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giovedì 16 aprile 2015

A history of humanity through the higly coloured lens of hyperbaton (conflicts between logical and rhetorical precedence)

Much of the effectiveness of Greek prose depends upon a non-logical development of the thought. A bare logical development would kill the effect (“striking colours, placed side by side, kill each other” – Denniston). This is quite obvious in a reading of any Greek text. Hyperbaton is what strikes most. Whenever a word refuses to wait it will either press to the fore taking its turn in the logical development or be placed late by dislocation of natural order. 

Ἀλλὰ καὶ τοῦτο ἐὰν ὁμολογῶμεν (Plat., Prot., 360a)
(but that too if we admit)
 
instead of

 Ἀλλὰ ἐὰν ὁμολογῶμεν καὶ τοῦτο
 (but if we admit that too).


Τρέφεται δέ, ὦ Σώκρατες, ψυχὴ τίνι; (Prot., 313c)
(nourished, Socrates, is a soul with what?)

 instead of 

ψυχὴ δὲ, τίνι τρέφεται, ὦ Σώκρατες;
(with what, Socrates, is a soul nourished?)















domenica 29 marzo 2015

What makes the perfect murder perfect is its illogicity

If you plot to commit the perfect murder you know that any possible association between it you and the victim would make the murder not perfect, which means that the only living person who knows who committed the perfect murder is you. But this makes the perfect murder imperfect since you have established a connection between you and the victim.


martedì 23 settembre 2014

indimostrabilità dell'esistenza

L'esistenza non può essere in nessun modo provata. Lo sarebbe se l'individuo potesse osservare durante la vita (e non nelle cosiddette e limitate esperienze N.D.E) il mondo dopo la sua morte. Il che è una contraddizione in termini.

mercoledì 3 settembre 2014

i ragazzi e la linguistica

Che i ragazzi (e ragazze) di oggi non siano così ignoranti, che anzi siano dotati nell’insieme di una mente piuttosto elastica, linguistica, pronta a cogliere ogni minimo rapporto tra le cose, rapporti logici e sostanziali, potrebbe indicarlo un semplice test: basterebbe chiedere a un ragazzo qualsiasi, così bravi nel rap, di trovare una rima per Giovanna o Susanna. E la risposta sarebbe rapida, anzi immediata, un po’ come il morso di una vipera per poco che la disturbi.
In realtà è un cosa che avrebbero in comune con la deterrima generazione dei sessantottini, e dei settantasettini (quelli almeno che presto avrebbero preso il posto dei padri che contestavano). Anche lì la battuta sarebbe stata automatica: se qualcuno avesse detto “Arianna”, un altro avrebbe risposto: "la pippa e la canna". Pippa che tra l’altro a Roma significa sega.

domenica 29 giugno 2014

Il caso Yara. Dove sei grande Sciascia?








Il delirio dei giornali italiani, lontani ormai da ogni più elementare logica, pure quella che regge il delirio. Si legge su Repubblica, sul caso Yara:

“Proprio nei cantieri frequentati da Bossetti, si viene a sapere, sono andati spesso i funzionari incaricati delle indagini. ‘Non possiamo dire niente, ci hanno detto di non parlare, comunque - dice un collega di Bossetti –‘ siamo stati interrogati sulle assenze di Massimo dal cantiere’... ". Chiede l'anonimato, è un lavoratore nella cantieristica,  d i c e  e  n o n  d i c e,  m a  q u e l l o c h e  d i c e  a p- p a r e  m o l t o  i m p o r t a n t e: "Qualche volta Bossetti ci diceva che aveva da fare e se ne andava, spariva dal cantiere e no, non sappiamo dove. Uno di noi l'aveva soprannominato  i l  c a c i a b a -  l e,  o  qualche cosa del genere".

Caciabale, o cacciabballe: a Roma si direbbe cazzarone. E gia non si capisce cosa c'entri questo essere cacciabballe con

martedì 24 giugno 2014

Vasi comunicanti. Scienza e tremore in corte d'assise







Quando si gestisce la cosiddetta azione penale, in particolare in fase istruttoria, cioè in quei momenti durante i quali col codice di procedura alla mano gli inquirenti raccolgono prove che il pubblico ministero poi utilizzerà per chiedere il rinvio a giudizio (le stesse che serviranno eventualmente in aula contro la difesa), non dovrebbero certo essere gli  indizi a corroborare le lacune della scienza, semmai il contrario. In entrambi i casi è evidente che in un qualsiasi processo indiziario non ci sono e non ci saranno mai certezze. Dire che il tale test del dna, se anche contiene un elemento di errore non può lasciare dubbi all'accusa in quanto ci sono poi gli altri indizi a corroborarne la validità, non significa altro se non che tale conclusione fa, sul piano formale, acqua e arriva al massimo a dimostrare uno spaparacchiato pressappoco, quel pressappochismo di cui gli italiani sono maestri nel mondo (il colpevole è pressappoco questo ... il colpevole è “praticamente” questo - vedi il mio post precedente).

La questione può essere anche facilmente (ac)quantizzata, cioè allegata come somma. Se la probabilità che  un certo indagato non sia l’autore di un reato è zero virgola zero zero zero zero zero zero zero zero qualcosa e se perciò non esiste "assoluta certezza" (il dire “assoluta certezza” è già una boiata logica e se ci fosse veramente certezza non si capisce per quale ragione venga fornito un margine di errore, infinitesimale quanto si voglia) e se gli indizi ugualmente per loro natura concorrono allo stesso modo con degli zero qualcosa, allora sommando tutti questi zeri, lo zero della “prova scientifica” e gli zeri degli indizi, il risultato è sempre zero. Zero più zero fa ancora zero, anche se fa qualcosa

Il colpo definitivo ai fenomeni di malafede della scienza, alle tanto sventagliate “certezze” della scienza (che dal momento che vengono platealmente ostentate non sono per niente certezze), arriva poi dalla confessione dell’indagato, che alla fine, stanco di lottare, dice: sì, sono stato io! In effetti la sicumera dei sacerdoti  e apostoli della scienza e della prova scientifica è tale che anche in questo caso, in cui la scienza non ha avuto nessun merito, non esiterebbero a rivoltare la frittata di uova di struzzo e a considerare la confessione (da cui stranamente proviene attestato di certezza alla prova scientifica) non come prova della “fasullita” del concetto di certezza scientifica ma come dimostrazione che la prova scientifica era "così" certa da far tremare perfino l'indagato, da costringerlo a confessare.