sabato 31 agosto 2013

Causa e tempo nella storia. Narrazione e investigazione

 L’uso del principio di causa nella narrazione storica (e del concetto di pretesto) sarebbe (se la storia in senso hegeliano esistesse) antistorico: lo faceva costantemente osservare Croce (era un po’ la sua bestia nera): è comunque un semplice scimmiottamento della metodologia delle scienze sperimentali. Varrebbe la pena ripetere quanto Croce stesso affermava per esempio nei marginalia alla Teoria e storia della storiografia: che cioè l’introduzione di questo principio di causa interromperebbe qualsiasi movimento (storico), "la storia si fermerebbe a un tratto". A Croce interessava ridurre tutto all’idea di storia contemporanea quale attività dello spirito che riflette nel presente anche su eventi cosiddetti storici, cosa che però non cambierebbe lo stato della questione; in effetti, un qualsivoglia evento non è altro che il risultato di un infinito numero di cause, che è come dire che è il risultato di nessuna causa in particolare. Introdurre di punto in bianco una causa particolare da cui si origini un determinato evento equivale a bloccare tutto il processo, tutta la processione, troncare in due con una zappa il corpo di un serpente. Lo stesso dicasi dell’uso del concetto di tempo. Tutto ciò che si riesce a ottenere - pure in una narrazione non annalistica della "storia", una narrazione cioè che non enumeri i fatti uno dietro l’altro in ordine cronologico, è una temporalizzazione parallela, il che equivale a contraddire tutta l'impostazione, a sottrarre ogni forma non relativistica del tempo. E lo stesso vale per le enumerazioni annalistiche, sicché ci saranno gli annali di un popolo e gli annali di un altro, ma non saranno altro che descrizioni cronologiche parallele, e che bisognerà in qualche modo collegare orizzontalmente; si avranno quindi tanti tempi paralleli, e il tempo, storicamente parlando, non potrà mai essere uno, non potrà essere una infinita linea all’interno della quale mettere tutto in ordine; in altri termini ciò equivale ad affermare l’impossibilità – concetto ripetuto d’altronde anche da Croce - di una storia che sia universale (mito mai veramente superato).

Il falso metodo deduttivo, usato nelle narrazioni dei romanzi gialli tradizionali, è un'idealizzazione della metodologia dell’investigazione, la quale, se pure opera con parziali deduzioni, è nel suo insieme un risalire all’indietro, alla fonte, a un individuo che con le sue leggi logiche riesca a spiegare dei fatti di cui faccio esperienza, e che è tipico del metodo induttivo: conserva del vero metodo deduttivo (quello che definisce da subito la fonte originaria) solo l'apparenza dell'andare dal generale al particolare (dalla scena del crimine all'omicida); in realtà la sorgente non ce l'ha, deve trovarla. Ma la sorgente nella natura non ha causa in sé, e non ci sarebbe sorgente se non ci fossero piogge eccetera. L’individuazione del colpevole, quando lo si individua, è comunque sempre un brutale e non realistico tentativo di interrompere il processo della vita all’interno del quale l’assassino si muove. Questa impossibilità di fissare un punto preciso originario, una fonte primaria come causa ultima dell'omicidio, una causa nec plus ultra, le colonne d'Ercole al di là delle quale niente è più conoscibile, può essere osservato nelle faide, dove un omicidio dipende sempre da un altro omicidio. Ed è talmente ovvio che una nozione di causa imbarazza da sempre gli investigatori e la macchina della giustizia, che si è stati costretti a introdurre fin dall'antichità il sinonimo di movente, che è quanto di più aleatorio, non deterministico, possa darsi, e attorno al quale i castelli delle varie scuole psicologiche oggi più che mai si perdono e che lascia sempre dubbi su dubbi anche nei profani, che continueranno a dividersi tra innocentisti e colpevolisti. Diversamente dal concetto di causa per come è definito nelle scienze sperimentali.    

Nessun commento:

Posta un commento