martedì 20 agosto 2013

Proust internauta e i wormholes


Philippe E. Hurbain, Wormhole: panorama of the dunes

Mi è capitato di trovare, anni fa, nei diari di Philippe Sollers, un certo giocoso e nostalgico riferimento a Proust. Diceva Sollers che se Proust vivesse oggi sarebbe senz'altro un indemoniato del fax, delle email e di tutto il resto, e che lo si vedrebbe sposare pienamente la causa di Internet - ammesso, ovviamente, che Internet si proponga una causa, un qualche fine umanitario, e che non sia semplicemente la più potente e cavernicola forma di retorica che la Storia conosca, basata come tutte le retoriche che si rispettino, sulla manipolazione e il controllo totale dell'individuo. A dire il vero Sollers non diceva indemoniato, ma il senso era quello, che cioè proprio Proust, colui che più di ogni altro era parso immerso nei discorsi sociali di un mondo chiuso ed esclusivo, si sarebbe gettato oggi anima e corpo in tutti i più minuti meccanismi e varianti globali di queste odierne e dissocianti tecnologie dell'annullamento di una distanza. E in effetti di Proust (e inevitabilmente del Narratore della Recherche) si conosce la passione per le invenzioni dell'epoca: il telefono ancora agli inizi col quale ascoltava i concerti da casa, la bicicletta di Albertine a Balbec, l'aereo ammirato a Versaille e nei pressi del castello della Raspelière ma poi oggetto temutissimo durante la guerra. Non era certo un nostalgico. E inoltre si conosce almeno un caso in cui il Proust anagrafico si divertì per qualche ora a impersonare il portiere di uno stabile nel quale abitavano alcuni suoi amici, professione da sempre lanciata nel più lontano e più moderno futuro.

Non credo tuttavia che Sollers abbia posto o indicato la questione nei termini giusti. Non ha molto senso chiedersi come sarebbe o cosa farebbe oggi un Leonardo, o come sarebbero Balzac o Stendhal o Montaigne. Fa venire in mente quegli uomini che dicono che se fossero donne farebbero sesso ogni cinque minuti. Porre la questione in questi termini svela semplicemente un sentimentalismo o un arrapamento di tipo senile, anche piuttosto preoccupante in un intellettuale di un certo calibro che dovrebbe tenere confinati i propri istinti al privato, pure in un diario da rendere pubblico.

Avendo scritto la mia prima tesi sugli influssi della poesia alessandrina in Catullo, per un certo periodo rimasi convinto di essere la sua reincarnazione, considerato che dopotutto si chiamava Gaio Valerio e che io pure mi chiamo Valerio, e che già al liceo amavo i suoi epigrammi e anzi li avevo riscrittti adattandoli ai miei tempi e intitolando quel lavoretto Catullo allo specchio. Così, un autunno di tanti anni fa, arrivando sul lago di Garda e andando subito a vedere i resti della supposta Villa di Catullo chiesi agli amici con cui ero di lasciarmi per un po’ da solo: volevo fare un semplice esperimento: misurare una volta per tutte l'effettiva distanza ontologica, se ce n'era una, che mi separava da Catullo. Mi sedetti tra le antiche pietre e restai in silenzio qualche minuto. Ma non sentii niente. E pensai che o io non ero Catullo o che quella non era la sua villa.


ultima immagine di Proust

Sarebbe più interessante chiedersi invece che cosa avrebbe da fare o cosa si troverebbe a fare uno dei tanti scrittori che oggi vanno per la maggiore - ma anche uno dei tanti attori, musicisti, architetti o qualsiasi altro personaggio pubblico convinto di essere qualcuno - di cosa si scoprirebbero appassionati se venissero improvvisamente portati indietro nel tempo con lo stesso nome e professione di oggi. E non so perché mi viene in mente una storiella morale di san Bernardino da Siena, che racconta che un bel giorno un uomo che passeggiava per la via degli Speziali, dove si sentivano nell'aria profumi e aromi di ogni genere, improvvisamente cadde a terra svenuto. Come ancora oggi succede, molte persone gli si fecero attorno, arrivò anche un medico, che dopo averlo palpato e ripalpato chiese se qualcuno ne conosceva il mestiere. Quando gli dissero che faceva il votatore di pitali, il medico sorrise e disse di portare dello sterco di cavallo. Come l'ebbe tra le mani, gliene passò un po’ sotto il naso e quello rinvenne.

Concludeva san Bernardino: voi ci ridete, et ecci da piangere.  

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