mercoledì 7 agosto 2013

Amor proprio, antidoto e letteratura




"… perché il sacrifizio precisamente per altrui non è possibile all’uomo …" Così Leopardi nello Zibaldone (67) a conclusione di un pensiero attorno all’amor di patria e a tutte le cose giuste e anche alle sciocchezze scritte prima di lui su questo argomento. In altri termini, nota Leopardi, l’amor di patria non sarebbe che una forma mascherata
dell'amore di gloria e quindi uno dei modi in cui si realizza l’amor proprio, indipendentemente dal fatto che poi, almeno in questo caso, gli effetti dell'amor proprio tornino a parziale beneficio di altri. Ma è semplice conseguenza. A chi si dà tanto da fare per l'amor di patria, dice insomma Leopardi, gliene frega assai della patria. Quello che conta per Leopardi è dare alle cose il giusto nome. D’altro canto aveva già fatto osservare in precedenza (57) come non esista essere più asociale dell’uomo quando si traveste pomposamente da animale sociale.

Per quanto sia riduttivo chiamare l’amor proprio egoismo, più avanti (71) Leopardi rincara la dose - o meglio continua a somministrare a piccole ma sempre più efficaci dosi la diagnosi, e nel momento in cui mette in relazione l’amor proprio col suicidio scrive che non esiste al riguardo molla più potente: “Non v’ha forse cosa tanto conducente al suicidio quanto il disprezzo di se medesimo” e poche righe dopo: “Effetto dell’amor proprio [disprezzo di se medesimo] che preferisce la morte alla cognizione del proprio niente ec. onde quanto più uno sarà egoista tanto più fortemente e costantemente sarà spinto in questo caso ad uccidersi ”. Che ricorda da vicino Hume, quando dice più o meno che il suicidio non è condannabile se lo richiedano i propri interessi. Insomma all’egoista non serve paradossalmente molto: lo si porti a perdere tutto, tutto ciò che ha accumulato, lo si porti a perdere stima di sé e a non avere più nemmeno i soldi per lo psicanalista e lo si vedrà abbassare finalmente la cresta. Diverso è il caso in cui si voglia uccidere non il proprio ma l'amor proprio altrui, almeno a voler seguire Henry de Montherlant, che in qualche punto dei suoi Carnets mi pare di ricordare annota: "on blesse l’amour propre, on ne le tue pas": si ferisce l’amor proprio ma non lo si uccide.

Unico antidoto all’amor proprio per Leopardi – o per l'esattezza la sola "qualità e passione umana che non abbia nessunissima mescolanza di amor proprio” è la compassione che nascendo “nell’animo nostro alla vista di uno che soffre è un miracolo della natura che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto indipendente dal nostro vantaggio o piacere, e tutto relativo agli altri, senza nessuna mescolanza di noi medesimi”. Questo quando ovviamente la compassione non nasca dal timore di “provar noi medesimi un male simile a quello che vediamo”. Insomma si può infilarlo pure lì, l’amor proprio, “è sottilissimo, e si insinua da per tutto, e si trova nascosto nei luoghi più reconditi del nostro cuore, e che paiono più impenetrabili a questa passione”. Che è un po’ quanto dice anche La Rochefoucauld: che per quante scoperte si facciano nella terra dell’amor proprio restano sempre molte zone sconosciute. Le stesse cose dette a suo modo anche da Neville, il personaggio del mio romanzo inglese, che non aveva letto Leopardi (e non l’avevo letto nemmeno io questo preciso passo dello Zibaldone all'epoca, ma sicuramente conoscevo a memoria i pensieri di La Rochefoucauld). Dice Neville, a un Fanfan ormai sempre più convinto di trovarsi di fronte a uno psicopatico più che a un medico, di non possedere in effetti quel sangue freddo che dovrebbe avere chiunque abbracci questa professione:

   'A lot of people who go into medicine have a scientific sang froid and attraction. That was not the case for me. Nor did I have a caring istinct.'
   'I’m sure you do care', I say.
   'Well', he says, ‘I like to be kind but that’s about as far as it goes. I do feel compassion for the sick, but not that Catholic, universalized compassion. Not that sense of duty for the love of God and all his creation. There is none of that. For me it’s a kind of selfishness. I see my own suffering in their suffering … Well, perhaps I’m deceiving myself. I do have a vestige of calling … No, even that’s an exaggeration … I see my own future lying in a coffin …'
   
   "Parecchie persone che scelgono questa professione e se ne sentono attratte posseggono una sorta di scientifico sang froid. Nel mio caso non ci fu nulla del genere. Neanche a a dire che avessi quell’innato istinto di aiutare il prossimo.”
   “Sono sicuro che lo possiedi, invece”, gli dico e mi faccio poco più indietro con la sedia.
   “, fa lui,non mi piace essere scortese, ma questo è tutto ... Provo compassione per chi sta male ma non quella specie di cattolica e universale compassione. Non quel senso del dovere verso l’amore di Dio e per il creato. Non c’è proprio niente di tutto questo. La mia compassione è semplicemente egoismo. Nella sofferenza degli altri vedo solo la mia sofferenza … Bè, forse adesso esagero, ovviamente avrò una certa vocazione … Ma anche questo è un’esagerazione … In quei momenti vedo semplicemente il mio futuro dentro una bara …
    
Fanfan, che è dedito a amori eterosessuali e omosessuali (più ai primi che ai secondi, e visita pure regolarmente un bordello a Notting Hill Gate tenuto da un’avida danese appassionata del Nome della Rosa), non smette mai di chiedersi che pericoli corra a incontrarsi con questo Neville, che ha trent’anni più di lui e omosessuale ma per il quale Fanfan non lascia trasparire il minimo interesse erotico.  E' tuttavia possibile che in qualche modo ne sogni ugualmente egoisticamente il possesso fisico oltre che intellettuale. E mi viene in mente una frase proprio di Henry de Montherlant, nelle Jeunes Filles, mi pare: "il n’aimait que les filles saines et simples, c’est pourquoi cela lui était agréable d’avoir envie d’une femme detraquée" – non gli piacevano che le ragazze sane e belle, è per questo che gli era piacevole il desiderare un mezza svitata

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