"… perché il sacrifizio precisamente per altrui non è
possibile all’uomo …" Così Leopardi nello Zibaldone (67) a conclusione di un
pensiero attorno all’amor di patria e a tutte le cose giuste e anche alle sciocchezze
scritte prima di lui su questo argomento. In altri termini, nota Leopardi,
l’amor di patria non sarebbe che una forma mascherata
dell'amore di gloria e quindi uno dei modi in cui si realizza l’amor proprio, indipendentemente dal fatto che poi, almeno in questo caso, gli effetti dell'amor proprio tornino a parziale beneficio di altri. Ma è semplice conseguenza. A chi si dà tanto da fare per l'amor di patria, dice insomma Leopardi, gliene frega assai della patria. Quello che conta per Leopardi è dare alle cose il giusto nome. D’altro canto aveva già fatto osservare in precedenza (57) come non esista essere più asociale dell’uomo quando si traveste pomposamente da animale sociale.
dell'amore di gloria e quindi uno dei modi in cui si realizza l’amor proprio, indipendentemente dal fatto che poi, almeno in questo caso, gli effetti dell'amor proprio tornino a parziale beneficio di altri. Ma è semplice conseguenza. A chi si dà tanto da fare per l'amor di patria, dice insomma Leopardi, gliene frega assai della patria. Quello che conta per Leopardi è dare alle cose il giusto nome. D’altro canto aveva già fatto osservare in precedenza (57) come non esista essere più asociale dell’uomo quando si traveste pomposamente da animale sociale.
Per quanto sia riduttivo chiamare l’amor proprio egoismo,
più avanti (71) Leopardi rincara la dose - o meglio continua a somministrare a piccole ma sempre più efficaci dosi
la diagnosi, e nel momento in cui mette in relazione l’amor proprio col suicidio scrive che
non esiste al riguardo molla più potente: “Non v’ha forse
cosa tanto conducente al suicidio quanto il disprezzo di se medesimo” e poche righe dopo: “Effetto dell’amor proprio [disprezzo di se medesimo] che
preferisce la morte alla cognizione del proprio niente ec. onde quanto più uno
sarà egoista tanto più fortemente e costantemente sarà spinto in questo caso ad
uccidersi ”. Che ricorda da vicino Hume, quando dice più o meno che il suicidio
non è condannabile se lo richiedano i propri interessi. Insomma all’egoista
non serve paradossalmente molto: lo si porti a perdere tutto, tutto ciò che ha
accumulato, lo si porti a perdere stima di sé e a non avere più nemmeno i soldi
per lo psicanalista e lo si vedrà abbassare finalmente la cresta. Diverso è il caso in cui si voglia uccidere non il proprio ma l'amor proprio altrui, almeno a voler seguire Henry de Montherlant, che in qualche punto dei suoi Carnets mi pare di ricordare annota: "on blesse l’amour propre, on ne
le tue pas": si ferisce l’amor proprio ma non lo si uccide.
Unico antidoto all’amor proprio per Leopardi – o per l'esattezza la sola "qualità e
passione umana che non abbia nessunissima mescolanza di amor proprio” è la
compassione che nascendo “nell’animo nostro alla vista di uno che soffre è un
miracolo della natura che in quel punto ci fa provare un sentimento affatto
indipendente dal nostro vantaggio o piacere, e tutto relativo agli altri, senza
nessuna mescolanza di noi medesimi”. Questo quando ovviamente la compassione non nasca
dal timore di “provar noi medesimi un male simile a quello che vediamo”.
Insomma si può infilarlo pure lì, l’amor proprio, “è sottilissimo, e si insinua da per tutto, e si trova
nascosto nei luoghi più reconditi del nostro cuore, e che paiono più
impenetrabili a questa passione”. Che è un po’ quanto dice anche La Rochefoucauld: che per quante scoperte si facciano nella terra dell’amor proprio restano
sempre molte zone sconosciute. Le
stesse cose dette a suo modo anche da Neville, il personaggio del mio romanzo inglese, che non
aveva letto Leopardi (e non l’avevo letto nemmeno io questo preciso passo dello
Zibaldone all'epoca, ma sicuramente conoscevo a memoria i
pensieri di La Rochefoucauld). Dice Neville, a un Fanfan ormai sempre più convinto
di trovarsi di fronte a uno psicopatico più che a un medico, di non possedere in effetti quel sangue
freddo che dovrebbe avere chiunque abbracci questa professione:
'A lot of people
who go into medicine have a scientific sang froid and attraction. That was not
the case for me. Nor did I have a caring istinct.'
'I’m sure you do care', I say.
'Well', he
says, ‘I like to be kind but that’s about as far as it goes. I do feel
compassion for the sick, but not that Catholic, universalized compassion. Not
that sense of duty for the love of God and all his creation. There is
none of that. For me it’s a kind of selfishness. I see my own suffering in their suffering …
Well, perhaps I’m deceiving myself. I do have a vestige of calling … No, even
that’s an exaggeration … I see my own future lying in a coffin …'
"Parecchie persone
che scelgono questa professione e se ne sentono attratte posseggono una sorta di
scientifico sang froid. Nel mio caso non ci fu nulla del genere. Neanche a a dire
che avessi quell’innato istinto di aiutare il prossimo.”
“Sono sicuro che lo
possiedi, invece”, gli dico e mi faccio poco più indietro con la sedia.
“Bè”, fa lui, “non
mi piace essere scortese, ma questo è tutto ... Provo compassione per chi sta male
ma non quella specie di cattolica e universale compassione. Non quel senso del
dovere verso l’amore di Dio e per il creato. Non c’è proprio niente di tutto questo. La mia compassione è semplicemente egoismo. Nella sofferenza degli altri
vedo solo la mia sofferenza … Bè, forse adesso esagero, ovviamente avrò una certa
vocazione … Ma anche questo è un’esagerazione … In quei momenti vedo
semplicemente il mio futuro dentro una bara …”
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