mercoledì 14 agosto 2013

La persistenza della memoria: Dalì, Lorca e Neruda




La persistenza della memoria - New York - Museum of Modern Art


Non so se sia veramente un errore confondere esistenza anagrafica e esistenza produttiva di un artista. Se così fosse, se fossero possibili tali accostamenti, bisognerebbe allora reprimere, davanti a una piccola grandiosa tela che letteralmente lascia abbagliati
- e voglio dire La persistenza della memoria di Salvador Dalì - una certa sensazione di disgusto: il pensiero che la natura si sia divertita a presentare un esempio di così rara schizofrenia del genio, se è vero come è vero che il Salvador Dalì anagrafico, mai pienamente divenuto adulto, dopo la seconda guerra mondiale appoggiò da una parte il regime franchista (e lo appoggiò vergognosamente - noto è il suo telegramma a Franco dopo la fucilazioni di alcuni oppositori: “Avresti dovuto farne fucilare altri”), dall’altra non cessò di esaltare l’opera di Garcia Lorca, che continuava, anche da morto, a essere bandito dal regime - articoli di Dalì che non furono mai in effetti censurati.

Ciò detto, è innegabile che tutta l’opera di Dalì sia quella di un grande artista: prodotta in forma pienamente e rigorosamente artistica; c’è inimitabile imitazione di una realtà soltanto in apparenza fuori del tempo e dell’esperienza intersoggettiva; e anche a non voler considerare il tempo impiegato a produrre le singole opere (un paio d’ore nel caso della Persistenza della memoria) basterebbe a rivelare questo essere pienamente nel proprio tempo tale quadro, che fu dipinto una sera in tutta tranquillità dopo una curiosa “riflessione filosofica” sulla consistenza del formaggio - in particolare sulle ragioni della mollezza del Camembert. Riflessioni che non potevano non fondarsi se non su elementi di una vita non idealisticamente vissuta, ad esempio il semplice contatto con la morbidezza di un corpo femminile. Glielo rinfacciò quindi, ingenerosamente e ingiustamente, Garcia Lorca: un suo certo innamorarsi prima di tutto dell’arte:

No es el Arte la luz que nos ciega los ojos.
Es primero el amor, la amistad o la esgrima

Non è l’arte la luce che ci acceca gli occhi.
Prima di tutto viene l’amore, l’amicizia e la scherma

Suggerimento che prendeva alla lettera il più grande forse poeta del Novecento, Pablo Neruda, che a Lorca dedicò una lunga ode: un'ode che è soprattutto una meraviglia di ritmo, una meraviglia anche questa artistica, le cui ultime parole richiamano esattamente quell’amicizia di cui parlava Lorca a Dalì:

Así es la vida, Federico, aquí tienes 
las cosas que te puede ofrecer mi amistad 
de melancólico varón varonil. 
Ya sabes por ti mismo muchas cosas, 
y otras irás sabiendo lentamente.

Così è la vita, Federico, qui hai
Le cose che ti può offrire la mia amicizia
Di malinconico uomo virile.
Conosci già da solo molte cose
E altre le andrai conoscendo lentamente.

Anche se poi la morte di Lorca fu veloce, tempo di conoscerla non ebbe. Più eroica, comunque, e più splendida di esempio di quella lenta, solitaria e patetica di Salvador Dalì, che si congederà vecchio, ascoltando i dischi del Tristano e Isotta di Wagner; più simile quella di Lorca – in quanto entrambi si facevano carico della sofferenza del mondo - a quella del suo amico Neruda: una mattina, nella sua Spagna che non aveva mai lasciato nonostante fosse stato incluso nelle liste nere del regime, fucilato da alcuni robot col cervello annacquato di propaganda e di ideologia di morte.



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