poi la formula usata dai safety tutor in autostrada, quei dispositivi che calcolano la velocità media di un mezzo. Così se è vero il teorema di Lagrange (e non ci sono ragioni per non crederlo vero) poiché ci sarà almeno un punto nel tratto in cui la tua velocità è uguale a quella media calcolata sull'intero percorso, allora se alla fine la tua veloctà media risulterà superiore a quella che ti è stata imposta su quel tratto, vuol dire che c'è stato almeno un punto in cui l'hai superata. E questo, al di fuori della matematica, può dirsi anche di qualsiasi autore, pittore, musicista, o politico che sia passato alla storia.

Il torinese Lagrange - anzi Giusepper Ludovico Lagrangia (il suo nome sarebbe suonato ugualmente grande se avesse conservato la grafia italiana) era in fondo un semplice borghese, un benestante. Ma meno attento al denaro che alla gloria. E che sicuramente guardava solo all'esprit de géométrie: che cosa poteva fregargliene delle centinaia di milioni di euro che un giorno avrebbero fatturato con la sua formula se già sentiva il suo nome appartenere ai posteri? Ebbe vita facile (a parte gli anni di apprendistato - che fosse stato autoditatta nello studio della matematica superiore va ascritto a suo merito e dovette farlo a tozzi e bocconi e pure di nascosto dal padre - per il resto tutto in seguito filò liscio, se si escludono le sue ricadute nell'ipocondria: dal momento in cui a vent'anni fu nominato Sostituto del Maestro di Matematica nelle Regie Scuole di Artiglieria, a quando successe a Eulero a Berlino, a quando si traferì a Parigi e dopo qualche tempo sposò, a cinquantasei anni,  una ventiseienne. E comuque ebbe gloria ai suoi tempi, tanto più sotto Napoleone, e diventò senatore eccetera.

Anche Stendhal aveva amato Napoleone, e - a differenza di Lagrange, che era un'opportunista - l'aveva amato davvero. E aveva amato anche la matematica (numerosi i riferimenti nell'Henry Brulard: Ma cohabitation passionnée avec les mathématiques m'a laissé un amour fou pour des bonnes définitions, sans lesquelles il n'y a que des à-peu-près). Ma non fece ugualmente una buona fine. Pochi soldi, calcoli ai reni, gotta, emicranie. E alla fine morì a cinquantanove anni d'infarto. Un piccolo trafiletto su un giornale, è morto il signor Beyle, autore della Vita di Mozart e Cimarosa. E fu tutto. E non ebbe la tomba al Panthéon a Parigi come Giuseppe Lagrangia, ma comunque sempre al Père Lachaise. Il fatto è che a quel tempo al Père Lachaise ci mettevano tutti.

venerdì 17 maggio 2013

Gli odorini della contessa




Andando recentemente in treno da Roma a Tivoli ho fatto caso che arrivando all’altezza di Bagni non si sente più quella tipica puzza di marcio delle acque sulfuree, che sono sempre state un po' la caratteristica del posto. Qualcuno si sarà lamentato. Avranno preso contromisure. Di sicuro, il mondo, pur se un tantino in ritardo, ha cominciato a introdurre il concetto di gradevolezza anche negli spazi comuni. E lo fa passare come nuova estetica. Tutto ciò che puzza è male, tutto ciò che profuma è bene, e, almeno per il momento, lo è sempre e comunque. Il che, adottato fino in fondo come metro di giudizio, non so quanto dovrebbe giovare, se si vuole credere ancora una volta all'esempio dei classici.

Trovandosi il giovane Jean-Jacques Rousseau insieme a altre persone nella camera da letto di una contessa, e giacendo la contessa immobile e credendola tutti morta, improvvisamente si sente un rumore venire da sotto le coperte. La contessa, che tutti credevano morta, apre gli occhi e dice: “Bon, femme qui pète n’est pas morte!”.

Il peto, dunque, nel caso di un’emissione di una certa potenza, sarebbe un test rivelatore: da preferire al classico specchietto messo davanti alla bocca quando non si ha a portata di mano un medico con lo stetoscopio, o un modernissimo cardiofrequenziometro. Anche il battito del polso, misurato domesticamente, non offre mai nessuna certezza. La vista e il tatto possono ingannare, l’udito e soprattutto l’olfatto mai. D'altra parte, come non dar credito qui, in questo famoso aneddoto della contessa, all'incredulo Rousseau, che fa costantemente della verità l'oggetto delle sue Confesssioni? Sempre che in queste sue memorie la menzogna non abbia fatto improvvisamente capolino, che cioè Rousseau non si sia inventato di sana pianta l'episodio: questa sorta di imbarazzante suoneria, qualcosa che sveglia pure i morti.

Diceva una ragazza in un forum in cui qualcuno aveva domandato se anche i morti eccetera, che una delle ragioni per cui si sarebbe fatta cremare è che “un corpo in decomposizione comincia a decomporsi dall’interno, producendo una montagna di gas che escono da tutti gli orifizi ...” Quello che è certo è che nella vita non è mai possibile venire a capo di niente. E chissà se quella povera turista che agli Uffizi ha perso l'equilibrio finendo contro un quadro di Salvator Rosa, L’allegoria della menzogna, causando senza volerlo un forellino nella tela, non abbia sentito in quel momento un altro di questi sibili liberatori …